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IL PENSIERO SOCIALE
L’elaborazione delle informazioni sociali richiede di indagare come ci formiamo delle impressioni
sulle altre persone e di ripercorrere i costrutti di riferimento utilizzati per descrivere queste forme di
conoscenza (per esempio, i concetti di schema sociale e di euristiche). Se in un primo tempo
l’approccio cognitivo era focalizzato sul processamento delle informazioni, per esempio attraverso
le sensazioni e le percezioni, solo in un secondo momento si è cominciato a prendere in
considerazione il contributo offerto dalle emozioni. Il primo ambito di interesse del pensiero sociale
riguarda il giudizio sociale.
L’obiettivo è quello di spiegare, anche, cosa accada in situazioni quotidiane. Per esempio, ci
formiamo impressioni generali sulle persone basandoci sul loro linguaggio, verbale e non, ove
questo ultimo sembra comunicare ben il 90% delle informazioni recepite: questa comunicazione è,
chiaramente, per lo più implicita, al di fuori del controllo di chi la esprime. Altri aspetti che contano
nella formazione delle impressioni sono l’immagine (considerata inclusa nel linguaggio corporeo) e
l’esperienza che si ha avuto con quella determinata persona. Anche le conoscenze circa il contesto
in cui ci si trova possono orientare la formazione delle impressioni: per esempio, in un ambiente
molto formale, un individuo che non lo è finisce per attirare l’attenzione. Lo stesso vale per gli
stereotipi, sulla base del loro valore predittivo: se uno stereotipo è positivo, per esempio, può
portare a sopravvalutare la persona senza realmente valutarla. Gli stereotipi attivano, anche,
rappresentazioni riferite al contesto, all’oggetto ed alle persone. Nella formazione dell’impressione
sull’altro, sono importanti pure le caratteristiche comuni, che possono portare a provare una sorta di
simpatia ed una maggiore attrazione rispetto a quella che si può provare per un’altra persona, che
pur può essere più attraente.
Il tema del giudizio sociale può essere ricondotto ad almeno due processi: la formazione delle
impressioni e le attribuzioni causali.
Come si formano le nostre impressioni sugli altri
Fino agli anni ’60 del secolo scorso, alcuni Autori pensavano che a determinare il modo con cui noi
giudichiamo gli altri fossero soprattutto i processi mentali coinvolti e le strutture cognitive attivate:
essi ritenevano che la cognizione influisse sul comportamento. Secondo questa prospettiva, le
persone si comportano in modo coerente con le loro credenze, che vengono riflesse nelle loro
azioni; cercano di ristabilire, allo stesso modo, questa coerenza, ogni volta che vanno incontro a
degli effetti negativi, cioè situazioni in cui le loro idee ed i loro comportamenti non vengono
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confermati. La teoria della dissonanza cognitiva di Festinger vuole che, in caso di dissonanza, un
individuo possa svalutare il proprio comportamento, cambiarlo o mutare di atteggiamento: l’essere
umano tende, attraverso un confronto sociale, a ristabilire l’equilibrio pensiero-comportamento.
Secondo altri studiosi, sempre all’interno di questo approccio, il comportamento umano è guidato
da una concezione di uomo come scienziato ingenuo, capace di analisi attraverso il principio di
causa-effetto: questa tendenza è presente in tutti gli aspetti della quotidianità, per cui gli eventi
vengono tra loro associati per mezzo di relazioni causali. Con l‘introduzione dell’informatica ed il
passaggio dello studio dei processi mentali intesi come elaboratori di informazioni, soprattutto per
quanto riguarda la memoria, si è assistito ad una nuova concezione di uomo nel suo contesto
sociale, che è quella dell’economizzatore cognitivo: le persone non usano tutte le informazioni di
cui dispongono, ma solo quelle più facilmente accessibili e rilevanti in quella data situazione; esse
sono sufficienti a consentire l’adattamento e l’essere umano funziona come una sorta di computer.
Questa prospettiva si è sviluppata in ambito psicosociale soprattutto verso la metà degli anni ’80,
ma ha poi lasciato il passo a quella di tattico motivato, dal momento che ci si è resi conto di come
l’attivazione dell’informazione dipendesse dalla motivazione e dall’impegno. Studiando le
emozioni ci si è accorti, anche, che la motivazione è molto spesso intrisa di aspetti emotivo-
affettivi. Le Neuroscienze sociali hanno aperto un’ulteriore possibilità di approfondire la
conoscenza sul comportamento umano ed hanno dato delle informazioni su come ristabilire
determinate funzioni in persone, per esempio, affette da lesioni. Questo ha consentito, anche, di
legittimare dal punto di vista scientifico alcune intuizioni già portate avanti da Freud e James, tra
cui quella che descrive gli individui come attori attivati, che talvolta compiono dei gesti di cui non
sono consapevoli e che, quindi, non possono essere controllati: questi elementi si esprimono, per
esempio, per mezzo della postura e di atti mancati. Oggi, le Neuroscienze sociali usano fMRI, EEG,
TSM ed altri strumenti per studiare il comportamento sociale, il quale implica, in effetti, delle
attivazioni neurali. Alcuni studi hanno mostrato quanto l’umore possa avere effetto sul giudizio
relativo ad una persona: le persone, se depresse, formulano giudizi più negativi perché influenzate
dal proprio stato d’animo.
Il primo autore che si è chiesto quali fattori siano importanti nella formazione delle impressione è
stato Asch, che sosteneva che alcuni attributi fossero più rilevanti di altri nel determinare il giudizio
su una persona. Egli aveva in mente un modello configurazionale, secondo cui, a partire
dall’attivazione di un certo tratto, la persona si riteneva in grado di formulare un giudizio globale
sull’altro e di fare delle inferenze sul suo comportamento. Per esempio, una persona intelligente
viene, anche, considerata degna di fiducia ed operosa, mentre se è educata viene anche vista come
disciplinata, disposta ad operare secondo le norme ed a conformarsi. Ci sono delle caratteristiche
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che vengono utilizzate come elementi principali nell’accentrare l’attenzione ed orientare il giudizio,
più delle caratteristiche che non hanno questo potere. Ci sono, quindi, alcuni tratti che nella nostra
cultura ed esperienza agiscono come un nucleo centrale. Il modello configurazionale si contrappone
al modello algebrico, che valuta gli aggettivi solo come positivi o negativi, senza attribuire una
maggiore salienza ad alcuni di loro. Un altro elemento che poi è stato sottolineato è che forse questi
tratti centrali richiamano dei veri e propri modelli personali di rappresentarsi gli individui: questa
concezione è stata proposta per la prima volta da Kelly, secondo cui le persone si costruirebbero
dei modelli personali di individui con i quali confrontare gli attori sociali; questi modelli, sarebbero
dei criteri e, secondo alcuni Autori, i costrutti personali sarebbero costruiti socialmente, ovvero
basati sulla cultura (per esempio, la nozione di “autoritario” è socialmente condivisa, anche se
ognuno ha un proprio modello). Bruner ha parlato di teorie implicite di personalità per far
riferimento a delle credenze individuali che hanno un background culturale comune. Ad avvallare
l’importanza della componente cognitiva, alcuni studi hanno riguardato l’effetto primacy e l’effetto
recency: Asch si è accorto che l’ordine delle informazioni che si percepiscono su una persona
influisce sul suo giudizio; in alcuni casi prevale l’effetto primacy, in altri l’effetto recency. Quando
ci si sposta da una concezione di individuo che si muove come uno scienziato ingenuo, cercando di
essere coerente, ad una in cui si considera l’essere umano spinto dall’esigenza di soddisfare alcuni
bisogni fondamentali (di protezione, sicurezza etc.), si deve riconoscere che il modo in cui noi
conosciamo può essere semplificato attraverso due direzioni:
- processi top-down (o schema-driver) produce la conoscenza a partire da conoscenze
pregresse, che servono a verificare quelle provenienti dall’esperienza. Questo tipo di
processo accorcia il lavoro cognitivo, perché fa sì che la persona cerchi delle conferme, ma
può portare a commettere degli errori, dal momento che vengono sottovalutati degli
elementi nuovi (oppure essi vengono categorizzati sulla base di conoscenze preesistenti);
- processi bottom-up (o data-driven) attraverso una raccolta di informazioni, la persona
tende a trasformare i dati della situazioni in funzione dei suoi scopi. Questo tipo di processo
è più dispendioso, ma anche meglio rispondente alla realtà.
Nessuno dei due processi ha una sua validità assoluta, ma il loro uso dipende dalle situazioni. E’
vero che molto spesso noi conosciamo attraverso delle abitudini, ma non è sempre così, perché a
volte la novità ci spinge ad essere più attenti.
Il nostro pensiero è sempre influenzato dai limiti della memoria, anche nella valutazione degli altri:
in questo caso, il pensiero è risente dei limiti della capacità di elaborazione delle informazioni.
Maggiore è l’interesse provato, il coinvolgimento personale, più la persona è accurata nella
formazione delle sue impressioni e viceversa: in mancanza di interesse o di risorse, la valutazione è
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guidata da automatismi, stereotipi e conoscenze precedenti. Una persona che non sia
particolarmente interessata, attiva più facilmente leggi implicite che associano caratteristiche
disposizionali ad attributi fisici (per esempio, le persone con la “baby face”, ovvero con viso tondo
ed occhi grandi, vengono reputate più sincere e dotate sul piano relazionale) od alla posizione
professionale (ad esempio, la portinaia considerata pettegola).
Attribuzione causale
Si tratta del processo con cui cerchiamo di attribuire delle spiegazioni che permettano di predire le
conseguenze di alcuni eventi e dei comportamenti, altrui e propri. Gli psicologi han notato che le
persone si domandano il perché degli eventi quando notano un’incongruenza, ovvero se ne restano
sorpresi. In generale, esse possono adottare diversi principi di causalità di base, la cui scelta dipende
da dove si focalizza l’attenzione dell’attore (per esempio, qualcosa può rientrare sia nel principio
della contiguità temporale che in quello degli stimoli salienti dal punto di vista percettivo) e che
sono i seguenti:
- c’è sempre almeno una causa antecedente all’effetto (La sera del martedì Anna è a casa con
la febbre alta ed il mercoledì ha un esame. Ha studiato, ma l’esame va male. Anna sarà
propensa a pensare che l’esito dell&rsq