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LO STRESS:
In particolare è nata una vera e propria letteratura sullo stress, parola inglese che rimanda all’idea di una
condizione per cui l’individuo è sottoposto per un certo tempo ad un forte dispendio di energie fisiche,
intellettive ed emozionali, superiore al livello normale. Siamo abituati a considerare lo stress sempre
negativo, anche se in inglese esiste l’eu-stress (dispendio di energie che migliora la salute) e dis-stress cioè
stess che provoca ansia, tensione e disturbi. Parlando dei livelli di stress delle famiglie con un figlio disabile,
la sua valenza è sempre negativa. Quanto agli strumenti per misurarlo i più comuni sono i QRS (Questionari
delle Risorse e dello stress) già elaborato nel 1974 e il PSI (Indice di stress genitoriale) elaborato nel 1986. Il
primo consiste in 285 item che indagano su tre aree: problemi dei genitori, problemi nel funzionamento
familiare e problemi che i genitori percepiscono in relazione al bambino. Il PSI è un questionario di 101 item
che indaga il sistema genitori e figlio già in situazioni di stess per indicarne le specifiche fonti che possono
derivare dalle caratteristiche del bambino, da quelle dei genitori e da quelle demografiche (life stress score).
I risultati appaiono spesso molto diversi e contrastanti ma sono strumenti che indagano effettivamente
muovendo da ottiche completamente diverse.
2. L’incontro con la disabilità:
Sebbene molti studi abbiano sostenuto uno stretto legame tra disabilità e patologia della famiglia,
disadattamento e stress, come dimostrano studi più recenti, non sono affatto conseguenze inevitabili della
presenza di un bambino disabile. Si parla di un effetto alone della negatività intrinseca della disabilità che
passa dalla persona al suo entourage, ma l’integrazione delle persone disabili nel contesto familiare e sociale
può avvenire solo se questo alone viene allontanato. Muovendo da una prospettiva completamente diversa
come del resto è avvenuto nelle classificazioni ufficiali, che sono passate dall’icdh all’icf, e cercando di
evidenziare non il deficit ma le potenzialità che sicuramente sono presenti nel disabile, e investendo su di
esse, anche la vita delle famiglie può raggiungere una situazione di normalità. Del resto già in uno studio
longitudinale effettuato nel 1996 su famiglie con figli down nati fra il 73 e l’80, testimonierebbe che questa
nuova prospettiva permette al 70% delle famiglie di non manifestare quadri patologici. A questo punto le
autrici cercano di descrivere ciò che accade in realtà ad una famiglia dove vive un bambino disabile. Un primo
fenomeno innegabile è il forte impatto iniziale dell’evento. O alla nascita o in eventi successivi. Un effetto
dirompente che squilibra i rapporti interpersonali quasi come una condizione di lutto. Subito dopo i genitori
cominciano a chiedersi come sarà il loro bambino a scuola, quale potrà essere il suo futuro, e sarebbe
opportuno che venissero fornite quante più informazioni possibili ma in maniera semplice e comprensibile,
e non in forma di diagnosi specialistiche ma incomprensibili. I genitori spesso attraversano una fase di
solitudine sia perché non erano preparati all’evento, sia perché non trovano anche negli specialisti quel
supporto umano e comunicativo che vorrebbero. Avere informazioni potrebbe invece moderare l’effetto
traumatico di una notizia carica di valenze negative e spesso accompagnata da prognosi senza speranze.
Superata questa fase la vita va avanti e sia Ericksonn e Upshur hanno descritto tre caratteristiche che
differenzierebbero le famiglie dei disabili dalle altre:
1. Compiti di cura più difficoltosi: si tratta di discutere se questi compiti sono spartiti tra i genitori o
ricadono su uno di essi. Molti studi hanno dimostrato che la madre è quella che più spesso si prende
cura del disabile ma il disabile stesso tende più ad appoggiarsi alla madre che al padre tanto che poi
qualora avvengano piccoli successi è la madre che ne trae elementi di soddisfazione e di
appagamento.
2. Isolamento sociale
3. Diverso ruolo del padre
All’interno del ciclo della vita della famiglia, ciclo che coinvolge tutte le famiglie, tenendo conto dei vari
passaggi che i figli effettuano (ingresso a scuola, fidanzamento, lavoro, matrimonio, nascita dei nipotini) , le
famiglie con un disabile vivono diversamente questi passaggi per tre motivi fondamentali:
1. Consapevolezza dell’immodificabilità della disabilità: mentre cioè con un figlio problematico in
alcune fasce di età come l’adolescenza si pensa che poi con la crescita la situazione si evolverà, i
problemi del disabile rimarranno per sempre
2. Vita affettiva e sessuale del figlio disabile: riguardo alla sessualità in ogni caso ci sono atteggiamenti
diversi legati all’ambito culturale della famiglia ma nei confronti della sessualità del disabile la
situazione è ancora più grave perché cresce il potenziale svantaggio di essi nei confronti dei coetanei
e le famiglie non sono mai preparate ad affrontare il discorso
3. Sistemazione autonoma del figlio disabile adulto: alcuni disabili adulti devono necessariamente
essere istituzionalizzati ma quando il disabile rimane in famiglia c’è la tendenza a considerarlo un
eterno bambino senza investire risorse o pratiche educative sulla sua emancipazione. In effetti invece
l’inserimento nel campo del lavoro potrebbe essere l’unica soluzione veramente valida
Cap 3. I percorsi adattivi delle famiglie…
Come già accennato, gli studi sulle condizioni di disabilità nel passato cercavano soprattutto di conoscere
e trattare il rapporto madre-bambino padre-bambino, bambino-fratelli, e solo più tardi si è arrivati a
studiare tutto il sistema dei rapporti che interagiscono nella famiglia orientandola poi o verso un
superamento delle difficoltà o verso una soluzione rinunciataria e rassegnata. La visione del mondo che
la famiglia nel suo insieme ha definisce il suo modo di interagire sia all’interno che all’esterno ed è
correlata alle risorse che essa metterà in campo per affrontare i problemi della disabilità. Alle prime
condizioni di stress fanno seguito in genere i processi di adjustement-crisi-adattamento-coping, fino a
raggiungere quel livello di equilibrio che permette di sopravvivere. I modelli di intervento sull’intera
famiglia, tramite programmi e supporti istituzionali nell’ambito del contesto sociale, fanno capo al
cosiddetto paradigma ecologico per cui la famiglia è inserita in una nicchia di tutti gli altri sistemi sociali
con cui si connette e da cui è influenzata. Il paradigma ecologico sostiene però che in situazioni di crisi
bisogna:
1. Identificare le relazioni che possono offrire risorse
2. Prestare attenzione al fatto che più generazioni possono fare esperienza dello stesso
avvenimento nel ciclo di vita
3. Considerare che favorire forti relazioni significative aiuta lo sviluppo e la capacità di rafforzarsi
con gli altri per tutto l’arco della vita.
L’incontro e il rapporto di una famiglia con la disabilità cronica, sono fortemente influenzati prima di tutto
dalle credenze rispetto a ciò che può aver causato tale evento e qualunque sia la risposta che la famiglia si
da’ poi variano i tre aspetti che abbiamo detto. Secondo alcuni ricercatori questo processo di ricerca delle
cause si può chiamare “ricerca di significato”, altri “account-making”, cioè il decidere il da farsi sulla base
della spiegazione dell’evento. Altri ancora si sono focalizzati sull’abilità personale dei singoli di darsi nuovi
obiettivi e forse anche un nuovo “sense of self”. In ogni caso a seguito di un trauma come può essere la
scoperta della disabilità la famiglia subisce un riadattamento che può avvenire secondo più modalità:
1. Visione cibernetica: le persone sopravvivono adattandosi l’un l’altra in una nuova unione strutturale.
Si tratta della famiglia che in qualche modo anche se era in crisi e c’erano dei disaccordi, ora deve
trovare la sua unità proprio grazie a spiegazioni condivise rispetto alle cause del disagio.
2. Ristrutturazione dei significati: alcune famiglie, sempre nell’ambito di trovare una spiegazione,
devono ristrutturare i significati che già avevano, devono cioè attuare processi di adattamento che
patterson definisce faar (family adjustment and adaptation response, dove il fattore significato
acquista due livelli, il primo è situazionale e riguarda specificamente il problema, il secondo è globale
e riguarda l’insieme delle credenze della famiglia stessa. A questo proposito i significati situazionali
sono il modo in cui i membri della famiglia parlano tra loro delle condizioni stressanti, cioè della
disabilità del figlio; il significato globale corrisponde all’identità familiare che include l’assegnazione
dei ruoli per l’esecuzione dei compiti, le regole e le norme dei comportamenti interazionali, la
definizione dei legami esterni.
3. Il punto di vista della famiglia sul mondo: qualora si verifichi una situazione stressante è importante
considerare l’orientamento che la famiglia ha rispetto alla realtà esterna. Molti autori hanno lavorato
su questo concetto ma soprattutto a livello individuale parlando ad esempio di “senso di coerenza”
(cioè le persone sono portate a vedere gli eventi esterni come cose che si evolveranno in maniera
ragionevole, per cui hanno un senso di fiducia che li aiuta, si sentono in grado di gestire gli eventi),
altri di solidità come possibilità di adattarsi meglio allo stress. Passando questi concetti a livello di
famiglia, le dimensioni cambiano, perché la visione collettiva della famiglia può anche risultare
diversa da quella dei singoli componenti. Pertanto Reis fa riferimento a tre stili familiari:
a) Configurazioni del senso di gestione
b) Coordinamento degli sforzi
c) Livello di apertura o chiusura rispetto all’esterno
Da questi tre stili, secondo Patterson si possono ricavare 5 dimensioni implicite dei comportamenti familiari
che sono:
1. Obiettivi condivisi (la famiglia ha un’ideologia comune e la porta avanti)
2. Collettività (la famiglia vede se stessa non come un’isola ma come parte di qualcosa di più ampio)
3. Capacità di inquadrare la situazione (coerenza individuale)
4. Relativismo cioè vivere sempre adeguandosi alle circostanze presenti
5. Controllo condiviso (che corrisponde alla solidità individuale quando si ha fiducia negli altri)
Processi di cambiamento familiare.
Tornando a come le famiglie costruiscono significati a partire dall’evento disabilit&