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3. DISTURBI DELL’IDENTITA’ DI GENERE (GID)
Il disturbo dell’identità di genere nasce nel momento in cui un individuo non si riconosce nel proprio
sesso di appartenenza e ,anzi, sente una forte identificazione con il sesso opposto. Questo può
verificarsi tanto per l’adulto, quanto per il bambino e l’adolescente.
L’infanzia è il periodo maggiormente sensibile in cui questi disturbi affondano le proprie radici;
Stoller (1968) ritiene che abbiano origine nella fase pre-edipica, in particolar modo nella relazione
madre-bambino. Entrambi i sessi, infatti, identificano la mamma come primo oggetto d’amore:
entrambi, dunque, muovono da un’iniziale protofemminilità. Il processo di sviluppo del maschio
prevede una maggiore difficoltà, dovuto (a differenza che nella femmina) ad un processo di dis-
identificazione dalla figura materna, motivo che secondo Stoller spiegherebbe la maggior incidenza
di disturbi dell’identità di genere nel sesso maschile. Per il maschio, dunque, il disturbo sarebbe
causato da una fallita disentificazione dalla simbiosi materna; nella femmina sarebbe invece
dovuto all’indifferenza o inadeguatezza delle cure materne che la spingerebbero verso
l’identificazione con il padre. Il contesto famigliare (compresi atteggiamenti, aspettative, “richieste”
da parte dei genitori) sarebbe cruciale. Se il disturbo compare già durante l’infanzia, durante
l’adolescenza non fa altro che rafforzarsi: la maturazione fisica non fa che allontanare ancora di più
la possibilità di identificarsi con il sesso desiderato, quindi opposto. Questo porta ad una vera e
proprio crisi (se non, in alcuni casi, dispersione) di identità. Quando ci si trova davanti ad un
identità di genere poco chiara e definita, è normale la comparsa di sentimenti quali
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insoddisfazione, ansia o depressione, poiché questa poca chiarezza porta a mettere in dubbio la
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stessa identità dell’Io. Un esempio di distrubo di identità di genere è il transessualismo , i cui criteri
diagnostici sono elencati nel DSM IV.
È possibile, seconda la psicologa Raffaelle Visini (articolo “Maschio o femmina? Segnali precoci di
un possibile disturbo dell’identità di genere”), identificare dei sintomi già durante l’infanzia non solo
tramite le frasi ripetute dal bambino stesso, ma anche tramite l’osservazione del gioco: i ruoli che
preferisce assumere, con chi gioca, le fantasie messe in atto durante il gioco. Se questi elementi
sono sempre tipici del ruolo opposto (preferenza di compagne del sesso opposto, di giochi
tipicamente dell’altro genere…) , si può essere davanti ad un disturbo dell’identità. Occorre,
comunque, prestare massima attenzione al fatto che siano sintomi persistenti nel tempo e non
passeggeri; a volte, infatti, possono essere causati da stress, la nascita di un fratellino del sesso
opposto, un fallimento nel gruppo del pari…
4. “L’IDENTITA’ DI GENERE NEI BAMBINI DAI TRE AI CINQUE ANNI: UNA RICERCA”, da
“Identità di genere. I bambini e le differenze sessuali”, Daniela Vigna e Manuela Nissotti
Daniela Vigna e Manuela Nissotti hanno condotto una ricerca su un campione di 51 soggetti
frequentanti una scuola materna, di età compresa tra 3 e 5 anni, e divisi in gruppi in base alle tre
diverse fasce di età (ogni gruppo è composto da 6 bambini, 3 maschi e 3 femmine). Gli strumenti
utilizzati sono stati due: in primo luogo sono stati usati colloqui di gruppo semi strutturati, tramite
input dati dalla sperimentatrice per esortare la discussione nei bambini; gli argomenti trattati erano:
Sé e differenze di genere; Altri da sé e differenze di genere; Figure di riferimento affettivo e
differenze di genere. Il secondo mezzo di indagine è stato il disegno, inteso come espressione
dell’immaginario infantile in cui il bambino esprime le proprie conoscenza della realtà.
Gli obiettivi erano comprendere le rappresentazioni di mascolinità e femminilità nel bambino,
verificare le fasi descritte da Jessica Benjamin e vedere se esiste una precognizione non a livello
conscio tramite l’indagine sui disegni. Le ricercatrici individuarono i seguenti risulti:
- Bambini di 3 anni: il bambino non si pone il problema della differenza di genere; sa a quale
genere appartiene ma in modo molto superficiale, solo come etichetta che gli viene attribuita
esternamente ma senza averne una vera consapevolezza (core identity di Stoller o identità di
genere nominale di Benjamin). Infatti, durante i colloqui alcuni esempi di discussioni erano
questi:
Tu Zeudi sei un maschio o una femmina?
Una femmina… E lui (Michele) un maschio
6 Transessualismo: forte identificazione con il genere opposto e forte desiderio a modificare il proprio corpo in modo da
renderlo aderente al sesso opposto 13
E perchè dici che tu sei una femmina e Michele un maschio? Da cosa lo capisci?
Perché si chiama così…
Allora tu sai che sei femmina dal tuo nome?
Si... […]
[…]da cosa capisci che sei femmina?
Enrica: me lo hanno detto! […]
Simone: non vedi, siamo dei maschi!
Mi dici da cosa avete capito che voi siete maschi e loro femmine?
Io lo capisco da me… […]
[…]io lo so che sono una femmina e loro dei maschi… lo capisco perché sono così.. perché io sono
Roberta e lui Simone.
Dal punto di vista grafico la differenza maschio - femmina viene espressa disegnando prima il
proprio genere per valorizzare l’appartenenza al proprio gruppo e disegnando i primi abbozzi di
organi genitali. Se verbalmente sono ancora incapaci di esprimere alcun tipo di conoscenza
sull’argomento, nel disegno inizia invece a comparire maggiore espressività.
- Bambini di 4 anni: l’appartenenza ad un genere piuttosto che un altro sembra esser ancora
legata alle etichette verbali, con poca consapevolezza e conoscenza espressa nei colloqui:
Come fai a sapere se sei maschio oppure femmina?
Perché le mamme ci chiamano così…
Mio papà me lo ha detto
Gabriele, tu sei maschio o femmina?
Ehm… Un maschio!
E da cosa lo hai capito che sei un maschio?
Me lo hanno detto… […] i miei genitori mi hanno detto: tu sei Gabriele. E io l’ho capito.
Dal punto di vista grafico, gli elementi che vengono utilizzati per differenziare i generi differenti
sono elementi culturali, quali il vestiario, le azioni tipiche di un genere piuttosto che dell’altro,
l’aspetto estetico… Gli elementi anatomici non vengono più rappresentati: Vigna e Nissotti
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sottolineano che questi indicatori sostengono la teoria della Benjamin, secondo cui il bambino,
una volta acquisito anche solo superficialmente le differenze sessuali, si rifiuta di rappresentarle
come una sorta di rifiuto della ferita narcisistica, per non affrontare la differenza tra maschio e
femmina che altrimenti verrebbe vissuta come mancanza.
- Bambini di 5 anni: il bambino è finalmente consapevole della differenza tra generi. È in grado
di rispondere alle domande portando argomentazioni sia a livello culturale che a livello di
differenze anatomica tra i sessi. Non si riconosce più, quindi, maschio o femmina in base alle
etichette verbali, ma in base alle proprie caratteristiche sessuali, a quelle degli altri e
all’osservazione dei ruoli (principalmente quelli genitoriali):
Come fanno i bambini a capire se sono maschi o femmine?
Dalla gonna!
No, perché riconosco la voce!
Le tettine! Non si vedono perché sono sotto la maglietta, però sono gonfie!
I maschi e le femmine sono uguali o diverse?
Diverse! […] Si, le femmine hanno i capelli lunghi, e i maschi corti!
Come si fa a capire se uno è un maschio o una femmina?
I dottori… quando nasce!
Ma come si fa a sapere che nome dargli, se non sai se è maschio o femmina…
No il papà mette un semino, poi dicono da come lo vedono.. se no dal pisellino
Nella rappresentazione grafica la differenza viene sottolineata tramite la differenziazione a
livello estetico e grazie ai dati di acquisizione culturale. Vigna e Nissotti sottolineano però che, a
differenza del gruppo precedente, in questa rappresentazione emerge la negazione per la
castrazione.
5. CONCLUSIONI
L’identità di genere risulta essere parte integrante e fondamentale dell’identità sociale di ogni
individuo. Il genere è, a differenza del sesso, solo in parte determinato da fattori biologici; esso è
principalmente un costrutto socioculturale, plasmato dalla società, dalle relazioni e dalle
convenzioni sociali. 15
Le persone e le strutture che contribuiscono, dunque, alla costituzione dell’identità di genere del
bambino giocano un ruolo fondamentale e devono prestare la massima attenzione , cercando di
agire nel modo giusto. I genitori devono accogliere il sesso del bambino così come capita, a
prescindere dalle preferenze o da ciò che si avrebbe desiderato prima di scoprire il sesso; essi
devono aiutare l’infante, dando gli stimoli giusti per sviluppare il proprio genere ma, nel contempo,
senza esagerare, senza ciò escludere radicalmente il genere opposto. Oggi più che mai si assiste
ad un tentativo di uguaglianza tra maschio e femmina, in cui ciò che prima era esclusivamente
maschile inizia ad aprirsi anche al mondo femminile (vedi il mondo del lavoro). Anche a livello
scolastico ed educativo, c’è la tendenza oggi a sminuire e sfumare le differenze sessuali, in modo
tale che di fronte alle scelte di vita vi sia un atteggiamento simile e che le prestazioni siano a pari
livello. Di conseguenza, spesso il contesto educativo spinge i bambini verso la socializzazione col
sesso opposto, per evidenziare l’assenza di importanti differenze sessuali (per esempio, non
esistono più scuole in cui maschi e femmine svolgano attività separate nonostante facenti parti
della stessa classe). Questo è sicuramente un bene, ma non bisogna dimenticare, secondo me,
che le differenze di genere esistono; ciò non significa assolutamente che un genere sia migliore di
un altro, ma piuttosto che i generi possano essere tra loro complementari e che quindi solo la loro
collaborazione reciproca può portare ad una completezza. 7
Uno dei dibattiti oggi maggiormente acceso è quello riguardante il tema dell’ “omogenitorialità ”,
ovvero la possibilità per coppie omosessuali di crescere figli. È un tema sicuramente delicato,
inquinato da pregiudizi e stereotipi comunemente diffusi nella società e che rendono il discorso
ancora più acceso. Bambini che crescono con genitori dello stesso sesso avranno pi&u