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-GENERALITA’
-FACILE IDENTIFICABILITA’
A. quindi descrive la percezione della forma come un’attività che coglie
elementi strutturali generici.
III° CAPITOLO
Percepiamo le forme tramite l’applicazione delle categorie formali.
Ogni oggetto è modificato dal contesto in cui si trova, e l’osservatore deve
saperlo, quindi egli deve astrarlo da tale contesto.
ASTRAZIONE: la mente vuole prescindere dall’influenza del contesto, e vi
riesce. L’immagine che la mente ha dell’oggetto resta costante, almeno
approssimativamente.
Esiste una dimensione media secondo la quale si percepiscono gli oggetti. Essa
è relazionata con la distanza percepita.
Secondo A. l’effetto della percezione dipende da un “giudizio inconscio”: il
giudizio corregge il percetto primario. Tale teoria è, però, stata criticata tramite
3 argomentazioni:
Helmholtz sosteneva che tali correzioni si basino sulla conoscenza
1) precedente che è poi importata nella situazione percettiva dal soggetto.
A. non è d’accordo.
Helmholtz è stato criticato perché sosteneva l’esistenza di “percetti
2) primari” che nessuno ha mai sperimentalmente individuato.
Il ricorso di Helmholtz al giudizio sembra opinabile. Era giusto supporre
3) che i supremi processi mentali siano coinvolti nella percezione
elementare? Helmholtz però intendeva dire che il tipo di processo
osservabile nel pensiero logico ha luogo anche a livello percettivo.
Ogni parte del campo visivo deve essere relazionata all’intero campo. Ciò
origina un’ “immagine relativa”. L’immagine vista dipende sia dall’oggetto
stesso sia da ciò che gli sta intorno. Se oggetto e contesto non sono ben
organizzati tra loro, è difficile percepirli separatamente.
3 ATTEGGIAMENTI DELL’OSSERVATORE NELLA PERCEZIONE
L’osservatore vede il contesto come attributo dell’oggetto. In tal caso egli
1) guarda restrittivamente e senza intelligenza a un obbiettivo particolare.
L’osservatore cerca di eliminare l’influenza del contesto x ottenere
2) l’oggetto puro. Tale atteggiamento è detto “pratico”. In questo caso si
deve costruire una situazione artificiale, come quelle costruite da uno
scienziato poiché un oggetto nel mondo reale è sempre influenzato da
qualcosa.
L’osservatore tiene conto sia del contesto, sia dell’ambiente, sia dei
3) mutamenti che l’oggetto subisce dai diversi ambienti.
L’ASTRAZIONE DELLA FORMA
L’astrazione percettiva è un tipo di astrazione differente rispetto a quella
descritta dalla logica tradizionale. Non si tratta di estrarre proprietà comuni da
esempi particolari, ma la nozione di astrazione nella percezione è più fine.
Per esempio, l’immagine della proiezione di un cubo non contiene mai tutte le
sue proprietà: in tal caso le diverse proiezioni del solido non vengono disperse
a caso nello spazio, ma appaiono come sequenze regolari di mutamenti
graduali.
Si può citare il “Principio gestaltico della buona continuazione” in base al quale
gli elementi si fondono in un tutto unificato. Per esempio, un profilo di ¾ allude
alla continuazione della forma al di là dei suoi limiti visibili, ma un profilo vero e
proprio o una visione frontale lo fa meno.
Questo tipo di astrazione esige una mente che non si limita alla veduta che
riceve momentaneamente, ma che vede tale veduta momentanea come parte
integrante di un insieme più ampio.
IV° CAPITOLO
“Vedere un oggetto nello spazio vuol dire vederlo entro un contesto”. Vedere,
infatti, significa sempre vedere in relazione. La visione di un particolare nel
campo visivo dipende anche dal suo posto e dalla sua funzione nella struttura
totale. Tale struttura lo influenza e lo modifica. Tale situazione si presenta
quando si mette insieme “due più due”, cioè quando diversi particolari sono
visti come pattern unitario. Una delle regole che governano tali relazioni è la
LEGGE DI SOMIGLIANZA: le cose che si assomigliano si legano nella visione.
L’omogeneità è uno dei prodotti della relazione percettiva. La somiglianza
renderà possibile l’unificazione solo se l’intera struttura suggerisce una
relazione necessaria. Le operazioni inerenti la percezione di schemi visuali
esigono un’intelligenza percettiva superiore.
L’esperienza mostra che è più facile descrivere i dettagli confrontandoli che in
se stessi.
Le cose si mettono in relazione per assimilazione o per contrasto, o per una
loro combinazione. L’assimilazione costituisce la condizione primaria.
Finchè non si fa una distinzione, l’uniformità di un pattern in coppia sarà
dominante. Quando non c’è una visione unificata, la visione, infatti, riguarda
alternative.
Gli elementi colti in una percezione dipendono sia dall’osservatore che dalla
situazione.
L’astrazione, però, non può andare oltre certi limiti.
Estrarre un elemento da un pattern evidenzia l’intelligenza nella percezione. L’
INTELLIGENZA è la capacità di estrarre un elemento nascosto da un contesto
avverso. Allo stesso tempo, però, la resistenza del contesto a tale operazione
pone un problema: infatti isolare qualcosa dal contesto potrebbe falsificarla.
Estrarre qualcosa rispetto al contesto vuol dire trascurare un aspetto della sua
natura.
V° CAPITOLO
La percezione non può limitarsi solo a ciò che gli occhi vedono nel mondo
esterno, ma essa è sempre influenzata da percezioni ed esperienze del
passato. Infatti sulla percezione è fortissima l’esperienza del passato.
Secondo Bruner l’esperienza percettiva è il prodotto di una “categorizzazione”.
Tale categorizzazione consiste nell’inserimento dei percetti appresi nel
presente in comparti costruiti in passato.
Se un percetto è una forma categorica, la sua traccia nella memoria è generica.
Questa non rimane pura poiché vi sono forze che cercheranno di modificarla in
2 modi:
Verso una forma più semplice
- Preservando le caratteristiche del pattern
-
Entrambe queste tendenze risultano attive nell’elaborazione di ciascuna traccia
mnemonica semplificandola ma preservandone i tratti specifici.
Le immagini mnemoniche servono ad identificare, interpretare ed integrare la
percezione.
Es. quando una matita è posta in modo date che la sua proiezione retinica
incroci il punto cieco dell’occhio, essa apparirà ininterrotta.
Questo è un esempio di “complementi modali”: nel percetto vengono colmate
alcune lacune.
Il completamento dell’incompleto è uno dei risultati fondamentali del
comportamento intelligente.
L’interazione più comune tra percezione e memoria è il riconoscimento delle
cose viste. La conoscenza visiva del passato aiuta a scoprire un oggetto o
un’azione presente e da anche un posto all’oggetto in un sistema di segni.
Il riconoscimento presuppone la presenza di qualche cosa da riconoscere.
Vi sono 2 condizioni per classificare un percetto:
Il percetto deve definire chiaramente l’oggetto
- Il percetto deve somigliare all’immagine mnemonica della categoria più
- consona.
James usa il termine “prepercezione” per episodi nei quali concetti visuali
immagazzinati contribuiscono al riconoscimento di patterns percettivi
insufficientemente espliciti.
Wundt invece spiega che il tempo di reazione si abbrevia o si allunga a seconda
che la comparsa di un certo stimolo sia o meno attesa ad un certo momento.
VI° CAPITOLO
Quando al corrispondente interno del percetto non corrisponde alcuna
immagine esterna, diviene urgente il problema di che cosa esso sia.
Infatti senza una rappresentazione l’attività intellettuale non è possibile. Però,
se pensare riguarda le generalità, bisogna chiedersi come esso possa fondarsi
su singole immagini mnemoniche.
LOCKE: egli impiegò la parola “idee” per descrivere sia il materiale percettivo
che mnemonico. Secondo lui le idee sono l’oggetto dell’intelletto quando si
pensa.
Tale affermazione ignora la distinzione tra percetto e concetto.
La visualità, quindi, sembrava un ostacolo alla generalità, per questo doveva
essere abbandonata. Bisogna però chiedersi se, abbandonata la visualità,
esiste un regno non-percettivo dell’esistenza in cui può dimorare il pensiero.
Come affermò Locke, l’immagine del pensiero è seconda rispetto alla
percezione, infatti l’immagine del pensiero è debole perché non possiede a
sufficienza.
BUHLER: “Si può pensare un oggetto senza avere la sua immagine”.
WOODWORTH: secondo il quale tanto più è sufficiente il processo di pensiero,
più probabile sarà un pensiero privo di immagini.
Secondo la “Teoria del pensiero privo di immagini”, si consentiva che spesso il
pensiero si verifica consapevolmente, e questo evento conscio non consiste
nella produzione di immagini.
Se si dice che i pensieri sono privi di immagini, e dato che il pensiero deve
verificarsi in un qualche medium, si possono avanzare 3 ipotesi:
Gli esseri umani pensano per parole: teoria non sostenibile
- La produzione di immagini compie il proprio lavoro al di sotto del livello
- della coscienza.
Le immagini del pensiero sono accessibili alla coscienza ma, nelle prime
- sperimentazioni, i soggetti non erano attrezzati a riconoscerle.
Secondo una concezione elementare, “le immagini mentali sono repliche fedeli
degli oggetti fisici che rappresentano”. Tali repliche, dette anche eidola,
rimanevano nell’anima come immagini mnemoniche. Un’approssimazione a
queste repliche fedeli sono le immagini eidetiche: un tipo di memoria
fotografica.
Un’immagine mentale non necessariamente deve essere una replica di una
scena visibile: la memoria può estrarre le cose dai contesti e mostrarle isolate.
Per esempio, da uno stesso oggetto si possono astrarre certe qualità e non
altre: come immaginare “il tronco di un corpo umano, senza membra”.
Questo tipo di incompletezza è tipica dell’immaginazione mentale. E ‘ il
prodotto di una mente che discerne selettivamente, cioè che non considera
fedelmente la registrazione di frammenti, ma fa qualcosa di meglio.
Questi sono episodi di vedere una cosa completa, ma in modo incompleto.
Le immagini mentali ammettono la selettività.
TITCHENER: ammette che l’incompletezza dell’immagine ment