Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Parte terza: Dallo studio al lavoro.
La percezione del lavoro futuro. Confronto fra scuola media e superiore.
La fase di transizione dalla scuola al lavoro è molto critica perché implica delle
scelte con conseguenze sullo sviluppo personale e professionale della
personale e complessa perché numerose variabili incidono sul processo di
transizione. I giovani possono gestire tale fase se impostano una strategia
decisionale coerente e fa da sfondo a questa strategia il modo in cui i giovani
immaginano la realtà lavorativa e se stessi al lavoro. Da una ricerca condotta
su giovani uscenti dalla scuola media e dalla scuola superiore è emerso che i
giovani hanno un’immagine di sé al lavoro fortemente stereotipata, e ciò
dipende da quanto è trasmesso dalla famiglia o dai media, e inoltre ritengono
che la loro posizione sia predeterminata e immutabile, ciò non permette di far
nascere quella motivazione intrinseca che spinge alla progettualità in una
società molle. Per cui la scuola e soprattutto la psicologia dell’orientamento
all’interno di essa deve spingere i ragazzi a uno sviluppo delle
metecompetenze, cioè il ragazzo deve capire come la propria mente lavora,
come può controllare la sua azione cognitiva e solo in questo modo ottenere
risultati positivi nella sua azione. La scuola deve predisporre i soggetti al
cambiamento, a un futuro lavorativo che è fatto di scelte non predeterminate
da stereotipi.
Laureati e lavoro.
L’orientamento può dare un contributo decisivo sul processo di riforma degli
ordinamenti didattici e del sistema universitario; il mercato del lavoro richiede
sempre lo stesso numero di laureati ma questi devono avere più competenze
acquisite attraverso esperienze lavorative come stage e tirocini, più
conoscenze linguistiche e informatiche. La laurea è sicuramente un fattore
determinante per l’ingresso nel mondo del lavoro ma da sola non basta, può
avere un effetto nel lungo periodo.
Dalla laurea al lavoro: delusione o soddisfazione?
Il lavoro prima era visto come qualcosa di faticoso, oggi il lavoro è considerato
come un processo complesso di interazione e scambio, di trasformazione, di
evoluzione individuale e collettiva, per cui analizzare il lavoro è fondamentale
per comprendere la natura umana. Si passa da una visione pessimistica del
lavoro a una come soddisfazione lavorativa, cioè la percezione che attraverso il
lavoro si possono soddisfare i valori personali. L’insoddisfazione lavorativa
infatti può portare a effetti a livello individuale e organizzativo come: problemi
di equilibrio psicofisico, assenteismo, sentimento di scarsa appartenenza
all’organizzazione e abbassamento della performance. Le ricerche dimostrano
che tra i laureati la percentuale di soddisfazione lavorativa è bassa. Le
aspettative di riuscita, sia economica che professionale, sono deluse. Il lavoro è
insoddisfacente in termini di trattamento economico, possibilità di carriera,
stabilità del posto di lavoro e grado di utilizzo delle competenze acquisite, e
infine la coerenza tra percorso di studio concluso e mansione svolta. Per
garantire una maggiore corrispondenza tra occupazione e formazione, è
necessario l’intervento dell’orientamento durante il percorso di laurea: il
sistema formativo deve essere più corrispondente al lavoro futuro in termini di
conoscenze e competenze. L’orientamento può quindi incrementare la capacità
degli studenti di trarre profitto dall’offerta formativa e programmando periodi di
contatto con il mondo del lavoro esterno attraverso stage e tirocini.
Non solo università: interessi e scelte di diplomati non iscritti a corsi di laurea.
Una ricerca di tipo longitudinale condotta su 5000 studenti che si trovano
all’ultimo anno di superiore e che ha deciso di proseguire o meno con gli studi
universitari, altre attività formative o lavorative ha evidenziato come la
formazione post diploma non appare oggi adeguata ad assicurare una proficua
corrispondenza tra percorsi formativi e opportunità lavorative: queste due
realtà appaiono sganciate tra loro e con gli interessi dei giovani, che comunque
si adattano pur di trovare un’occupazione. Le politiche della formazione e
dell’occupazione dovrebbero sanare questa incongruenza, che produce
lavoratori poco motivati e poco soddisfatti in settori importanti.
Parte quarta: Strumenti operativi del lavoro orientativo.
Il career counseling: anche online?
In questa società caratterizzata dalla complessità e dal cambiamento
l’orientamento va ripensato in termini di supporto complessivo al life career
development: sviluppo potenziale nell’arco di vita.
L’orientamento si avvicina alla cultura del career counseling, intervento
complesso e articolato, finalizzato alla promozione di un locus decisionale
interno, alla riappropriazione delle proprie capacità, in un’ottica del
cambiamento di rappresentazioni confuse e conflittuali e di aspettative e
convinzioni sbagliate del soggetto. Niles e altri lo definiscono un processo nel
quale un consulente collabora con il cliente per aiutarlo a chiarire,
implementare le proprie scelte e rapportarsi con le sfide e i cambiamenti
connessi al lavoro.
Questa modalità di career counseling risponde ai cambiamenti del rapporto tra
soggetto e lavoro. Il lavoro è fondamentale per il benessere della persona, in
esso il soggetto vi investe energie fisiche ed emozioni e affettività.
Il career counseling supporta le persone nella loro carriere lavorativa ma non si
limita a fornire informazioni o a somministrare test attitudinali per rilevare gli
interessi professionali ma si rivolge alla persona della sua totalità, tenendo
conto di alcuni aspetti della personalità che possono interagire con la vita
lavorativa. A questo punto non deve essere confusa la figura del career
counselor con quella di uno psicoterapeuta, perché non si indagano i vissuti del
soggetto, ma ci si occupa dei problemi soggettivi connessi alla vita lavorativa
senza tralasciare gli elementi oggettivi delle difficoltà del cliente.
Il counselor attraverso colloqui e test, stabilisce quali sono i bisogni del cliente,
stabilisce gli obiettivi, e stimola il cliente a prendere consapevolezza di sé per
poter superare gli ostacoli che gli impediscono di fare delle scelte. Spesso i
problemi non sono solo legati a elementi oggettivi, ma anche interpersonali.
Recenti studi hanno dimostrato inoltre l’importanza attribuita alle convinzioni
delle persone su se stesse e sul lavoro e in particolare sulle percezioni di
autoefficacia che possono influenzare le azioni di career counseling.
All’inizio e per tutto il ‘900 il career counseling è stato svolto secondo
l’approccio positivista che ha portato a una ipersemplificazione dei problemi di
carriera. Negli ultimi tempi si diffuso l’approcio costruttivista per cui il career
counseling è visto come un processo costituito da interventi per trattare
problemi psicologici che accompagnano la carriera del cliente; per cui bisogna
considerare tutta una serie di fattori individuali e contestuali che influiscono
sullo sviluppo di carriera. L’approccio storico recente riprende le teorie
costruttiviste e afferma che il processo di cambiamento di un soggetto e
continuo, che questi non può essere separato dal suo contesto, che il soggetto
partecipa attivamente alla costruzione della propria realtà integrando
informazioni ed esperienze a ciò che è stato acquisito prima. Secondo questo
approccio, il career counseling si sviluppa in un processo articolato in tre fasi:
- co-costruzione, cliente e counselor collaborano per costruire insieme i
capitoli di vita del cliente riferiti ai suoi vari ruoli.
- de-costruzione, il counselor spacchetta le storie del cliente in modo da
essere viste da vari punti di vista.
- costruzione, cliente rivede le proprie storie in una prospettiva futura
aiutato dal counselor.
Le tecniche e gli strumenti usati secondo questo approccio per la valutazione
sono:
tecniche qualitative e test e inventari standardizzati che permettono di
esplorare diversi campi come: interessi-competenze-atteggiamenti;
rappresentazioni su di sé e gli altri; categorie che strutturano il
comportamento; l’identità del soggetto; i ruoli e gli avvenimenti della propria
vita; gli ostacoli personali e contestuali e gli stili di decisione.
Vediamo le tecniche qualitative:
Career genogram: ideato da Bowen (1980) nell’ambito della terapia familiare, è
una rappresentazione grafica della storia familiare del soggetto nell’arco di tre
generazioni. La finalità è che attraverso di esso si può comprendere quella
particolare patologia. Nell’ambito lavorativo serve per comprendere quali
componenti della famiglia hanno influenzato la formazione delle aspettative
professionali del cliente. La realizzazione del genogramma si compone di tre
tappe: esplicitazione obiettivi, la costruzione e l’analisi e interpretazione
attraverso un dialogo flessibile. Attraverso di esso si ottengono informazioni
sulle influenze sociali e contestuali sullo sviluppo di carriera, fare scelte più
consapevoli e sviluppare uno stile decisionale proattivo. Tale strumento può
essere usato con soggetti che hanno problemi lavoro legati alla famiglia o con
persone dalle difese rigide, tuttavia alcuni possono interpretarlo come una
violazione della privacy o una perdita di tempo; per questo il suo uso va
valutato da un punto di vista etico e deontologico e in accordo al cliente.
Life career assessment: è un colloquio strutturato della durata di 20/30 minuti
oppure esteso in un colloquio più approfondito in varie sedute. Tale procedura
si basa sulla psicologia individuale di Adler che divideva le relazioni della
persona con il mondo in tre ambiti interconnessi, lavoro, società e sesso. Lo
scopo è infatti aiutare i cliente nell’individuare i temi guida della propria vita e
come questi si articolano nei tre ambiti. LCA si articola in 4 sezioni: percorso di
vita e lavoro, descrizione giornata tipo, punti di forza e ostacoli, valutazione
riepilogativa. In questo modo si ricavano informazioni per accrescere la
capacità progettuale del soggetto.
Career Transition inventory: vuole indagare le variabili interne che possono
agire come risorsa o barriera durante la transizione professionale, che sono di
due tipi: proattive o reattive. Il CTI è uno strumento tipo Likert da 40 item, le
risposte vanno da 1 a 6, per misurare 5 scale, ognuna delle quali rappresenta
un diverso aspetto del modo in cui i soggetti percepiscono se stessi e la
transizione in corso: readness (motivazione alla carriera, quanto il sogget