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Capitolo 4: RAPPRESENTARE GLI OGGETTI E I PUNTI DI VISTA
Piaget sosteneva che l'egocentrismo permea il pensiero del bambino piccolo ed è un grave limite di tipo generale alla sua conoscenza del mondo. Inoltre affermava che i bambini si affidano semplicemente al punto di vista percettivo quando valutano la prospettiva visiva degli altri e che non sono in grado di comprendere come il punto di vista altrui possa essere diverso dal loro.
Per misurare l'abilità di rappresentare gli oggetti e i punti di vista assumendo la prospettiva altrui, sono stati utilizzati vari compiti, tra cui il più significativo è quello delle "tre montagne": in pratica, i bambini venivano fatti sedere davanti ad un plastico in cui vi erano tre montagne l'una diversa dalle altre, ma il bambino naturalmente vedeva solo una prospettiva; al bambino venivano fatte vedere delle foto con le diverse prospettive che un osservatore poteva vedere: Piaget ha ipotizzato che
I bambini al di sotto dei 7 anni non riescono a mettersi nei panni degli altri e vedono solo il loro punto di vista come l'unico possibile. In un altro esperimento, Liben ha chiesto a bambini di 3 e 4 anni di riportare la percezione di alcuni cubi colorati (su una scheda), secondo la prospettiva propria e dello sperimentatore. È emerso che i bambini hanno avuto notevoli difficoltà. Liben ha spiegato ciò in base alla distinzione tra due livelli evolutivi nella conoscenza della percezione visiva proposta da Flavell, che si basa sulle idee di Piaget:
- Al 1° livello, i bambini piccoli possono inferire che un certo punto di vista non coincide con il loro, ma non riescono a riconoscere in che cosa questi punti di vista differiscano.
- Al 2° livello, i bambini non solo sanno che gli altri hanno prospettive differenti, ma sono in grado di indicare in che cosa si differenzino questi punti di vista.
Inoltre, Flavell, in una sua ricerca, ha mostrato a bambini di 3 anni un bicchiere.
di latte avvolto in un filtro di carta rossa e ha dimostrato che questi bambini non riescono a distinguere bene tra al vera natura di una sostanza e le sue sembianze, quando compare trasformata mediante filtri colorati, maschere o travestimenti: quindi, nei bambini piccoli la differenza tra apparenza e realtà è parziale o nulla (vedi cap.2).
Tuttavia, ricerche seguenti dimostrano il contrario e cioè che i bambini riescono a distinguere bene tra al vera natura di una sostanza e le sue sembianze, quando compare trasformata mediante filtri colorati, maschere o travestimenti.
La spiegazione di quest'ultimo risultato potrebbe dipendere dalle forme di interrogazione che, se violano le regole della quantità e della pertinenza, impediscono ai soggetti di rivelare la propria conoscenza sulla percezione tra apparenza e realtà. Tali forme di interrogazione consistono a volte in una serie di domande ripetute o prolungate oppure formulate in maniera tale che i bambini
Le percepiscono come se implicassero risposte ovvie, sciocche, inutili o impossibili. Anche DeLoache sostiene la tesi di Flavell, affermando che i bambini hanno una conoscenza scarsa o addirittura nulla della distinzione tra apparenza e realtà, e che l'abilità infantile di rappresentare la collocazione degli oggetti nello spazio può cambiare molto rapidamente e dipende dalla maturazione: infatti, in un esperimento ha dimostrato che i bambini di 2 anni e mezzo (a differenza di quelli di 3 anni) non sono in grado di ritrovare un oggetto posto nella stanza e collocato nello stesso posto nel modello in scala della stanza.
Tuttavia, in lavori più recenti DeLoache ha dimostrato che anche i piccoli di 2 anni e mezzo sono spesso in grado di usare un modello su scala diversa per localizzare un oggetto in una stanza, se prima ne acquisiscono esperienza osservando o un simbolo familiare (come un'immagine che mostra la posizione dell'oggetto) o un modello.
inscala che sia molto simile alla stanza. Quindi, a differenza di quanto affermava Piaget, i bambini piccoli possono avere una certa conoscenza delle proprietà degli oggetti osservati da prospettive diverse, e comprendono che la percezione visiva altrui spesso non corrisponde alla loro (anche se non usano questa conoscenza per rispondere alle domande dell'esaminatore).
Spesso gli adulti parlano di concetti nella mente infantile, affermando che vi è una "teoria della mente" nel bambino.
La ricerca sperimentale che si occupa della teoria della mente ha affrontato 2 questioni principali:
- la prima riguarda il fatto se i bambini sanno che le loro credenze possono essere diverse dalle false credenze altrui alcuni ricercatori, in un esperimento, hanno esaminato 32 bambini con un'età media di 3 anni e 5 mesi: ogni bambino veniva portato in una stanza (mentre l'amico restava fuori) dove gli veniva mostrata una scatola di Smarties. I piccoli pensavano
riconoscere se una falsa affermazione era una bugia o un errore (utilizzando al posto del termine menzogna il termine errore, per contrastare la forte connotazione morale del termine mentire che può indurre a pensare che il parlante sospetti che una menzogna si sia effettivamente verificata): infatti, abbiamo mostrato a bambini dai 3 ai 5 anni due orsetti di peluche dei quali uno aveva visto che del pane apparentemente commestibile era stato contaminato dalla muffa, mentre l'altro non aveva visto la sostanza contaminante. La storia narrava che entrambi gli orsi avevano detto ad un amico (che era all'oscuro di tutto) che il pane era buono da mangiare: per cui, quando si chiedeva ai bambini se un orso stesse mentendo o stesse commettendo un errore, molti di loro rispondevano che l'orso che aveva visto la muffa stava mentendo, mentre l'orso che non aveva visto la muffa stava commettendo un errore. Questi studi sono utili per comprendere anche come i bambini usano la
loroconoscenza per fornire una testimonianza precisa.