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IL PENSIERO PLURALE
CAPITOLO 5: Pluralità e gruppo (p. 105)
Il seguente approfondimento cercherà di esportare l’ideologia soggettiva alle relazioni plurali, partendo dal presupposto che le
strutture sociali siano in gran parte di derivazione convenzionale, quindi modificabili e riprogettabili, proprio e soprattutto attraverso
l’utilizzo dei piccoli gruppi.
Contro la stessa idea di gruppo esistono pregiudizi e resistenze:
quello che accade fra le persone è effimero, dominato dal caso, quindi è imprevedibile;
il gruppo è dannoso per la libertà individuale, per la dignità e per l’autonomia personale; quello che accade tra le persone nell’ambito
della vita sociale o professionale deriva dal carattere, buono o cattivo, degli individui: tutto viene ricondotto a problemi personali;
in quest’ottica l’unica soluzione ai problemi che insorgono sta nel fatto che “gli altri dovrebbero modificarsi”;
è difficile mettere in discussione sé stessi o, più semplicemente, analizzare la situazione totale di cui i protagonisti fanno parte.
Questi ed altri motivi di resistenza al concetto di gruppo sono stati elencati per ribadire che quello che accade in un gruppo non solo
non è casuale, ma attraversa specifiche fasi nello sviluppo psichico dell’individuo, fasi conoscibili su cui si può anche intervenire.
Il gruppo e il pensiero duale (p. 106)
L’approccio della psicosociologia definisce il gruppo: un insieme sociale e dinamico costruito da membri che si percepiscono
vicendevolmente come più o meno interdipendenti per qualche aspetto (K.Lewin, 1951) e che si sono strutturati in forme diverse per
il conseguimento di determinati obiettivi. Di qualsiasi natura siano gli obiettivi di un determinato gruppo il loro conseguimento, o non,
è in grado a propria volta di condizionare in modo determinante l’esistenza stessa del gruppo.
Spaltro afferma che lo studio dei gruppi non può prescindere da un’ottica duale, superando quindi la dicotomia soggettivo/oggettivo,
in modo da evitare di unificare quei conflitti e quelle contraddizioni che costituiscono la natura stessa dell’oggetto osservato e la sua
ricchezza.
Il pensiero duale è espresso nel gruppo, in quanto presentifica sentimenti di colpevolezza relativi alla distinzione del sé e dell’altro da
sé, e nello stesso tempo nel passaggio al gruppo diviene strumento di conoscenza, di consapevolezza e di crescita relazionale,
gradino intermedio ma necessario verso il pensiero plurale.
Dinamica della sicurezza e della colpevolezza (p. 107)
La sicurezza è il sentimento dell’unità e la colpevolezza quello della dualità. La prima è collegata all’esperienza materna (aiuta a
gestire la pluralità attr. l’esistenza di una figura centrale) e la seconda a quella paterna (figura seconda, dializzante, che costringe
alla scelta).
Il sentimento che consente utilmente di controllare la colpevolezza è il sentimento di appartenenza, cioè il passaggio dalla dualità
alla pluralità; dall’esperienza materna, rassicurante, o da quella paterna, colpevolizzante, si giunge all’esperienza fraterna,
pluralizzante.
L’appartenenza che è sentimento fraterno, si fonda sul sentimento di sentirsi parte di qualcosa, che significa non sentirsi tutto.
Per capire i sentimenti di sicurezza, che si evidenziano nel senso di necessità, globalità, unicità, occorre definire il sentimento
d’insicurezza.
L’ insicurezza, non è solo mancanza di sicurezza, è uno stato d’animo particolare, un “plus”, che viene vissuto da chi ha
sperimentato la Sicurezza, e che è accompagnato dalla sensazione che prima o poi saranno recuperati stati di sicurezza.
I sentimenti di insicurezza sono caratterizzati dal senso di pluralità, di gradualità, di probabilità.
La colpevolezza è caratterizzata dal sentimento di dualità insanabile: contrasto fra ciò che faccio e ciò che dovrei fare.
Il gruppo gioca un ruolo di primaria importanza nella dinamica della sicurezza come in quella della colpevolezza.
Il vivere sentimenti di socialità permette un maggiore livello di sicurezza, poiché il gruppo determina spesso una sottovalutazione del
pericolo e una minor paura del castigo o punizione derivante dalla violazione di norme.
Questa considerazione pone le basi per poter studiare il gruppo come luogo di educazione all’insicurezza, per abituare gli individui a
sperimentare situazioni di insicurezza diminuendone i costi, e per vivere più proficuamente in ragionevoli stati di colpevolezza.
Nell’ottica gruppale le situazioni che comportano il funzionamento del gruppo a livello di coppia vengono definite situazioni “in”
gruppo, mentre se appare il sentimento di appartenenza ad una entità superindividuale si parla di situazioni “di” gruppo.
Nell’accezione “di” gruppo emerge l’importanza della dinamica dell’appartenenza, oltre a quelle della sicurezza e della colpevolezza.
Tale dinamica diventa la conseguenza delle due precedenti:
il gruppo è rassicuratore (unità) e terzo differenziatore, cioè permette di passare dal due della colpa (dualità) al tre dell’insicurezza
(pluralità, dimensione gruppale).
L’appartenenza è quindi il sentimento di essere parte, non tutto, e, più precisamente, è la lotta per l’appartenenza ad un’entità che è
qualcosa di diverso e di più (l’idea di gruppo) della somma dei singoli membri.
Il gruppo come cinghia di trasmissione (p. 110)
Per ognuno dei livelli di funzionamento sociale che caratterizzano lo sviluppo sociale dell’individuo – coppia, gruppo, collettivo,
comunità – esiste una cultura particolare, un insieme di elementi diversi che connotano la relazione indipendentemente dai soggetti
interessati.
La dimensione che maggiormente denota e connota il rapporto sociale nella vita di ogni individuo è rappresentata dalla coppia.
La cultura che caratterizza questa realtà costituisce il primo gradino di una scala numericamente sempre più complessa che trova la
sua soluzione nella dimensione di comunità (insieme di organizzazioni) e nella relativa cultura che questa sottende.
Questo passaggio da una cultura ad un’altra, che chiameremo interfaccia, può anche essere definito mediante due parole ricorrenti:
a) socializzazione (o passaggio dalla cultura di coppia alla cultura di gruppo);
b) collettivizzazione (o passaggio dalla cultura di gruppo alla cultura di collettivo).
Il piccolo gruppo, sia nella dimensione privata che in quella lavorativa, può essere considerato come una sorta di “cinghia di
trasmissione” che agisce in due possibili direzioni:
1. dall’organizzazione all’individuo il gruppo adempie a una funzione adattiva, con le sue spinte al conformismo e all’uniformazione;
2. dall’individuo all’organizzazione il gruppo svolge una funzione innovativa, facilitando il processo di modifica delle regole
soprattutto implicite e dei valori del collettivo, funzione importante specie nei momenti di cambiamento operativo ed organizzativo.
Gruppo e cambiamento (p. 111)
Per Lewin il gruppo è il luogo dove l’individuo costruisce la sua identità, dove sperimenta le limitazioni e le resistenze che lo aiutano
a definire lo spazio vitale.
I gruppi sono entità dinamiche che si stabilizzano intorno ad un equilibrio risultante da forze contrastanti. Le conseguenze di questa
tendenza all’equilibrio sono, le resistenze o le spinte al cambiamento, che non sarà mai solo un cambiamento individuale ma
coinvolgerà consistenti componenti sociali, microsociali e ambientali.
Ogni situazione sociale per Lewin è concepibile come un equilibrio quasi stazionario, dinamicamente sostenuto da forze che
agiscono contemporaneamente in direzioni contrastanti; il mutamento può avvenire:
applicando una forza che spinga verso la nuova direzione e dunque forzando l'equilibrio naturale (ma questo genera tensione);
- tramite la diminuzione delle forze di direzione opposte, ossia rimuovendo gli ostacoli che si frappongono verso il nuovo equilibrio
-
auspicato (cambiamento più efficace e più duraturo).
Il cambiamento si attua in tre passaggi:
a) unfreezing (disgelo) messa in discussione dell’atteggiamento precedente;
b) changing (cambiamento) nel senso di introduzione dei nuovi comportamenti che dovranno essere adottati;
c) refreezing (ricongelamento) il consolidamento del nuovo atteggiamento.
Il gruppo diventa lo strumento attraverso cui sperimentare le tecniche di relazione per verificarne l’efficacia e il mezzo per favorire
l’apprendimento dei suoi membri, un apprendimento che non sia solo individuale, ma a livello dell’intero contesto.
La dimensione sociologica, psicologica ed emotiva dei gruppi (p. 112)
I gruppi sono stati studiati da diversi punti di vista differenti: come realtà oggettiva (dimensione sociologica) e/o come realtà
soggettiva (dimensione psicologica ed emotiva).
La dimensione sociologica.
La realtà sociale dell’individuo è caratterizzata dal suo vivere “con” e “in mezzo agli altri” in dimensioni e momenti diversi, che
trovano un elemento comune nel termine “gruppo”.
In base a questa osservazione il gruppo è una realtà oggettiva, comune a tutti noi, studiabile attraverso varie metodologie (statistica,
osservazione diretta).
Le persone alla fermata di un autobus, per esempio, sono un gruppo, tuttavia non sono un gruppo dal punto di vista psicologico.
L’uomo in un gruppo non è necessariamente passivo (come nel regno animale le formiche che agiscono per istinto e capacità
ereditarie), ma può anche essere “attivo”, poiché è in grado di definire autonomamente il proprio compito e la propria funzione
all’interno di un gruppo (es. consideriamo i gruppi che si riuniscono per espliciti scopi ludici).
Il gruppo umano ha come elemento peculiare il carattere della “flessibilità”.
Il termine “flessibilità assume un duplice significato: da una parte evidenzia come l’individuo possa conservare liberamente una certa
misura d’impegno nei confronti di gruppi diversi, dall’altra sottolinea la possibilità di assumere impegni diversi all’interno dello stesso
gruppo.
La dimensione psicologica.
La psicologia ha evidenziato come il gruppo sia primariamente una realtà composta da singoli individui, ponendo così l’accento sui
singoli elementi che lo compongono, che sono “membri di un gruppo” in quanto consapevoli di fare parte di un’entità che trascende
le singole individualità.
Quindi per “essere gruppo” è importante se