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ASPETTI AFFETTIVO-MOTIVAZIONALI, EMOTIVI

Quali sono questi aspetti? Il primo è la motivazione alla riuscita, cioè il processo attraverso cui un’attività

diretta ad uno scopo è iniziata e sostenuta -> le sue componenti sono:

- Interesse per l’attività

- Percezione di competenza (che fa parte del concetto di sé) -> è molto difficile che un ragazzo che ritiene di

“non essere capace di” riesca nel compito -> non è disposto a impegnarsi e a rinunciare alla gratificazione

immediata sé sa di non riuscire

- Autoefficacia

- Attribuzioni causali (locus of control esterno/interno)

- Aspettative e valori

- Emozioni positive

N.B: bisogna stare attenti alla difficoltà del compito e non mettere l’asticella troppo in alto, quindi il

compito deve essere alla portata del bambino. È importante anche differenziare i compiti a seconda della

capacità -> esempio: non dare una prova di sinonimi a un bambino che conosce appena l’italiano.

N.B: la relazione è bidirezionale -> se riesco nel compito, la mia immagine ne beneficerà. Influisce anche il

contesto, quindi ad esempio una classe molto preparata o poco preparata.

Un altro aspetto che influisce sull’apprendimento sono le emozioni:

- Emozioni negative intense: interferiscono con il processo di apprendimento. Infatti all’umore negativo

possono associarsi alti livelli di ansia che interferiscono con la memoria di lavoro e diminuiscono il livello

di prestazione -> l’ansia mangia risorse cognitive! Sarebbe importante ad esempio insegnare ai bambini a

gestire l’ansia nei primi minuti di una verifica in classe.

- Umore positivo: può migliorare la prestazione cognitiva, sostenendo l’attenzione

Quindi le emozioni non sono da considerare elementi di disturbo, quanto piuttosto di sostegno

all’apprendimento. Tradizionalmente le emozioni erano escluse dai modelli dello sviluppo cognitivo (es:

HIP), che consideravano solo aspetti cognitivi. D’altra parte per lungo tempo la cognizione è rimasta esclusa

dai modelli sulle emozioni -> nei modelli sulle emozioni classici vi è un evento che determina un certo

arousal che determina una emozione, senza il coinvolgimento di aspetti cognitivi. Più recentemente, alla fine

del secolo scorso, la teoria dell’appraisal ha cominciato a mostrare che effettivamente la cognizione è

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connessa con le emozioni, dal momento che quando un evento si verifica, affinché si possa rispondere ad

esso in modo emotivamente adeguato, prima lo si deve comprendere, gli si deve attribuire un significato ->

Lazarus ha sostenuto che dato un evento ne conseguono una serie di processi cognitivi che etichettano,

categorizzano, interpretano l’evento, e in seguito a questa etichetta emerge un certo tipo di attivazione

fisiologica e una certa emozione. In questo modello quindi la cognizione ha il primato sull’emozione, dato

che l’emozione dipende dall’etichetta cognitiva che è stata applicata precedentemente. Oggi si pensa che

emozione e cognizione sono strettamente interdipendenti e si rifiuta l’idea che una o l’altra abbiano il

predominio. Esempi di studi che mostrano ciò:

- Paradigmi di affective priming: se faccio vedere un volto connotato emotivamente oppure un oggetto

connotato emotivamente e poi faccio eseguire al soggetto un compito cognitivo, la prestazione al compito

cognitivo è influenzata dall’emozione del volto, anche se esso non ha nulla a che vedere con il compito

(vedere un volto felice piuttosto che arrabbiato modula la successiva prestazione cognitiva) -> ad esempio in

un compito di classificazione di stimoli, i tempi di reazione sono inferiori quando il volto è felice

- Visual search: quando all’interno di una serie di stimoli devo trovare un volto connotato emotivamente,

piuttosto che un volto neutro, i tempi di reazione nella ricerca visiva sono più veloci.

- Affective neuroscience: questi studi dimostrano che è vero che ci sono sistemi deputati esclusivamente

all’elaborazione emotiva, però allo stesso tempo essi sono strettamente connessi alle aree di elaborazione

cognitive -> non sono sistemi separati, ma strettamente interconnessi

-> Possiamo concludere che cognizione e emozioni sono processi complementari, piuttosto che

indipendenti.

Le emozioni modulano e organizzano i pensieri, gli apprendimenti, le azioni del bambino. Allo stesso tempo

però le emozioni sono modulate dai pensieri, azioni, apprendimenti del bambino.

Vi sono anche altri fattori che influenzano l’apprendimento scolastico, oltre a quelli cognitivi, metacognitivi

e affettivi -> per esempio si deve tener presente che i comportamenti accademici (ad esempio frequentare le

lezioni, fare i compiti, partecipare in classe, organizzare il materiale) influenzano molto l’apprendimento e la

prestazione scolastica -> qui il problema non è di natura cognitiva, ma del contesto socio-culturale in cui il

bambino si colloca (quanto i genitori spingono il bambino ad andare a scuola, lo aiutano nel fare i compiti e

nell’organizzare il materiale). Ad un livello più elevato i comportamenti cruciali per un buon successo

scolastico sono anche l’autocontrollo, l’autodisciplina, la capacità di dilazionare la gratificazione (quanto

più il bambino cresce, quanto più dovrà essere lui capace di trovare il momento giusto per fare i compiti).

L’apprendimento infine può essere guidato, a un livello ancora superiore, anche dai valori e dai punti di

riferimento del bambino (ad esempio in America viene incoraggiata l’appartenenza al gruppo -> nei college

vengono consegnate magliette, felpe e materiali con il logo dell’università). Inoltre anche la percezione di

poter riuscire a scuola influenza l’apprendimento.

Con tutti questi comportamenti, atteggiamenti valori interagiscono poi le strategie di apprendimento sopra

descritte, ma anche le abilità sociali (con migliori abilità sociali sarà possibile ad esempio chiedere i compiti

quando si è assenti).

Da tutto ciò emerge dunque che i fattori che influenzano l’apprendimento scolastico sono molteplici e non

tutti strettamente cognitivi -> in quanto psicologi si deve essere in grado di capire a che livello il bambino

presenta difficoltà e per quale ragione il suo apprendimento non è ottimale -> se so dove il problema si

colloca, so anche come intervenire. Ciò implica anche che nella gestione della classe si devono saper

differenziare i percorsi di apprendimento (eterogeneizzare le classi), differenziare i tempi di apprendimento

(ad esempio un bambino impiega 30 secondi per svolgere un’operazione, mentre un altro bambino 5 minuti -

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> a quel bambino bisogna lasciare il tempo giusto, così potrà sperimentare un successo, anche se in un

maggiore tempo), ristrutturare gli spazi di apprendimento (luce, acustica, temperatura, qualità dell’aria, ma

anche “bellezza” dell’ambiente di apprendimento, es. colori), offrire consulenza e supporto di professionisti

ed esperti a insegnanti e genitori. I dati sulla dispersione scolastica (ragazzi della scuola dell’obbligo che

lasciano la scuola) sono in calo (nel 2006 il tasso era del 20,8% mentre nel 2017 è del 14,7), anche se

comunque il tasso è abbastanza elevato. L’obiettivo dell’UE è di arrivare nel 2020 al 10%

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7. Il gioco

Naturalmente non si apprende solo a scuola, dato che i contesti di apprendimento sono molteplici -> un

contesto in cui il bambino apprende tantissimo è il gioco. Nella convenzione sui diritti dell’infanzia e

dell’adolescenza nell’art 31 c’è scritto: “Gli Stati riconoscono che tutti i bambini devono essere trattati con

umanità e rispetto: hanno il diritto di riposarsi, giocare, fare sport, esprimere la propria creatività e

partecipare alla vita artistica e culturale del Paese in cui vivono”. Bruno Munari diceva che per i bambini il

gioco è una cosa seria.

Come evolve il gioco? Il bambino già nei primi mesi di vita gioca: le sue competenze motorie sono limitate,

però si possono proporre giochi multi sensoriali (stimolano i diversi sensi -> tante più modalità sensoriali

coinvolgo tanto più l’informazione acquisisce importanza), dato che le abilità percettive sono presenti fin

dalla nascita. Un passaggio importante avviene a 4/5 mesi in cui il bambino impara ad afferrare gli oggetti -

> si possono proporre giochi che stimolano la manipolazione -> attraverso la manipolazione il bambino può

così apprendere. Come devono essere questi oggetti? Non possono essere troppo piccoli perché manca la

presa a pinza (quella di precisione), che compare solo a partire dai 9 mesi. Dai 12-15 mesi il bambino riesce

a spostarsi nello spazio, quindi non gli interessa più solo lo spazio prossimale, ma va a cercare oggetti nello

spazio distale -> può fare giochi che facilitano lo spostamento in un ambiente più vasto.

Il gioco è importante e perché incrementa lo sviluppo fisico: con il gioco i bambini incrementano la forza

fisica, la resistenza, l’equilibrio, la coordinazione motoria. Incrementa poi lo sviluppo cognitivo: il gioco è

un modo per imparare attraverso i sensi (guardare, toccare, sentire, odorare, gustare), per percepire

organizzare e ricordare informazioni, per progettare, pianificare, risolvere problemi, essere creativi,

immaginare una soluzione originale, apprendere nozioni e significati. Il gioco incrementa anche lo sviluppo

del linguaggio -> con ogni nuovo gioco il vocabolario di parole si amplia, inoltre con il gioco il bambino

impara ad esprimere attraverso il linguaggio un desiderio, un’emozione, un’idea. Con il gioco si incrementa

anche lo sviluppo emotivo: giocare può essere divertente, ma anche molto impegnativo -> si sperimentano

emozioni (felicità, tristezza, rabbia, paura), si sopporta la fatica e la frustrazione, si gioisce per un successo e

si sperimenta la soddisfazione di un obbiettivo, si accetta la sconfitta, si esprimono le emozioni in modo

appropriato. Il gioco incrementa anche lo sviluppo sociale, perché grazie a esso si impara a condividere,

cooperare, rispettare le regole, aspettare il proprio turno, negoziare, trovare un compromesso (se si vogliono

fare giochi diversi ci si consulta e si arriva a una soluzione insieme).

Quindi attraverso il gioco i bambini vivono una serie di esperienze importanti per il loro futuro sviluppo.

Quali sono i diversi giochi? Tra 0-1 anno il gioco è sol

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Mariasole Genovesi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dello sviluppo cognitivo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Turati Chiara.