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A M
M A
Gli stereotipi possono essere di due tipologie:
1. stereotipi cognitivi: “una serie di generalizzazioni diventate patrimonio degli individui: essi
sono in gran parte derivati del processo cognitivo generale della categorizzazione”;
2. stereotipi sociali: immagine mentale semplificata che riguarda una categoria di persone
(ebrei, neri, femministe..), un’istituzione (la scuola pubblica) o un evento, che viene
‘condivisa’ da grandi masse di persone. Gli stereotipi sociali si accompagnano
generalmente ma non necessariamente al pregiudizio, cioè a predisposizioni favorevoli o
sfavorevoli verso tutti i membri della categoria in questione. Essi sono mutabili nel tempo.
Non è l’oggetto dello stereotipo a distinguerlo tra sociale o cognitivo, ma è il “mondo” a cui
appartiene lo stereotipo. Se esso viene condiviso, allora è sociale; se appartiene solo al frutto della
mia mente, allora è uno stereotipo cognitivo.
Funzioni degli stereotipi sociali
Spiegare eventi sociali complessi e spesso dolorosi (spiegano la realtà).
Giustificare azioni progettate e/o commesse contro membri dell’outgroup.
Differenziare positivamente l’ingroup dall’outgroup; sono una fonte attraverso la quale
preserviamo la nostra identità sociale (che si presume essere positiva).
Tutti i processi intergruppo possono dar luogo a stereotipi sociali.
Esistono stereotipi particolari, chiamati rappresentazioni stereotipiche. Esse sono molto più forti
nell’impatto con la nostra mente, sono meno tollerabili rispetto ad uno stereotipo cognitivo o
sociale che sia. Spesso vengono usate in campagne di propaganda.
Le rappresentazioni stereotipiche sono un chiaro esempio di deumanizzazione esplicita (esistono
esempi di deumanizzazione anche più velati). Nella deumanizzazione l’altro viene visto come un
virus, come una pestilenza (vedi articolo giornalistico letto in classe sulla presenza degli immigrati
nelle mense). Per arrivare alla deumanizzazione però, dobbiamo partire dal concetto di
delegittimazione, cioè la presenza di stereotipi (cioè un insieme di credenze su un gruppo di
persone) caratterizzati da una valutazione estremamente negativa dell’out-group e dalla
negazione della sua umanità.
Tra le forme di delegittimazione, troviamo:
deumanizzazione: categorizzazione di un gruppo come non-umano o sub-umano; i diversi
tipi sono:
o animalizzazione (metafore animalistiche);
o demonizzazione (metafore sovraumane: demone, strega, mostro);
o biologizzazione (metafore biologizzanti: microbo, virus);
o meccanizzazione (robot, automa, decerebrato);
o oggettivazione (oggetto, merce, rifiuto, relitto).
Animalizzazione e demonizzazione sono le forme più frequenti; nel caso della propaganda
razzista, prevalgono animalizzazione e biologizzazione.
NB
: la deumanizzazione non comporta necessariamente la violenza, ma per arrivare a
questa ci devono essere altre condizioni;
infraumanizzazione: non metto in discussione completamente l’umanità dell’altro, ma lo
nego solo un pochino. Nego la sua umanità negando la sua capacità di sentimento umano,
quindi vedo l’altro come incapace di provare gioia, sorpresa o dolore;
trait-characterization: attribuzioni di tratti che sono considerati estremamente negativi e
inaccettabili in una società (aggressori, parassiti);
out-casting: categorizzazione dell’avversario entro gruppi che sono considerati trasgressori
di norme sociali (psicopatici, assassini, terroristi, maniaci);
political labels: categorizzazione entro gruppi politici rifiutati dal gruppo (nazisti, sionisti,
colonialisti, imperialisti, fascisti);
comparison group: il gruppo delegittimato è indicato con termini relativi a gruppi
tradizionalmente usati come esempi negativi (Unni, Vandali).
Anche le costruzioni stereotipiche de umanizzanti hanno lo scopo di capire cosa avviene attorno a
me, spiegando la realtà. Quali funzioni esse svolgono per le persone e per i gruppi?
Forniscono informazioni e spiegazioni sulla realtà sociale.
“Giustificano” la violenza e la distruzione inflitta all’altro gruppo.
Legittimano lo status quo.
Creano un senso di differenziazione e di superiorità dell’in-group sull’out-group ( “Tu
appartieni ad un mondo che non è quello dell’umanità”).
Creano una realtà condivisa dai membri del gruppo.
Motivano all’azione e alla mobilizzazione per fronteggiare l’incertezza e il distress.
Consentono una presa di distanza da situazioni angoscianti e di troppo coinvolgimento.
(funzione difensiva, ad esempio nel rapporto medico-paziente).
E’ attraverso la mediazione linguistica (conversazioni quotidiane, giornali, media, libri..) che le
rappresentazioni cognitive stereotipiche vengono diffuse, trasmesse da individuo a individuo e
mantenute di generazione in generazione. Il ruolo del linguaggio rispetto alla conoscenza
stereotipica può essere riassunto in tre punti principali:
1. trasmissione degli stereotipi (il linguaggio consente di comunicare agli altri i contenuti
associati agli stereotipi, soprattutto mediante l’uso del parlato);
2. organizzazione delle conoscenze nella mente degli individui (con l’utilizzo di certi termini
le conoscenze di determinati gruppi sono organizzate nella nostra mente; faccio delle
associazioni grazie a concetti già presenti nella mia sfera cognitiva);
3. espressione dell’identità culturale dei gruppi (in-group bias o favoritismo nei confronti del
proprio gruppo di appartenenza).
Alcuni modelli di studio del linguaggio sono:
modello delle categorie linguistiche: basato sui livelli di astrazione del linguaggio. Le scelte
linguistiche possono essere collocate lungo il continuum concreto-astratto così
caratterizzato:
Verbi descrittivi di azione (DAV) Verbi interpretativi d'azione (IAV) Verbi di stato (SV)
Aggettivi (ADJ) (Sostantivi)
[Il livello dei sostantivi è stato aggiunto solo recentemente.]
E’ possibile descrivere linguisticamente un episodio in modi diversi:
o DAV: Elena ha colpito Luca;
o IAV: Elena ha fatto male a Luca;
o SV: Elena odia Luca;
o ADJ: Elena è aggressiva;
o Sostantivo: Elena è una iena.
L’utilizzo di una categoria linguistica è in grado di stimolare una serie di inferenze da parte
di chi le riceve, in particolare inferenze di tipo situazionale o disposizionale. La categoria
linguistica scelta influenza anche la percezione della durata dell’evento interpersonale e la
probabilità che esso si ripeta;
fenomeno dell’intergroup linguistic bias (LIB) o pregiudizio linguistico intergruppale: in una
condizione intergruppi, i comportamenti positivi dei membri dell’in-group e i
comportamenti negativi dei membri dell’out-group tendono sistematicamente ad essere
descritti in termini astratti e vaghi. Avviene l’opposto quando si devono descrivere i
comportamenti negativi dell’ingroup e i comportamenti positivi dell’outgroup, in tale caso
la scelta linguistica tende a privilegiare termini concreti.
Ad esempio:
1°. caso comportamento di Anna descritto da un membro dell’in-group: “Anna è
generosa” (formula più astratta, stabile e ripetibile, svicolata dalla situazione
specifica) ;
2°. caso comportamento di Anna descritto da un membro dell’out-group: “Anna ha
prestato la propria auto a Giorgio” (formula concreta, specifica, legata alla
situazione specifica).
Ogni scelta linguistica utilizzata per individuare categorie sociali o gruppi attiva un’area semantica
e influenza, anche inconsapevolmente, i nostri atteggiamenti nei confronti dei membri di quel
gruppo/categoria. Le scelte linguistiche e i biases linguistici sono spesso inconsapevoli e non
intenzionali. I biases linguistici intergruppo svolgono una funzione protettiva (dell’identità
sociale del proprio gruppo di appartenenza) e una funzione cognitiva (aspettative rispetto al
comportamento). Quando il confronto e la competizione tra gruppi è elevata, le motivazioni che
inducono alla protezione dell’immagine del proprio gruppo si fanno più pressanti e le scelte
linguistiche variano in modi sottili, indiretti e spesso inconsapevoli. Il contesto comunicativo
(cooperativo o competitivo, disteso o teso) è legato alle scelte linguistiche (positività del contesto
e maggiore astrazione linguistica). Il linguaggio svolge un ruolo fondamentale nella riproduzione,
trasmissione e rinforzo dei biases intergruppo.
I GRUPPI
Il gruppo è un’entità diversa dalla somma dei suoi componenti e quindi non è una semplice
aggregazione di persone. Kurt Lewin, che per primo ha affrontato lo studio dei comportamenti dei
gruppi, definisce questi ultimi come una “totalità dinamica basata sull’interdipendenza invece che
sulla somiglianza”. Esistono due tipi di interdipendenza:
interdipendenza del destino
interdipendenza del compito
Diverse sono le definizioni date dai vari studiosi della psicologia al concetto di gruppo:
Lewin e Campbell: “è un insieme di persone che condividono un destino comune”
Sherif: “è caratterizzato dall’esistenza di una certa struttura sociale, di solito sotto forma di
relazioni di status e di ruolo”
Bales e Homans: “è composta da individui in interazione faccia a faccia”
Tajfel e Turner: “un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono se stessi come
membri della medesima categoria sociale”
Brown: “un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono se stessi come membri
della stessa categoria sociale e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno una terza
persona”
Secondo Tajfel, è possibile operare una distinzione tra comportamento interpersonale e
comportamento di gruppo grazie all’utilizzo di tre criteri:
1. presenza o assenza di due categorie sociali chiaramente identificabili;
2. grado di omogeneità negli atteggiamenti o nel comportamento delle persone che si
trovano all’interno di ciascun gruppo;
3. grado di variabilità negli atteggiamenti o nel comportamento degli individui appartenenti al
gruppo nei confronti dei membri del gruppo esterno ( stereotipia).
Sono state proposte varie tipologie di gruppo che tengono conto della organizzazione, degli
scopi/finalità, del numero dei componenti e delle caratteristiche di funzionamento. Esse sono:
Polarità Caratteristiche
Suddivisi in base alla
1.1. Piccolo gruppo/Gruppo 1.2. Grande gruppo/Gruppo numerosità dei membri del
faccia a faccia sociale gruppo
2.