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IL GIOCO DI FINZIONE
A partire dal secondo anno di vita, il gioco di finzione cambia e diventa:
- flessibile meno dipendente da indicazioni e spunti esterni;
- elaborato il bambino impara a fare più azioni “per finta”.
Nello stesso periodo, il bambino è anche in grado di comprendere i seguenti aspetti di tale attività:
- condizioni una volta che il compagno di gioco ha stabilito una condizione per l’episodio
in corso, il bambino di due anni è in grado di comportarsi in modo coerente con i diversi
oggetti a cui sono state assegnate determinate identità, anche sfruttandone le caratteristiche
(ex. A dice che una scatola è una vasca da bagno e B finge di riempirla di acqua). Egli,
inoltre, attribuisce la stessa identità ad oggetti della medesima categoria, pur riconoscendo la
condizione del gioco come transitoria (il che significa che, in un successivo episodio, essa
viene meno ed il piccolo riesce ad adottarne una diversa);
- potere causale il bambino applica al gioco di finzione i nessi causali che sono veri per il
mondo reale;
- sospensione della verità oggettiva se si chiede al bambino di descrivere che cosa stia
accadendo in un episodio, egli lo fa non in senso letterale, bensì attenendosi alla condizione
che è stata posta (ex. non nomina l’oggetto reale, ma la sua funzione “come se”). In questo
modo, prende vita il mondo di fantasia;
- concatenazione causale di eventi anche nel gioco di finzione, il bambino non perde di
vista le regole della causalità ed è in grado di immaginare una concatenazione di eventi.
Al di sotto dei due anni, invece, il bambino fa difficoltà a rispondere adeguatamente ad un
compagno di gioco di finzione; anche a quell’età, comunque, possono esserci delle differenze
individuali, forse legate allo sviluppo delle abilità linguistiche ed alla motivazione: tali
caratteristiche sono stabili e possono influenzare lo sviluppo cognitivo. Entro i due anni, in ogni
caso, il bambino deve essere capace di partecipare al gioco di finzione condiviso, cioè:
- deve sapere interpretare le condizioni stabilite dal compagno;
- deve ricordare la condizione per tutta la durata dell’episodio;
- una volta concluso l’episodio, deve tornare a considerare gli oggetti per quello che
realmente sono e non più in funzione di ciò che possono rappresentare. Tali oggetti sono
definiti “ausili oggettuali”.
Secondo Piaget, col gioco di finzione il bambino rappresenta la realtà, anche quando usa ausili
oggettuali per rappresentare oggetti che non ci assomigliano. Harris, invece, sostiene che il bambino
possa ispirarsi alla realtà (e soprattutto alle azioni quotidiane) per il suo gioco, ma senza per questo
necessariamente ricrearla in esso: non vi è, quindi, riferimento ad episodi reali.
Dal punto di vista piagetiano, il bambino non ha davvero immaginazione, ma essa gli viene
attribuita dal senso comune: se davvero ne avesse, infatti, non riproporrebbe nel gioco le relazioni
causali osservate nella realtà e non avrebbe limiti. Harris, al contrario, ritiene che il bambino usi
l’immaginazione rifacendosi al mondo reale solo per rendere coerenti le diverse alternative alla
realtà che arriva a formulare.
IL GIOCO DI RUOLO
A due anni, il gioco di ruolo diventa un’importante forma di interazione con i pari. Si tratta di un
gioco di finzione (con o senza ausili oggettuali) in cui il bambino, temporaneamente, assume
un’identità diversa dalla propria, cambiando azioni e discorsi. Nell’impersonare un determinato
ruolo, il bambino può servirsi o meno di ausili oggettuali; analogamente, può decidere di non
assumere personalmente un’identità diversa, bensì di attribuirla ad un oggetto (ex. una bambola).
Nel gioco di ruolo, il bambino adotta del tutto il punto di vista del personaggio interpretato, il che
significa che:
- usa espressioni (anche deittiche) idonee per far riferimento alla sua esperienza;
- cambia umore e tono di voce
- descrive emozioni e sensazioni coerenti con l’episodio;
- commenta adeguatamente la sua esperienza percettiva.
Tra i due ed i tre anni, è tipica la comparsa del compagno immaginario, che corrisponde ad un gioco
di ruolo che non si esaurisce in un solo episodio, ma si protrae anche per mesi. Il compagno
invisibile ha un nome ed anche se non ha base oggettiva è considerato reale dal bambino, che vi fa
riferimento nelle conversazioni o ci gioca. Un tempo si pensare che l’avere un compagno
immaginario fosse tipico di bambini con disturbi relazionali, ma ad oggi si sa trattarsi di un
fenomeno molto diffuso.
La sovrapposizione tra il compagno immaginario ed il gioco di ruolo riguarda i seguenti punti:
- il bambino può impersonare il suo stesso compagno immaginario;
- può farlo interpretare da un ausilio oggettuale;
- può crearlo dal nulla e collocarlo nell’ambiente esterno reale.
Nel gioco di ruolo, il bambino non si basa su script e questo è dimostrato dal fatto che le sue
interpretazioni delle diverse identità sono sempre flessibili e, soprattutto, non è detto che i
personaggi in cui si cala siano entità di cui abbia già avuto esperienza (ex. creature immaginarie). Si
parla, quindi, di “simulazione” per giustificare la flessibilità dimostrata dal piccolo, che decide
come impersonare il suo ruolo facendo affidamento su teorie dominio-specifiche interenti i campi
della Biologia, della Fisica e della Psicologia; più in generale, il bambino si rifà alle conoscenze di
cui già dispone (ex. sul comportamento di oggetti solidi etc.).
Secondo Svendsen, i bambini con compagni immaginari hanno più spesso problemi legati alla
personalità (timidezza ed aggressività con i pari); i suoi studi presentano, però, errori metodologici,
come la mancanza di un gruppo di controllo e la selezione di un campione non randomizzato.
Ricerche più recenti, infatti, hanno dimostrato che i bambini con compagni immaginari hanno una
maggiore capacità di comprensione degli stati mentali altrui, nonché di risoluzione dei test di FC.
Per quanto riguarda le implicazioni del gioco di finzione nella comprensione della mente, si può far
riferimento a due ipotesi:
- H1 questo tipo di attività aiuta il bambino a comprendere le funzioni delle
rappresentazioni mentali. Partecipare al gioco potrebbe far capire che le azioni delle persone
possono esser guidate dalle loro rappresentazioni mentali della realtà, che possono anche
essere FC. E’ anche vero, però, che a 2-3 anni il bambino considera il gioco meramente
un’attività ludica, perciò non è detto che questo diventi una fonte di riflessione. Allo stesso
modo, il comportamento di un soggetto guidato da una FC potrebbe essere interpretato dal
piccolo non in quanto tale, bensì come finzione, dato che nel gioco funziona così;
- H2 (modello di simulazione) il gioco di finzione aiuta lo sviluppo della capacità di
comprensione della mente nella misura in cui richiede al bambino di simulare un soggetto
diverso da sé, il che lo mette i condizione di “capire il personaggio”. Questa abilità è la
stessa che permette, nelle situazioni reali, di avanzare previsioni sul comportamento altrui:
ciò che cambia è solo l’output. Quest’ultimo è online nel gioco (ove corrisponde ad un
comportamento) ed offline nelle previsioni (in questo caso, infatti, si presenta sotto forma di
rappresentazione mentale).
Le dimensioni tipiche del gioco di finzione sono le seguenti (di cui le ultime due correlano
positivamente con la prestazione nei compiti di FC tra i 3 ed i 5 anni):
- affermazioni circa l’episodio, ovvero sua pianificazione;
- proposte di attività collettive;
- assegnazione di un ruolo a sé e/o al compagno.
Il gioco di finzione condiviso correla con buone prestazioni nei test di ToM, al contrario di quello
solitario: tale evidenza collima con quanto sostenuto dal modello di simulazione e no con quanto
affermato dall’ipotesi inerente la comprensione delle rappresentazioni mentali (H1). A 33 mesi, solo
l’interpretazione dei ruoli risulta correlata con la comprensione delle FC; si è visto, però., che il
ruolo interpretato deve essere quello di un essere animato (non un veicolo, ad ex.), affinché ci sia
comprensione degli stati mentali.
Sono state riscontrate delle differenze individuali presenti già dalla prima infanzia per quel che
riguarda la partecipazione al gioco di ruolo, tra cui la maggiore stimolazione dovuta al fatto di
vivere con dei fratelli maggiori e l’avere un compagno immaginario (è tipico dei bambini che fin da
subito prediligono i giochi di fantasia a quelli manipolativi). In sintesi, non si sa molto sulle
differenze individuali, ma si sa che i bambini che si dedicano al gioco di ruolo più spesso e con
impegno sono anche quelli che sviluppano una migliore capacità di comprensione del punto di vista
dell’Altro. L’assenza del gioco di finzione a 18 mesi permette di porre diagnosi di autismo: i
bambini affetti da questa patologia, infatti, raramente si dedicano a questo tipo di attività se non
sono stimolati a farlo e presentano dei deficit nella comprensione delle FC.
Il gioco di ruolo può essere visto come un precursore dell’esperienza della lettura nell’adulto, che
determina il così detto “spostamento soggettivo” (subjective displacement), con l’assunzione di una
prospettiva diversa dalla propria. In particolare, i seguenti elementi accomunano la lettura al gioco
di ruolo infantile:
- collocazione mentale in uno spazio immaginario;
- punto di vista adottato corrispondente a quello del protagonista questo punto va contro la
piagetiana nozione di egocentrismo, ma studi recenti han dimostrato che, con scene meno
complesse dei plastici utilizzati da Piaget ed in un contesto più familiare, anche bambini in
età prescolare sanno risolvere correttamente il compito.
Il gioco di ruolo, pertanto, sembra avere una sua continuità nella lettura, come avvalorato anche da
studi di memoria testuale: i bambini coinvolti hanno ricordato più facilmente il contenuto del brano
se questo era scritto con verbi compatibili con la prospettiva del personaggio principale. Delle
differenze tra le due attività, tuttavia, ci sono e consistono nella maggiore autonomia del primo (ove
nulla è già scritto) e nell’esecuzione di azioni da un lato contrapposta al solo atto mentale dall’altro.
IMMAGINAZIONE ED EMOZIONI
Tanto i compagni immaginari quanto i mostri sono stimoli in grado di provocare, nel bambino,
reazioni emotive intense, simili a quelle che suscitano i libri e