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LE RELAZIONI CON I PARI.
Il gruppo dei pari è un gruppo di persone coetanee al bambino, ma che non appartengono al suo
gruppo famigliare. Nel gruppo dei pari, si instaurano relazioni orizzontali e volontarie, che
richiedono un maggiore impegno reciproco rispetto alle relazioni che nascono all'interno della
famiglia.
Le relazioni con i pari non sono sempre uguali nel tempo, ma variano in funzione dell'età dei
bambini:
prima infanzia: le relazioni sono limitate e spesso hanno esito conflittuale, che non riesce
– ad essere gestito;
età prescolare: l'interesse verso i pari aumenta notevolmente, tuttavia le attività in parallelo
– (fare la stessa cosa, ma ognuno per conto proprio) restano prevalenti sulle altre;
età scolare: le interazioni diventano più complesse, perchè c'è molto tempo da dedicare al
– gioco libero;
adolescenza: dal punto di vista sociale (moda, divertimento), la maggiore influenza è
– esercitata, quasi in assoluto, dal gruppo dei pari.
LO STATUS SOCIALE.
Una dimensione della competenza sociale è la capacità del bambino di stare con i suoi pari. Stare
con bambini della propria età è molto diverso da saper stare con i genitori o con i fratelli. Un
bambino che ha una buona relazione fraterna o che ha un migliore amico, non per forza è il più
popolare nel gruppo. Si deve distinguere l'abilità nel gestire una relazione a due e l'abilità nel gestire
una relazione fra molti.
Un modo di capire come un individuo sta nel gruppo dei pari è quello di stabilire lo status sociale.
Per status sociale si intende la posizione di un individuo nel gruppo dei pari. Per capire lo status
sociale si utilizzano i sociogrammi, dei grafici in cui si “tessono” le relazioni all'interno del gruppo.
In questo modo si identificano:
i bambini popolari (a molti bambini piace giocare con loro): sono i più popolari. Questo è
– dovuto in fatto alla loro bellezza fisica, ma soprattutto alla loro maturità psicologica
(cooperatività, posività, emotività);
i bambini trascurati (senza compagni di gioco preferiti): sono bambini che non sono inclusi
– in un gruppo di pari, ma non ne soffrono. Hanno le abilità per integrarsi, se lo desiderano,
ma spesso preferiscono la solitudine.
i bambini rifiutati (vogliono integrarsi, ma nessuno vuole giocare con loro). Questa
– categoria si divide in due sottocategorie. La prima è quella dei bambini rifiutati aggressivi:
questi bambini credono di piacere agli altri, ma nessuno vuole giocare con loro, perchè sono
imponenti, non rispettano le regole e disturbano. Da grandi, questi bambini, avranno più
probabilità di sviluppare problemi di estroversione, quali delinquenza e criminalità). La
seconda sottocategoria è quella dei bambini rifiutati introversi: questi bambini sono
socialmente goffi e sanno di non piacere agli altri. Da grandi, avranno più probabilità di
sviluppare problemi di introversione, come ansia sociale e vittime di bullismo.
IL GIOCO.
Il gioco è il mezzo, quasi esclusivo, per instaurare un rapporto con gli altri, in particolare con i pari.
Bisogna distinguere due tipi di gioco. Uno è il gioco solitario: sebbene possa essere valutato
negativamente, il gioco solitario è molto importante: è sintomo della capacità di problem solving
autonomo del bambino, della sua capacità di concentrarsi, di porsi un obiettivo e di raggiungerlo.
L'altro tipo di gioco è quello sociale: in questo campo si distinguono tre categorie:
gioco simbolico: si tratta della forma più semplice di gioco sociale. I bambini, in questo
– caso, mettono in scena una rappresentazione simbolica di una situazione reale (es. “facciamo
finta di cucinare”, “facciamo finta di bere il the”);
gioco di finzione: si tratta di una forma evoluta del gioco simbolico. In questo caso, i
– bambini interpretano dei ruoli sociali (reali o di fantasia → cartoni animati) e la loro
rappresentazione simbolica diventa più varia (una banana può diventare un telefono);
giovo di lotta: si mettono in scena le dinamiche tipiche della lotta, anche se l'esito non è di
– aggressività, ma di avvicinamento reciproco. In base alla classifica dei “vincitori”, si
stabilisce una gerarchia di dominanza, che permette un differente accesso alle risorse.
L'AMICIZIA.
L'amicizia è una relazione reciproca: a entrambe le parti piace trascorrere del tempo con l'altro.
Scegliamo una persona come amico perchè vediamo che l'altro è simile a noi e condivide con noi
molti punti di vista.
Imparare a costruire un'amicizia serve a definire il proprio sé, a imparare a discutere attivamente e
come protezione contro gli agenti stressanti (es. divorzio dei genitori).
Il genere determina tipi di amicizie diverse. I maschi costruiscono gruppi di amici più grandi, dove
ci sono più scambi, ma meno intimità. Le femmine, al contrario, costruiscono amicizie inferiori
numericamente, ma più intime.
Selman riconosce quattro stadi nello sviluppo dell'amicizia:
1. 3 – 5 anni: l'amico è un compagno di gioco, che viene scelto, la maggior parte delle volte,
perchè abita vicino al bambino;
2. 6 – 8 anni: l'amico è una persona che aiuta il bambino e fa quello che vuole lui → si tratta di
una relazione a senso unico;
3. 9 – 12 anni: l'amico è una persona con la quale si coopera. Eventuali litigi, però, pongono
fine all'amicizia;
4. 11 – 15 anni: l'amicizia è una relazione di interessamento reciproco, che riesce a
sopravvivere anche a dei conflitti.
L'AUTOREGOLAZIONE (AR).
L'autoregolazione è la modulazione delle nostre risposte. A volte bisogna alzare il livello delle
nostre risposte, per reagire ad uno stimolo; altre volte, invece, bisogna inibire gli stimoli.
L'autoregolazione serve anche per modulare le emozioni e la cognizione.
Alcuni autori descrivono l'autoregolazione come l'abilità che ci permette di essere civili: ogni volta
che rispettiamo delle regole, seguiamo un'indicazione e inibiamo delle risposte automatiche, stiamo
attuando un processo di autoregolazione. Tutto questo include anche il sistema cognitivo
(attenzione, comprensione).
Gli stimoli possono essere esogeni, ossia che provengono dall'ambiente; oppure, gli stimoli possono
venire dall'interno, come le emozioni.
Una volta che l'autoregolazione avviene nel modo corretto, riusciamo a controllare i pensieri, le
emozioni e il comportamento.
L'autoregolazione, quindi, è un'abilità importante in un bambino: si tratta di una forma di controllo
volontario.
L'autoregolazione si incastra con il temperamento. A differenza del nostro comportamento, lo sforzo
che bisogna fare può essere più grande o meno grande: alcuni bambini fanno fatica a inibire, ma si
accendono facilmente; per altri bambini, le risposte sono opposte.
L'autoregolazione si testa con il compito del marshmallow: un bambino viene messo di fronte ad
una caramella e gli si dice di non mangiarla mentre l'adulto non c'è. La ricompensa per aver
rispettato la regola sta nel ricevere due marshmallow. In questo caso, l'autoregolazione è inerente
soprattutto al comportamento. I bambini si sono dovuti autoregolare perchè hanno dovuto
posticipare la gratificazione immediata. L'autoregolazione, a volte, comporta della fatica, come per i
bambini del video.
FATTORI CHE DETERMINANO L'AR.
Dal punto di vista fisiologico, si pensa che le zone del cervello che si attivano durante
l'autoregolazione siano nel lobo pre-frontale. Più si cresce, più lo sviluppo complessivo del cervello
aumenta. Di conseguenza, si sviluppa anche questa zona e il controllo dell'ar aumenta.
Inoltre, per fare l'autoregolazione, servono delle risorse cognitive disponibili: quando si è stanchi e
stressati, si fa più fatica ad autoregolarsi, risulta difficile inibire qualcosa che ci viene automatico.
La bravura nell'autoregolazione dipende anche dai fattori sociali, come l'educazione che si riceve
gli aspetti culturali. Nelle culture orientali, la cultura vuole che l'espressione delle emozioni debba
essere molto controllata. I bambini della stessa età, però occidentali, devono controllare meno le
loro emozioni, perchè la cultura non lo chiede loro.
Le funzioni esecutive sono i processi cognitivi che sottostanno all'ar. Per esempio, le capacità di
mentalizzazione sono importanti nell'autoregolazione: queste abilità ci permettono di capire l'altro
e di controllarci di conseguenza.
RUOLO DEL CARE-GIVER NELL'AR.
All'inizio, l'autoregolazione viene portata avanti dai care giver. La sfida evolutiva per il bambino è
quella di imparare a regolarsi da solo. Nel corso dello sviluppo, il ruolo del care giver diminuisce:
l'etero-regolazione (care giver) deve intervenire in base alla capacità del bambino. L'etero-
regolazione deve quindi lasciare spazio all'autoregolazione. Per avere dei bambini che imparano ad
autoregolarsi, dobbiamo incentivare i comportamenti che riguardano l'autonomia. Questo processo
viene messo in atto ogni giorno durante le cure quotidiane, in particolare durante i momenti che si
condividono con i care giver primari.
Uno dei primi punti di autoregolazione è la mediazione linguistica: appena un bambino
interiorizza la regola, lui la ripete ad alta voce e in questo modo riesce ad autoregolarsi; dopo un
po', l'autoregolazione viene automaticamente senza bisogno di ripetere a voce alta la regola.
Anche lo stile educativo dei genitori influenza l'autoregolazione. Alcune caratteristiche in questo
campo sono:
permissività o severità;
– risposta congruente ai bisogni dei bambini (sensibilità): alcuni genitori sono sensibili e
– rispondono in maniera adeguata; altri genitori interpretano male i bisogni del bambino o
intervengono nel momento sbagliato;
percezione della maturità del figlio: un bambino di tre anni non ha bisogno dello stesso
– supporto di un bambino di tre mesi; alcuni genitori pensano che il bambino abbia
costantemente bisogno di aiuto: in realtà, bisogna aiutare solo quando è necessario;
la comunicazione rivolta ai bambini: per i bambini è difficile capire i comandi negativi (non
– correre, non fare rumore), perchè non riescono a capire l'alternativa; i bambini capiscono
meglio i comandi positivi.
In particolare, più un care giver è sensibile e permette di acquisire autonomia, più il bambino riesce
ad