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C) mentalizzazione delle emozioni:

comprensione della natura psicologica e non solo fisica delle emozioni

- formazione di emozioni complesse (socialmente indotte e autocoscienti)

- controllo strategico (capacità di inibire, mascherare, differire l’espressione delle emozioni; incidere

- sulla esperienza emotiva con meccanismi compensatori)

CAPITOLO 3

Si analizza come il bambino considera gli stati emotivi dentro una più ampia concezione della mente;

processo con cui i bambini comprendono gli stati mentali altrui = comprensione immaginativa, che non

assolve solo funzioni di soddisfacimento di bisogni (freud e piaget) ma costruisce realtà diverse dalla

propria.

E’ una sorta di simulazione, che permette di vivere realtà ipotetiche, appartenenti ad altri.

* la valutazione di uno stato emotivo altrui richiede:

- immaginare cosa l’altro prova

- cosa pensa e desidera

- cosa crede sia accaduto (anche se non e’ vero)

- metterlo in relazione con una serie di eventi correlati

- valutare le ragioni per cui l’altro proverà quella emozione.

* per fare questo bisogna assumere che vi siano:

autoconsapevolezza = sapere cosa si prova (es. nel linguaggio)

- capacità di simulare = gioco di finzione, fare “come se”

- distinzione fra realtà e finzione = i due piani sono ben differenziati

- desideri, credenze ed emozioni = saper immaginare cosa l’altro desidera e prova, anche se non lo si

- prova personalmente

secondo Harris, l’empatia (provare l’emozione dell’altro in modo vicario) non e’ necessaria per

comprendere l’emozione altrui, basta saperla immaginare.

CAPITOLO 4

Fino a 5 anni i bambini capiscono emozioni semplici come felicità e tristezza, non solo osservando come

esse vengono espresse ma identificando la prospettiva mentale corrispondente.

L’analisi delle emozioni complesse - orgoglio, vergogna, colpa - mostra come esse vengono valutate non

solo concretamente (in relazione alle conseguenze delle azioni), ma anche astrattamente (in funzione di

norme, regole e giudizi da parte degli altri).

Harris e al: dati degli aggettivi emotivi, i bambini dovevano individuare situazioni che potevano

determinarli:

 5 anni: situazioni che si traducono in espressioni facciali ben precise (felice, arrabbiato, triste,

spaventato)

 7 anni: anche situazioni relative a emozioni meno “visibili” (orgoglioso, grato, preoccupato,

colpevole, eccitato)

 10 - 14 anni: anche sollevato, deluso = situazioni sempre meno fisiche e più psicologiche anche in

culture diverse (europa e nepal).

La comprensione avviene prima per le emozioni fondamentali, per le quali esistono espressioni e

comportamenti chiari; per le complesse, come gratitudine e orgoglio, vi sono due stadi:

- porsi la domanda se il risultato era auspicabile o no per la persona (già a tre anni) ;

- chiedersi come si è arrivati al quel risultato (a seconda di come, ci saranno emozioni diverse).

Per la colpa, è cruciale il ruolo della responsabilità personale nelle azioni (es. se si potevano evitare o no).

6 - 9 anni: colpa anche se non dipendono dal controllo;

dopo: se dipendono dal proprio controllo.

In orgoglio e colpa c’entrano anche la conformità ad una norma (morale) e la dimensione pubblica.

Inizialmente il pubblico è rappresentato dagli adulti significativi, che devono assistere alle azioni (6 - 8 anni)

e le emozioni sono attribuite a loro;

dopo gli 8 anni la presenza non è necessaria e il pubblico è costituito da un nuovo ruolo del sé: il sé

osservatore che giudica il sé agente.

Per Harris ruolo del sociale/pubblico significa comprensione che gli stati mentali delle persone sono

condivisibili e si influenzano reciprocamente;

il comprendere una emozione genera nuove emozioni e nuovi ruoli sociali, a partire da quelle di base, che

probabilmente hanno script universali.

CAPITOLO 5

Non sempre le emozioni sono univoche, ma contrastanti.

L’ambivalenza è difficilmente compresa dai piccoli, anche se possono esibire emozioni ambivalenti (es.

nell’attaccamento resistente o nella “gelosia” per i fratellini piccoli).

La concettualizzazione delle emozioni ruota attorno a due nuclei semantici opposti: positive e negative, per

cui la loro visione integrata è un percorso lungo:

S. Harter:

3 - 6 anni: incapacità a concepire emozioni contrastanti, che possano coesistere o succedersi;

6 - 8 anni: le situazioni possono indurre sentimenti contrastanti, ma solo in successione;

8 anni: due emozioni diverse vengono accostate nella stessa situazione; prima entrambe positive o

negative, poi anche contrastanti.

10 - 11 anni: integrazione sentimenti opposti su eventi distinti ma concomitanti; poi per uno stesso evento.

difficoltà cognitive a considerare le emozioni miste, pur provandole:

1) sono livelli diversi: un conto è provare, altro è comprendere e spiegare

2) i bambini non riescono a fare due centrazioni allo stesso tempo

3) il legame tra situazione ed emozione deve essere riconcettualizzato da due diversi sistemi della

mente:

A) il sistema di valutazione iniziale (più immediato e di base), che porta alla espressione delle

emozioni anche ambivalenti, essendo esaustivo.

B) il sistema esplicativo, che cambia con lo sviluppo, non è di per sé esaustivo, quindi si concentra su

aspetti particolari, non vedendo subito la situazione nel suo complesso.

Come fa il sistema esplicativo a comprendere l’ambivalenza? che ruolo gioca l’esperienza?

Può capitare che un’emozione provata prima perduri anche quando ne subentra una diversa (una

emozione può durare più della sua causa).

Questa “sovrapposizione” induce a scandagliare in memoria gli eventi che provocano, rispettivamente,

ciascuno dei sentimenti misti che il bambino sta provando, e ad accostarli e avvicinare le relative emozioni.

In ogni caso, la comprensione della ambivalenza è una genuina ristrutturazione degli schemi mentali e della

prospettiva di sé.

CAPITOLO 6

Si analizza la capacità di nascondere le emozioni provate, attraverso regole di esibizione, sopratutto per

attutire l’impatto sociale sugli altri.

ci sono variazioni cultuali nel modo in cui le emozioni vengono esibite (americani e giapponesi

- mostrano le stesse espressioni di fronte a filmati, se ripresi nella penombra). Successivamente

intervistati, i giapponesi minimizzavano le emozioni provate, mentre gli americani le mostravano

anche parlando.

Saarni; P. Cole: si creava una situazione di disillusione in bambini di 3/4 anno o 6 - 10, e si osservava

- la reazione in assenza o in presenza di una persona coinvolta.

se la persona era presente le reazioni negative erano più attenuate;

- tuttavia i bambini fino a 6 anni non sono consapevoli di farlo, anche se capiscono la differenza fra

- ciò che si prova e ciò che si mostra.

Nella cultura giapponese, vi e’ precocemente enfasi sulla necessità di controllare le emozioni, esplicitazione

delle conseguenze spiacevoli sugli altri, e sulla differenza fra interiorità ed esteriorità.

La struttura linguistica delle frasi con cui i bambini esprimono le varie emozioni (provate, esibite e

attribuite) ( “non voleva che l’amica sapesse che si sentiva felice perchè aveva vinto) fa capire

che si rendono conto che lo scopo della simulazione è far apparire reale l’emozione simulata.

La funzione delle regole di esibizione è quella di proteggere i sentimenti altrui:

-adlam- hill et al: bambini (9 anni) senza problemi emotivi spiegano la dissimulazione dicendo che gli altri ci

starebbero male di fronte alla emozione vera; comprendono anche che si

può farlo per minimizzare un proprio disagio.

I bambini con problemi emotivi e comportamentali capiscono bene l’utilità personale ma hanno difficoltà a

vedere la motivazione altruistica.

CAPITOLI 7-8

La capacità di controllare le emozioni (la natura, l’intensità ecc) ha la funzione di attutire l’impatto

psicologico su di sé riducendolo, o modificando l’emozione stessa.

strategie per modificare l’emozione:

1) cambiando la situazione;

2) cambiando il processo: nella valutazione della situazione;

3) nel focalizzarsi solo su alcuni aspetti;

4) non pensandoci affatto.

harris et al.: domande (6 - 11 - 15 anni) su cosa si poteva fare non solo per fingere di essere felice ma anche

per diventarlo davvero.

A 6 anni capiscono che per cambiare l’emozione non basta fingere ma bisogna fare qualcosa (giocare);

a 10 anni citano processi cognitivi, o aggiungendo motivazioni mentalistiche al cambio di attività o dando

ragioni puramente psicologiche;

a 15 anni, citano strategie intenzionali e consapevoli, come la distrazione.

usare una nuova emozione per modificare la precedente

-

(es. a 6 anni, capiscono che si può attenuare la tristezza impegnandosi in attività che fanno sentire felici)

usare il pensiero per allontanare una emozione

-

a 4 anni capiscono che le emozioni col tempo si riducono e che si riducono pensandoci meno, ma non

vedono il nesso causale fra le due cose

le spiegazioni del declino col tempo dei piccoli (4 anni) considerano l’intervento di nuovi fatti; nei più

grandi (dai 6 anni), il ruolo del pensiero.

l’esperienza di un college inglese (8 anni -- 13 anni)

due domande

-possibilità di nascondere i sentimenti di disagio

-come si può modificare la nostalgia

tutti individuano nel pensare ad altro, distrarsi, fare sport, ecc un modo per tenere a bada la tristezza

favoriti in ciò dalla organizzazione della vita stessa del college.

le strategie di coping

bambini sani a 6 anni, non si può fare nulla per non sentirsi più tristi

- a 10, fare qualcosa per “tirarsi su il morale”

-

- bambini ospedalizzati: in entrambi i gruppi di età dominano le risposte “pessimistiche”,

chi ammetteva la possibilità di cambiamento dava poche spiegazioni mentalistiche,

hanno anche più difficoltà ad ammettere che un atteggiamento positivo possa aiutare nel far superare una

malattia (e che uno negativo possa peggiorarla)

In che modo l’ospedalizzazione impedisce l’elaborazione e lo sviluppo cognitivi?

E’ stato provato in adulti e bambini che stati emotivi negativi, o depressioni, inducono nel pensiero delle

distorsioni sistematiche (bias) nella percezione degli eventi pregressi anche positivi, e nella proiezione nel

futuro.

Questo e’ quello che presumibilmente capita ai bambini in ospedale, in cui l’esperienza come pazienti e’ di

tipo negativo e il contesto limitato e limitante rende difficile adottare le strategie di “distrazione”, cioè

pensare a, o fare, cose più interessanti.

CAPITO

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher m_gly91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Benelli Beatrice.