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IL PREGIUDIZIO TRA I GRUPPI
Il pregiudizio è un processo che porta ad attribuire a una persona sconosciuta le caratteristiche ritenute
tipiche del suo gruppo di appartenenza. Questo tipo di giudizio è chiaramente ingiusto verso la persona che
lo subisce, dato che non tiene in considerazione le sue reali caratteristiche, ma si basa esclusivamente su
un preconcetto riguardante la categoria sociale cui appartiene.
Le diverse forme di pregiudizio
Al giorno d'oggi, sono poche le persone che esprimono in modo chiaro e manifesto i propri stereotipi.
Questo significa che il pregiudizio è ormai scomparso? Evidentemente no. I fenomeni di razzismo,
discriminazione, segregazione sono piuttosto molto frequenti nelle nostre città. Il fatto è che i concetti di
morale ed etica sono mutati nel corso degli anni: esprimere apertamente un pregiudizio non è più
socialmente accettabile. Allora il pregiudizio ha preso altre vie, più sottili e nascosti.
Pregiudizio manifesto e latente
Il pregiudizio manifesto è il pregiudizio vecchio stile, carico di percezioni e sentimenti ostili, che ormai nelle
società moderne viene raramente espresso apertamente. Il pregiudizio latente invece è una forma
moderna di preconcetto, più distaccata, che si esprime in forme socialmente accettabili.
Secondo Pettigrew e Meertens ritengono che il pregiudizio manifesto fa riferimento soprattutto a due
dimensioni. La prima, chiamata percezione di minaccia e rifiuto dell’outgroup, si riferisce alla percezione
che i membri dell’outgroup sono una minaccia per il proprio gruppo; la seconda componente del pregiudizio
manifesto è il rifiuto dell'intimità: essa si riferisce a una forte resistenza emotiva verso qualsiasi tipo di
contatto intimo tra membri di ingroup e outgroup.
All'interno del pregiudizio latente sono identificabili tre dimensioni, tutte esprimibili e accettabili nelle società
occidentali:
La difesa dei valori tradizionali: si riferisce all'opinione secondo cui i membri dell’outgroup agiscono
in modi inaccettabili, dato che non seguono le norme comportamenti della maggioranza;
segregazione delle differenze culturali: le differenze presenti tra ingroup e outgroup vengono
esagerate e caricate di valore;
la negazione di emozioni positive: provare emozioni negative verso persone appartenenti
all’outgroup sarebbe politicamente scorretto. La forma accettabile di questo giudizio emotivo si
trasforma allora nel fatto di non poter provare emozioni positive nei loro confronti.
Secondo Pettigrew e Meertens l’incrocio tra queste due forme di pregiudizio dà luogo alla definizione di
diverse tipologie di persone: chi mostra alti livelli sia di pregiudizio manifesto che latente ha più probabilità
di essere razzista e discriminativo, queste persone vengono definite bigotte. Chi invece, non mostra
pregiudizi manifesti, ma esprime pregiudizio sottile o latente, viene definito sottile. I veri egalitari sono quelli
che non esprimono né un pregiudizio manifesto né latente: essi sarebbero le uniche persone realmente
prive di pregiudizi.
Pregiudizio esplicito e implicito
I processi espliciti sono consci, deliberati e controllabili dagli individui. I processi impliciti invece avvengono
in assenza di consapevolezza e non sono attivabili intenzionalmente.
Dovidio e Gaertner ritengono che le persone che non esprimono pregiudizi possano avere una sorta di
doppia rappresentazione mentale dei gruppi estranei, composta da elementi sia negativi e positivi. Gli
aspetti negativi derivano dal processo di socializzazione, durante il quale le persone sono esposte agli
stereotipi negativi dei gruppi estranei. Questi stereotipi si fisserebbero nell'inconscio degli individui, e quindi
sarebbero spinti, in modo del tutto inconsapevole, ad opinioni e pensieri carichi di giudizio. Gli elementi
positivi invece sarebbero frutto del processo conscio. Per questo tipo di duplice atteggiamento gli autori
hanno proposto il termine razzismo avversivo.
Esso sarebbe tipico, paradossalmente proprio di quelle persone che esprimono opinioni e atteggiamenti
egalitari.
In definitiva, i loro atteggiamenti risulterebbero egalitari a livello conscio, ma negativi e discriminativi a
livello inconsapevole.
Come si misura il pregiudizio implicito? La prima metodologia si basa sul fatto che quando le persone
pensano di non essere osservate si comportano in modo spontaneo, non controllato.
Un'altra misura del pregiudizio implicito è legata all'utilizzo del linguaggio. Quando si descrive un
comportamento attuato da persone appartenenti all’outgroup infatti, si tende a utilizzare un linguaggio
astratto se si tratta di descrivere un comportamento negativo, mentre si predilige un linguaggio concreto se
il comportamento è positivo. Il contrario avviene se i comportamenti sono messi in atto da membri
dell'ingroup.
Dato che le descrizioni astratte influenzano direttamente lo stereotipo della categoria a cui la persona
appartiene, mentre le descrizioni concrete e specifiche vengono trattate prevalentemente come casi singoli,
il risultato di questa discrepanza è che il contenuto dello stereotipo dell’outgroup viene alimentato e
confermato da informazioni astratte di valenza negativa, mentre non viene alterato da casi specifici e
concreti di valenza positiva. Per l’ingroup invece, avviene esattamente il contrario.
Un terzo tipo di misurazione del pregiudizio implicito utilizza i tempi di risposta in compiti svolti al computer.
In questi casi alcune rappresentazioni dell’ingroup e dell’outrgoup vengono presentate per un periodo di
tempo limitato, queste rappresentazioni possono essere delle etichette linguistiche o dei volti di persone e
fungono da innesco per un giudizio successivo.
Subito dopo la presentazione di una di queste rappresentazioni, viene spesso presentata una parola-
stimolo che può essere un aggettivo che esprime una qualità positiva o un aggettivo che si riferisce a
qualcosa di negativo. Per ognuna di queste parole il partecipante deve esprimere un particolare giudizio.
La velocità nel fornire il giudizio viene considerata un indice della presenza di una associazione, nella
mente del partecipante, tra la categoria attivata dal prime e la qualità espressa dalla parola- stimolo.
Questo indica la presenza di pregiudizi impliciti. (italiani – immigrati)
Pregiudizio ed emozioni
Due sono i campi di indagine sorti in riferimento alla tematica che lega i pregiudizi alle emozioni e quindi ai
vissuti dell’individuo. Nel primo si studiando le emozioni che le persone sperimentano verso i membri
dell’outgroup.
Le emozioni negative che possono essere associare ai membri dell’outgroup sono essenzialmente cinque:
paura,disgusto, rabbia, disprezzo e gelosia. A ognuna di queste emozioni corrisponde una particolare
tendenza all’azione. La paura e il disgusto, che possono essere associati a una percezione di minaccia ai
valori o all’esistenza stessa del proprio gruppo portano ad allontanarsi dai membri dell’outgroup.
Rabbia e disprezzo possono comportare atti di aggressione verso i membri di gruppi estranei. La gelosia
verso i gruppi che possiedono più ricchezza e benessere e , di conseguenza, attuare comportamenti e
azioni collettive allo scopo di sovvertire la situazione. Altri autori hanno identificato nell'ansia una variabile
cruciale, ritengono che sia generata dall'idea di interagire con una persona sconosciuta appartenente
all’outgroup. Questa emozione, a sua volta, porta all'attuazione di strategie difensive, di chiusura nei
confronti dell'altro. Naturalmente, è possibile trovare anche emozioni positive nei confronti dei membri del
gruppo esterno. Un esempio è l'empatia che si può sentire nei confronti dei gruppi svantaggiati e
discriminati. Batson ritiene che il fatto di mettersi nei panni degli altri, di vedere le cose dal loro punto di
vista, sia uno dei principali antidoti del pregiudizio.
Il secondo filone di ricerca relativo al legame tra emozioni e pregiudizio non si basa sugli stati d'animo
affettivi che le persone sperimentano versi i membri dell’outgroup, ma sulle emozioni e i sentimenti che
vengono loro attribuiti. Le persone tendono a distinguere tra emozioni primarie ed emozioni secondarie. Le
emozioni primarie, sono ad esempio gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa, sono quelle
emozioni viscerali che sorgono in relazione a particolari stimoli esterni, e possono essere considerate
tipiche sia degli uomini sia di alcuni animali. Le seconde, tra cui si annoverano affetto, ammirazione,
orgoglio, nostalgia, rimorso, sono invece il prodotto di interazioni sociali ed elaborati processi mentali di tipo
attivo, e sono da considerarsi tipiche dei soli esseri umani. Le persone ritengono che le emozioni
secondarie vengono provate più dai membri dell’ingroup che da quelli dell’outgroup.
Personalità autoritaria e fattori educativi
L'autorità dei genitori è vista come una potenziale fonte di punizioni, viene rispettata e temuta. Il bambino
sviluppa un fortissimo senso del dovere, che si traduce in un rigido conformismo alle regole. Come viene
sfogata allora l'aggressività provocata dalle pulsioni represse? Viene rivolta verso due tipi di persone: da un
lato i più deboli, che non possono reagire o che comunque non sono percepiti come minacciosi; dall'altro
tutte quelle persone che non rispettano le regole, le cui trasgressioni sono ritenute inconcepibili e
pericolose. Questa situazione, reiterata nel corso degli anni, si fissa in una particolare sindrome di
personalità, la personalità autoritaria, che rappresenta una proiezione delle figure genitoriali.
La teoria della personalità autoritaria è stata inizialmente accolta in modo molto favorevole dagli studiosi.
Prima di tutto perché confermava alcune osservazioni del senso comune, secondariamente, perché la
teoria era piuttosto rassicurante. Tuttavia, nel corso degli anni sono sorti problemi sia di tipo teorico che
metodologico. Il problema principale è che la teoria è acontestuale e astorica, cioè non tiene conto della
situazione politica, sociale ed economica in cui pregiudizi e conflitti sorgono.
Un secondo problema è di carattere puramente metodologico. Adorno infatti, oltre a proporre il concetto di
personalità autoritaria, aveva anche elaborato uno strumento di misura: la scala F ovvero la scala di
fascismo. La scala era fondamentale per la verifica e l'applicazione pratica della teoria, dato che
permetteva di rilevare chi fossero le persone maggiormente dotate di personalità autoritaria. Tuttavia
emersero dei chiari problemi in relazionale alla scala che finirono per coinvolgere l'intera teoria. Il più grave
era che i punteggi fatti registrare nella scala dai medesimi soggetti tendevano a cambiare nel tempo;
questo apparve chiaramente problematico per u