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Estratto del documento

L’effetto di diluizione, però, mostra come le caratteristiche irrilevanti possano arrivare a mettere in

secondo piano quelle diagnostiche, ovvero le caratteristiche stereotipiche: esso è un prodotto

dell’euristica della rappresentatività, che fa sì che ogni caso venga considerato come paradigmatico

della categoria a cui appartiene; ne deriva che le informazioni poco rilevanti riducono l’attivazione

dello stereotipo, perché evidenziano le differenze tra gli attributi individuali e quelli categoriali.

Pare che le informazioni individualizzanti e di interpretazione univoca possano far sì che

l’osservatore sociale basi le sue impressioni sui comportamenti, senza ricorrere agli stereotipi; al

contrario, un comportamento ambiguo spinge l’osservatore ad interpretarlo attraverso gli stereotipi.

Per esempio, il comportamento espresso dalla frase “ha colpito uno che lo/la infastidiva” assume

una valenza diversa a seconda che sia attribuito allo stereotipo del camionista od a quello della

casalinga: ciò nonostante, se si può conoscere il significato effettivo della frase di cui sopra, allora il

comportamento viene giudicato indipendentemente da chi lo ha messo in atto. Va da sé, quindi, che

anche lo stereotipo legato ad un ruolo professionale non possa orientare il giudizio dell’osservatore

verso l’attribuzione di un tratto di personalità, nei casi in cui si disponga di sufficienti informazioni

individualizzanti e diagnostiche; nonostante questo, esso può ancora giungere ad influenzare le

aspettative comportamentali che si hanno su quel determinato target e questo ha luogo perché

l’aspetto individualizzante è rilevante per alcune dimensioni e non per altre. Nella vita di tutti i

giorni, non sempre c’è il tempo di reperire tutte le informazioni disponibili su una persona: per

esempio, quando le risorse cognitive sono ridotte, si è maggiormente inclini a propendere per gli

stereotipi, che richiedono meno sforzo. Essi, infatti, sono come delle scorciatoie cognitive, cioè

delle euristiche che rendono possibile l’elaborazione, rapida e non eccessivamente richiedente, di un

giudizio sugli oggetti sociali: vi è, comunque, un prezzo da pagare, che è rappresentato dal fatto che

un giudizio fondato su stereotipi non possa che essere meno adeguato di quello basato su una

conoscenza più approfondita. L’applicazione delle conoscenze stereotipiche, perciò, viene inibita

solo quando si dispone di abbastanza energie cognitive.

Quando si percepisce minacciata la propria autostima, si avverte il bisogno di porvi rimedio, che è

tanto più intenso quanto maggiore è stata l’offesa subita. Una delle modalità per soddisfare questa

necessità consiste nel confrontarsi con qualcuno di incompetente: del resto, la tendenza ad applicare

stereotipi negativi sugli altri è direttamente proporzionale al bisogno di riaffermare il proprio valore.

In sede sperimentale, è stato dimostrato, tra l’altro, come il campione attribuisse al target una

valutazione negativa se precedentemente svalutato da esso, mentre non sono state rilevate

differenze valutative nei casi in cui il campione aveva ricevuto un feedback positivo dal target.

Solo nel momento in cui si è realmente interessati a formarsi un’impressione più accurata dell’altro,

o si notano in lui delle caratteristiche che vanno contro le aspettative derivanti dallo stereotipo,

allora si tende a prestare più attenzione alle informazioni individualizzanti ed a ricorrere di meno

alle rappresentazioni stereotipiche. Ci sono molti modelli che descrivono come si formino le

impressioni sulle altre persone e due di questi sono considerati particolarmente adeguati: il modello

del continuum di Fiske & Neuberg ed il modello duale di Brewer. Entrambi sostengono che

l’impressione su un certo bersaglio si fondi, per lo più, su informazioni di tipo categoriale od

individualizzante, ma, nonostante questo, la prima impressione deriva dalle conoscenze che si

hanno circa la categoria di appartenenza: ciò accade perché l’uso delle conoscenze categoriali è un

processo di default nella formazione delle impressioni. A consentire il passaggio alla

considerazione delle caratteristiche individualizzanti possono essere due fattori, di cui uno

dipendente dal tipo di informazione a cui si è esposti e l’altro determinato dalla motivazione e dalle

risorse cognitive del momento. Il tipo di elaborazione delle informazioni, quindi, può essere:

- bottom-up (o data-driver) l’elaborazione si basa sugli attributi che vengono percepiti

nell’ambiente;

- top-down il processo di individuazione ha luogo per via di uno scopo proprio

dell’osservatore.

Un’impressione che si basi su caratteristiche individuali fa sì che il target venga percepito in quanto

singolo e non come esemplare di una categoria. Per quanto concerne i processi top-down, è stato

dimostrato che persone impegnate in un compito parallelo (per esempio, l’esecuzione di semplici

operazioni aritmetiche) a quello della formazione dell’impressione riportano più informazioni

categoriali rispetto a persone impegnate, solo, nella formazione dell’impressione. Sembra, quindi,

che il processo di individualizzazione sia molto richiedente in termini di risorse cognitive,

soprattutto se confrontato con quello di elaborazione categoriale. Inoltre, soggetti a cui è stato

chiesto di comunicare a terzi la propria impressione su un certo target hanno elaborato le

informazioni sulla base delle caratteristiche idiosincratiche e non categoriali. Infine, si definisce

l’accountability quella condizione in cui la persona, inserita in un certo contesto sociale, sa di dover

rendere note le proprie opinioni, i propri comportamenti e le proprie scelte e, di conseguenza, tende

ad emettere dei giudizi sulla falsa riga delle posizioni assunte dall’audience. Questo, però, può esser

fatto solo quando tali prese di posizione sono note: in caso contrario, si opta per delle posizioni che

siano semplici da difendere in pubblico.

CAPITOLO 4 – LA MINACCIA INDOTTA DALL’ATTIVAZIONE DELLO STEREOTIPO

La teoria dell’autoconsapevolezza oggettiva di Duval & Wicklund sostiene che gli individui

abbiano due rappresentazioni di sé: una che descrive le caratteristiche realmente possedute ed una

che fa riferimento ad una condizione ideale di tratti e di comportamenti, molto vicina alla

perfezione e difficilmente raggiungibile, ma che le persone percepiscono, comunque, come

un’effettiva parte di se stesse. Di conseguenza, quando sono messe di fronte all’evidenza, provano

un forte disagio, dovuto alla discrepanza tra i due Sé, che determina un calo dell’autostima.

La proposta teorica della minaccia legata all’attivazione di uno stereotipo (stereotype threat) di

Steele & Aronson afferma che non sia raro che un membro di un gruppo stigmatizzato finisca per

confermare le aspettative legate al suo stereotipo, il che va a “rassicurare” chi crede nelle

conoscenze stereotipiche. E’, quindi, importante non solo studiare gli stereotipi, ma anche

considerare i fenomeni complementari che possono originarsi dai pregiudizi: la dinamica degli

stereotipi, infatti, non è unidirezionale, ma circolare. L’assunto di base della stereotype threat è che

tale minaccia dello stereotipo si esprima nel modo in cui le aspettative altrui inerenti gli esiti di un

successo o di un fallimento in una prestazione influenzano davvero la persona che ne è il bersaglio.

Essa, infatti, avverte la propria debolezza, poiché teme di confermare lo stereotipo che le è

associato: è proprio questa esperienza psicologica di minaccia che va a determinare delle alterazioni

nella performance che, effettivamente, confermano le aspettative. Su questo fenomeno sono state

condotte diverse ricerche empiriche, di cui si elencano alcuni contributi:

- gli afro-americani sono considerati inferiori agli euro-americani per quanto riguarda le

abilità linguistiche. In un esperimento, mentre la prestazione dei partecipanti euro-americani

non è variata in modo significativo a seconda della prova, quella degli afro-americani è

peggiorata drasticamente proprio nella prova diagnostica, ovvero quella in cui è stato

attivato lo stereotipo premettendo che la prova avrebbe valutato le abilità linguistiche e non

quelle di soluzione dei problemi. Tale effetto sembra poter essere ascrivibile ad un aumento

del senso di inadeguatezza esperito dal target, che può anche decidere di abbandonare

l’attività in cui è considerato (e si considera) carente, convincendosi che, in ogni caso, essa

non sia abbastanza importante da meritare impegno;

- le donne sono classicamente reputate poco abili in matematica. Se la prova a cui sono

sottoposte viene considerata diagnostica delle loro abilità matematiche, si attiva la minaccia

dello stereotipo che porta alla percezione del rischio di confermare, con la propria

performance, un’aspettativa negativa: questo conduce all’ottenimento di esiti decisamente

scoraggianti.

Un altro stereotipo, vuole che gli uomini abbiano una scarsa intelligenza sociale e che le

donne dispongano di una bassa intelligenza logica: i cali di prestazione non avvengono in

modo generalizzato per il solo fatto di trovarsi in una situazione di confronto, ma sono

associati ad ambiti di competenza legati ad uno stereotipo negativo su un gruppo sociale.

Inoltre, quando gli stereotipi negativi vengono resi salienti, essi possono portare ad una

diminuita prestazione, anche, da parte di chi appartiene al gruppo considerato dominante: la

minaccia dello stereotipo, quindi, riguarda sia i gruppi stigmatizzati sia quelli di status

superiore.

Le persone sono soggette alla minaccia dello stereotipo, perché l’origine di questo viene

considerata genetica. Per esempio, per quanto riguarda le donne e la matematica, esse sono

risultate meno, o per nulla, soggette alla minaccia dello stereotipo, quando è stata proposta

loro una spiegazione esperienziale e non genetica delle sue origini. In questo modo, infatti,

non hanno percepito la caratteristica come facente parte della loro natura;

- per quanto riguarda la minaccia dello stereotipo nelle prestazioni sportive, gli atleti afro-

americani hanno subito i suoi effetti quando la prova, costituita da una partita di minigolf, è

stata presentata come atta a valutare l’intelligenza strategica, mentre gli atleti euro-americani

hanno subito lo stesso quando il compito è stato presentato come indicatore di abilità

naturali sportive.

Le variabili di moderazione sono delle variabili psicologiche, che possono modificare la sensibilità

individuale alla minaccia delle stereotipo. Ne fanno parte: 

- il giudizio di importanz

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Publisher
A.A. 2013-2014
13 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher JennyJenny di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Mosso Cristina.