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SVILUPPO?
Oggi viene insegnata una paradossale psicologia senza corpo. Questa psicologia è orientata ad una
visione della mente come cervello sostanzialmente di ispirazione cognitiva e neurale il cui fine
ultimo, pur con le dovute e debite eccezioni, sembra essere una sorta di toponomastica descrittiva
della mente nella sua operatività formale, che abbiamo chiamato “cognizione cognitiva in vitro”
poiché sconnessa da contenuti giocati e vissuti nella realtà. La scienza psicologica impartita nelle
istituzioni formative è una cognizione virtuale che sembra non interagire di fatto con gli ambienti
reali fuori vitro. La nostra intelligenza non può prescindere dal corpo nel quale è radicata, e a sua
volta il corpo è immerso in una rete di interazioni costanti e ricorsive con gli ambienti, i contesti e le
culture. L’anomalia è che questa psicologia senza corpo rivendica di correggere riabilitando, ma
verrebbe da sospettare che lo intenda fare in senso riprogrammativo visto che elude la senso-
motricità a favore della (neuro) cognition ponendo secondo un modello mentalista una gerarchia e
non una relazione.
Il naturale si riconfigura ad ogni generazione, e oggi esso non è più uno spazio separato dai suoi
attori e dalle culture. Oggi noi non possiamo più distinguere soggetto da oggetto, mente da corpo,
natura da cultura, cervello da mente ecc. perché tutti siamo nella rete delle relazioni che ci
connettono, conviviamo tutti in un sistema allo stesso tempo materiale e immateriale. Entriamo ed
usciamo costantemente dai due contesti, e li conviviamo evolvendo con essi.
Muturana e Varela elaborano il concetto di “inazione” e affermano: quando il soggetto nella sua
unità inscindibile mente-corpo-ambiente e l’oggetto si trovano co-implicati, l’informazione si trova
in circolarità, da cui affiorano proprietà emergenti, non osservabili nelle singole parti in interazione
all’inizio, se non attraverso più forme di conoscenza, descrizione e interazione tra loro irriducibili,
ognuna delle quali illumina un aspetto o livello del processo.
Il digitale estende non solo il nostro corpo in senso fisico-biologico ma estende anche i nostri
processi mentali e i loro contenuti. Siamo tutti dei cyborg operanti in ecosistemi virtuali naturali che
però non possono fare a meno del corpo biologico e della mente culturale che ci hanno portato fin
qua perché il digitale è pur sempre un artefatto umano. Noi siamo un sistema multimediale co-
evolutivo complesso e interattivo che co-evolve, resistendo al modellamento biotecnologico e alla
programmazione cognitiva di una formazione che è adattiva, anaffettiva, anemotiva e soprattutto
oggettivante.
Il corpo non è la prigione scomoda della mente, né viceversa. Esso è la condizione del mentale con-
vissuto nei contesti.
La psicomotricità che forse potrebbe in futuro emergere sul rapporto tra corpo e virtualità, non sia
dunque a sua volta ne solo mito, ne solo mitologia ne rito ne ritualizzazione non sia setting e quindi
elemento di chiusura, di separazione ma occasione e con-testo per essere struttura-che-ci-connette:
corpo a corpo, corpo nel corpo, corpi.
Il fantasma d’azione che si costruisce in molti videogiochi non è dissimile da quello che si genera
nel gioco di finzione tipico dell’infanzia: la rappresentazione di sé nello spazio del gioco trascende
la normale possibilità corporea, ed è proprio questa trascendenza che costituisce la base senso-
motoria delle capacità simulative tipiche della storia dell’essere umano.
CAP. 2 “FARE UN GESTO”: PEDAGOGIA DEL CORPO COME FILOSOFIA SENSIBILE
L’Io è diffuso, indefinibile e indefinito ma se cerco di individuarlo il primo “io” che sente e sa di
esserlo è quello che si identifica con il mio corpo: il mondo è l’emanazione di un corpo che lo
penetra. Il corpo è indubbiamente uno dei grandi protagonisti della cultura contemporanea. Ma il
corpo di cui si parla nei luoghi della formazione è un corpo che rischia di risultare depurato e
astratto. Eppure il lavoro di formazione si manifesta attraverso gesti concreti, è un corpo a corpo
che si vive quotidianamente. Esistono delle accezioni possibili in cui noi possiamo intendere il
corpo. Del corpo si potrebbe parlare a proposito:
- dei cambiamenti che si palesano a ogni età della vita
- delle differenza di genere sessuato
- parlare di corpo potrebbe anche voler dire parlare delle pulsioni
- parlare del rapporto tra corpo interno e corpo esterno (la richiesta di qualcuno che ci chiede
di essere visto per esistere)
- parlare di corpo oggi significa anche parlare dei tanti rituali che lo investono. (tatuaggi e
piercing)
- si potrebbe parlare di corpo in relazione al tema dello sballo (droghe)
- si potrebbe parlare di corpo in relazione al rischio (mettere a rischio è un’occasione di
formazione, tanto più in una società che tende a mettere tutto in sicurezza. Ma laddove tutto
è messo in sicurezza, laddove il corpo non può esercitare la sua naturale esigenza di
avventura ecco che viene meno un’occasione formativa).
- Si potrebbe parlare del corpo in relazione ai disturbi alimentari
- Corpo in relazione alla postura (la postura è la condizione fisica ma anche una condizione
psichica e sociale, un modo di essere al mondo).
La maggioranza delle teorie considera la mente come un’entità privato o opaca, nascosta dietro la
maschera del corpo, a volte manifesta attraverso i comportamenti e a volte inaccessibile. Il dualismo
sopravvive alle dichiarazioni d’unità mente-corpo.
Reddy sostiene che per uscire dal dualismo occorre riconoscere che la mente è nient’altro che ciò
che il corpo fa. Restituendo quindi centralità al gesto. Non si può pensare al gesto come qualcosa
che semplicemente fa la mia mano o la direzione che può assumere il mio sguardo, il gesto non può
essere studiato separatamente dal corpo.
Sapere cosa provo attraverso il mio corpo non mi permette di capire solo cosa l’altro prova, ma di
generare un’effettiva sintonizzazione con l’altro. I nostri gesti precedono le intenzioni e potremmo
addirittura dire che non siamo noi a scegliere i nostri gesti ma sono i nostri gesti a scegliere noi.
CAP. 3 CORPI BAMBINI, TRA CURA E INCURIA
• frammenti di una giornata qualunque
il corpo diventa sempre di più la sua rappresentazione, diventiamo corpi perennemente monitorati
trasparenti, disincarnati e la realtà pare divenire quasi un residuo ingombrante, tenuto a margine e
sotto controllo. Ci stiamo abituando a una scomparsa dell’esperienza sostituita da una serie di
attività in cui prevalgono la serialità, la riproducibilità e l’evento: è una rarefazione della memoria e
della capacità di proiettarsi verso il futuro, che ci fa vivere sull’onda dell’istante e in un senso di
precarietà, all’interno della nostra modernità liquida.
• interrogare il mondo a partire dai corpi
ci stiamo abituando a una smaterializzazione dei corpi e a forme di assenza della corporeità: dal
corpo frammentato e trasparente della medicina e delle biotecnologie sempre meno carnale al
corpo-abito della cultura mediatica, identificato con la propria immagine, al corpo bagaglio
appresso, tenuto seduto fermo e privo di parola dei luoghi della formazione, al corpo virtuale della
telematica identificato da un chip o un badge. I nostri corpi di volta in volta diventano una malattia,
un’immagine esteriore e non il soggetto incarnato che noi siamo.
• interrogarsi sull’idea di movimento
oggi dobbiamo parlare di generazione pigra o piuttosto di una generazione poco allenata a una
personale autonomia e a una autoregolazione emotiva tra pari?
• interrogarsi sulle parole, per recuperare il loro corpo
assistiamo oggi ad un logoramento delle parole, al loro sbiadimento.
La centralità, in quanto il corpo è comunque e sempre il destinatario di sguardi professionali,.
Clinici o educativi che siano; marginalizzazione in quanto è poi spesso un protagonista spogliato
dalla sua complessità e ambivalenza simbolica, reso silenzioso, colto più come organismo oggetto
di cure, che come soggetto di interrelazione: reso in-fans, senza parole perché posto in condizione
di non poter dire di sé. Oggi si è abituati a pensare e a parlare più del corpo che vediamo che del
corpo che sentiamo/siamo e quanto sia diffusa non solo la difficoltà a percepirsi, ma a dire il proprio
sentire. Come se emergesse una sorte di diffuso analfabetismo corporeo. C’è un vuoto di parole,
perché ci si pensa e ci si rivolge al corpo oggetto/macchina/prestazione, non si viene allenati al
sentire, a quel passaggio del vissuto dell’esperienza al metter delle parole sul proprio sentire per poi
ritornare all’esperienza arricchiti da una consapevolezza più piena. Manca un allenamento
educativo alla sintonizzazione, alla distanzi azione, all’empatia.
• creare ambienti di apprendimento integrati
l’apporto della psicomotricità educativa specialmente nella sua funzione di prevenzione del disagio,
risulti prezioso in questi tempi di progressiva smaterializzazione dei corpi e di disincarnazione del
sapere. Rendendo meno orfani dei sensi, sollecita una più profonda comprensione dei soggetti. Oggi
essa può e deve trarre nuova forza dall’incontro con una prospettiva pedagogica impegnata non
tanto ad educare il corpo, ma ad attivare una nuova cultura educativa del corpo, e in tal modo
ritengo possa contribuire anche a colmare quel vuoto di pensabilità, dicibilità ed educabilità del
corpo, inteso come pratica di ascolto, cambiamento e progettazione esistenziale.
CAP. 4 IL CORPO IN FORMAZIONE: I LABORATORI DI PSICOMOTRICITà
Nelle attività psicomotorie, l’adulto viene continuamente stimolato a porre attenzione alle
interazioni “corpo-mente-emozioni” del momento presente. Inizialmente l’ascolto è rivolto a se
stessi. In questo modo gradualmente si coltiva nei partecipanti la complessa capacità di saper
accogliere e sostenere l’espressività corporea. Il nostro personale stile corporeo è continuamente
riconosciuto e decodificato dagli altri così come il nostro stile espressivo verbale. Il corpo va inteso
quale punto centrale della relazione con il mondo, integratore di sensazioni, percezioni , emozioni,
cognizioni e pensieri. Il corpo è un organizzatore di senso attraverso l’intenzionalità dell’azione.
I contesti le persone e le esperienza modellano continuamente il nostro essere, caratterizzandolo e
differenziandolo nel percorso evolutivo. A livello professi