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SCOPI DEL COMPORTAMENTO NON VERBALE
- Diminuire il grado di ambiguità del linguaggio;
- Dare informazioni sullo stato d’animo;
- Definire il tipo di relazione che intercorre fra i comunicanti;
- Regolazione dei turni di parola;
- Presentare sé stessi.
3. La comunicazione cooperativa
Una conversazione avviene in modo relativamente ordinato e coordinato fra i partecipanti → pertanto
partecipare a una conversazione comporta un’AZIONE COOPERATIVA.
Paul Grice (1975) ha fornito un’utile descrizione dei principi che regolano la conversazione come azione
sociale di tipo cooperativo:
Massima di quantità [dare tutte le informazioni richieste];
Massima di qualità [essere sinceri e presumere di trovarsi di fronte alla verità];
Massima di relazione [presumere che l’informazione sia rilevante e pertinente];
Massima di modo [chiarezza, brevità e ordine del discorso].
Il MODELLO DEL CONTRATTO DI COMUNICAZIONE (Ghiglione, Bromberg, Tognon, 2000) considera la
comunicazione come interazione sociale cooperativa in cui si stabilisce un contratto fondato su un
certo numero di regole (diritti e doveri di ciascuno, posta in gioco, costruzione di una realtà comune):
- Principio di pertinenza; 41
- Principio di coerenza;
- Principio di reciprocità;
- Principio di influenza.
Davinson (1993) → comunicando ci costruiamo una teoria di ciò che l’interlocutore crede. In questo
senso il contratto di comunicazione ci permette di interpretare le credenze che attribuiamo agli
interlocutori.
Questo comporta lo sviluppo di una competenza comunicativa (partecipazione efficace e
appropriata) e altre competenze sociali quali quella performativa (saper riconoscere le norme
relative al contesto e le regole che regolano l’interazione).
TEORIA DELLA CORTESIA
Il modello di Brown e Levinson (1987) può spiegare alcune violazioni alle massime di Grice, prendendo
in esame la nozione di cortesia → sostengono che chi riceve il messaggio interpreta la violazione in
base al grado di cortesia utilizzato dall’interlocutore.
4. Il linguaggio e i processi psicosociali
Il linguaggio è la capacità comunicativa più sviluppata che gli esseri umani possiedono.
Semin (2000) ha formulato il modello della modulazione del messaggio (MMM) che sostiene che i
messaggi linguistici siano frutto della relazione fra gli interlocutori e le loro implicazioni socio
psicologiche. Si basa su tre assunti:
I messaggi linguistici sono strutture di conoscenza condivise;
Funzione principale del messaggio è la regolazione dei processi cognitivi e comportamentali degli
individui;
Il messaggio costituisce una proprietà che emerge dalla relazione con gli interlocutori (conoscenza
situata). Modello delle categorie linguistiche (LCM)
Semin e Fiedler (1988,1991) hanno elaborato questo strumento concettuale e metodologico per
analizzare la relazione fra linguaggio e processi intraindividuali, interpersonali e intergruppi. Il
linguaggio è visto come mediatore tra cognizione e realtà sociale.
Tassonomia dei termini utilizzati in ambito interpersonale →
- Verbi descrittivi d’azione (DAV): descrivono obbiettivamente l’azione, senza valutazione [A sta
parlando con B];
- Verbi interpretativi d’azione (IAV): descrivono e interpretano l’azione in base a categorie
generali di comportamento, in connotazione positiva o negativa [A aiuta B];
- Verbi di stato (SV): informazione sugli stati psicologici più che sulla situazione, nessun
riferimento a comportamenti osservabili [ad A piace B];
- Aggettivi (ADJ): indicano disposizioni stabili del soggetto, fortemente valutativi, non descrivono
azioni o stati [A è estroverso];
- Nomi essenzialismi (es. E’ un eremita). 42
Le quattro categorie possono essere collocate in un continuum che va da massimo di astrazione (ADJ)
al massimo di concretezza (DAV).
4.1. Le implicazioni socio cognitive delle categorie linguistiche
Semin e Fiedler (1988) hanno dimostrato che l’astrazione dei termini linguistici influenza
l’osservatore nel centrarsi su aspetti differenti dell’episodio comportamentale comunicato.
I termini astratti hanno una maggiore stabilità e implicano che l’evento abbia maggiore
probabilità di ripetersi, per contro non sono verificabili e danno poche informazioni sulla
situazione → analisi dell’astrazione permette di esaminare e comprendere i processi
psicosociali che sostanziano le relazioni fra persone;
4.2. Causalità implicita e attribuzioni causali
Diversi studi condotti alla fine degli anni ’60 che tentavano di analizzare la causalità implicita e gli
stili di attribuzione dell’attore e dell’osservatore hanno evidenziato che, di fronte ad una frase
soggetto-verbo-oggetto, ci sono due possibilità:
- Fonte causale legata al soggetto [IAV];
- Fonte causale legata all’oggetto [SV].
Le frasi formulate con SV fanno riferimento al soggetto di cui si parla (prospettiva dell’osservatore
→ comportamento osservabili), frasi con IAV fanno riferimento alla situazione e al contesto (stati
mentali non osservabili).
Da queste osservazioni gli autori hanno ipotizzato che le proprietà di linguaggio con le quali
vengono strutturate le domande possano influenzare le risposte.
↓
Il linguaggio come strumento per presentare strategicamente le proprie idee e manipolare le
risposte.
I risultati sperimentali hanno confermato che la causalità implicita utilizzata nei verbi
interpersonali è un potente strumento per manipolare le risposte (al fine di ottenere ciò che si
vuole).
4.3. Relazioni interpersonali
Le implicazioni cognitive delle categorie linguistiche individuate dall’LCM possono essere applicate
allo studio delle relazioni interpersonali.
Rubini e Kruglanski (1997) hanno dimostrato che il bisogno di chiusura cognitiva influenza
il livello di astrazione dei termini utilizzati nelle domande interpersonali → i partecipanti
infatti formulavano domande in termini più astratti rispetto ai controlli;
Douglas e Sutton (2006) hanno evidenziato che le persone si servono dell’astrazione
linguistica per compiere inferenze sulla relazione fra la fonte del messaggio e il
protagonista dell’evento descritto;
Rubini e Sigall (2002) hanno dimostrato che le persone si presentano utilizzando un
linguaggio astratto quando vogliono rendersi piacevoli ad altri con caratteristiche simili
alle proprie. 43
4.4. Il linguaggio tra cultura e cognizione
Da un attento esame delle differenze culturali nell’suo delle diverse categorie linguistiche descritte
nell’LCM, Semin e colleghi (2002) hanno studiato le differenze nell’espressione linguistica delle
emozioni:
- Nelle culture collettiviste si evidenzia una preferenza di utilizzo di termini concreti nelle
descrizioni;
- Nelle culture individualiste si evidenza una preferenza per i termini astratti, autoriferiti e
decontestualizzati.
Studi empirici sulle differenze di descrizioni linguistiche fra giapponesi e italiani confermano
queste ipotesi teoriche (Maas e colleghi, 2006).
4.5. Considerazioni conclusive
L’importanza e il contributo pratico che ha dato la concettualizzazione dell’LCM si riassume in due
punti:
Si è rivelato uno strumento teorico e metodologico fondamentale nell’analisi dei processi
linguistici che caratterizzano le relazioni sociali;
Costituisce un modello flessibile e duttile rispetto ai metodi d’indagine utilizzati, seppure
piuttosto parsimonioso nei contenuti.
44
Aggressività e altruismo
1. Gli esseri umani sono “naturalmente” buoni o cattivi
Concezioni filosofiche sulla natura umana Approcci psicologici alla spiegazione dei
comportamenti aggressivi
HOBBES sostiene che le persone siano FREUD (approccio psicoanalitico), partendo
inclini all’aggressività verso i propri sempre dal rapporto fra natura umana e
simili e che le istituzioni sociali abbiano esigenze della civiltà, sostiene che
il compito di reprimere queste tendenze l’aggressività umana sia frutto delle
antisociali; tensioni fra eros e thanatos (strategia di
orientamento dell’energia negativa) →
ROUSSEAU, all’opposto, vede la natura pertanto è funzionale all’individuo e spesso
dell’uomo come fondamentalmente in contrasto con le norme sociali;
buona e corrotta dalle esigenze della
civiltà (mito del buon selvaggio). LORENTZ (approccio etologico) sosteneva
l’inevitabilità dei comportamenti aggressivi
in quanto funzionali per la conservazione
della specie.
Il punto comune fra tutti gli approcci psicologici sopracitati è di ritenere valido il MODELLO IDRAULICO:
- Metafora fra l’individuo e la pentola a pressione → le energie negative devono essere espulse
mediante forme di scaricamento socialmente accettabili;
Ricerche successive dimostrarono che queste spiegazioni risultarono riduttive per spiegare un
fenomeno così complesso.
2. I livelli di spiegazione del comportamento antisociale
2.1. La frustrazione
Dollard & colleghi (1939) avanzano una prima ipotesi che prende le distanze dai primi approcci
psicologici:
Il comportamento aggressivo è indotto da una pulsione di frustrazione [condizione in cui si
frappongono degli ostacoli fra l’individuo e i suoi obbiettivi].
L’aggressività può essere rivolta altrove rispetto alla FONTE DELLA FRUSTRAZIONE
;
(es. il bambino arrabbiato con i genitori si comporta male con i compagni di scuola)
La sua funzione rimane quella di scaricare le energie negative.
Il punto debole dell’ipotesi avanzata da questi due autori è l’aver teorizzato una relazione
biunivoca fra frustrazione e comportamento aggressivo.
45
Berkowitz (1967) propose una lettura delle tesi di Dollard tenendo conto anche della teoria
dell’apprendimento sociale di Bandura:
Ogni sentimento negativo può indurre aggressività. Essa diventa la risposta dominante se
sono presenti stimoli precedentemente associati a una connotazione aggressiva [Es. sono
arrabbiato con i miei genitori, vedo un mio amico che mi sta poco simpatico e scarico su di lui la mia
.
aggressività]
Studi empirici dimostrano che persone precedentemente frustrate sono più propense a
somministrare un comportamento aggressivo.
2.2. L’imitazione
L’idea che l’imitazione sia il punto di partenza nell’espressione dell’aggressività risale alla
PSICOLOGIA DELLE FOLLE.
- Tarde (1904) sosteneva che l’imitazione fosse il principio che governava il comportamento
sociale, mentre Le Bon (1895) chiamò in causa il fenomeno della suggestione → ipnosi
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