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Spesso i libri di testo, soprattutto testi scientifici e antropologie per bambini, offrono
immagini stereotipate dei ruoli di uomini e donne, dando scarsissima visibilità a
quest’ultime (in un esempio riportato nel testo della Burr, si parla di come Marie Curie
venisse rappresentata in un volume scientifico seduta accanto al marito come una
semplice aiutante, mentre è noto che il suo contributo fu essenziale quanto quello del
marito nei suoi studi sulla radioattività. Inoltre Marie Curie vinse ben due Premi Nobel
mentre suo marito Pierre ne vinse soltanto uno). Questi stereotipi sono piuttosto
forvianti quando lo scopo è quello di permettere al bambino di scoprire e crearsi una
propria visione del mondo e dei reciproci ruoli di uomo e donna.
Organizzazioni e prassi scolastiche
Spesso la parità dei sessi all’interno delle mura scolastiche è puramente formale e i
giovani ne deducono che la differenza di sesso sia una discriminante sufficiente per
l’assegnazione di compiti diversi e attività separate, per esempio durante le lezioni di
educazione fisica ragazzi e ragazze continuano ad essere assegnati a gruppi sportivi
diversi: i ragazzi sono impegnati in sport più virili come il calcio, basket o l’atletica;
mentre le ragazze vengono assegnate a sport “più appropriati” come la pallavolo e la
ginnastica artistica.
Questo continuo rinforzo da parte degli insegnanti contribuisce alla costruzione di una
rigida mentalità diversa per genere che nel futuro potrebbe trasformarsi in una rigida e
chiusa convinzione sui ruoli sessuali.
Atteggiamenti e attese degli insegnanti
Gli insegnanti hanno aspettative e atteggiamenti diversi nei confronti degli allievi dei
due sessi: per esempio, per quanto riguarda i successi personali delle ragazze, gli
insegnanti dicono loro che questo è frutto solo del loro impegno e del loro studio e se
falliscono vengono rassicurate ma non incoraggiate a fare meglio, come se da loro non
ci si potesse aspettare nulla di più; quando sono i ragazzi ad avere successo, vengono
elogiati per le loro doti personali quindi un insuccesso non è frutto di scarsa
intelligenza, bensì di altri fattori quali un’eccessiva aggressività. Ne consegue quindi
che premi e punizioni vengono elargiti in modo differente a seconda del sesso di
appartenenza: se i ragazzi vengono premiati per lo svolgimento di un lavoro, vengono
invece puniti per il loro comportamento o per la cura estetica di loro stessi; mentre alle
ragazze accade esattamente il contrario, ci si aspetta che siano tranquille, docili e in
ordine, ma che siano scolasticamente più deboli dei maschi.
Un altro atteggiamento che condiziona e approfondisce la credenza di alcuni stereotipi,
sono le osservazioni sessiste che i docenti maschi utilizzano per esprimere i propri
giudizi riguardo ad una classe (“comportarsi da femminucce” riferito ad un gruppo di
ragazzi). Askew e Ross [1988] hanno suggerito l’idea di un “cultura comune” di stampo
maschile che accomuna docenti e allievi maschi, escludendo di fatto insegnanti e allieve
femmine.
Inoltre è importante sottolineare come le aspettative degli insegnanti influenzino l'idea
che gli studenti hanno riguardo a loro stessi, questo perché essi interiorizzano le
aspettative di genere che i docenti esprimono rispetto alle loro capacità attuali e future,
facendo sì di fatto, che queste diventino delle vere e proprie profezie riguardo alla vita
futura dell’allievo. Ovviamente sulla base di ciò che ho affermato in precedenza,
essendo le aspettative degli insegnanti più rosee per i ragazzi e più modeste per le
ragazze accade che spesso le vite di questi si svolgano proprio come predetto.
Interazioni a scuola – docente/alunno
Da uno studio di Spender [1982], è emerso che nonostante gli insegnanti si
impegnassero a dedicare la stessa quantità di tempo ed attenzioni agli alunni di entrambi
i sessi, ciò non accadeva, in quanto a causa dell’irrequietezza dei maschi questi ultimi
riuscivano a strappare ai docenti quasi il doppio delle attenzioni rivolte alle ragazze:
“...Diamo così per scontata la maggiore importanza dei ragazzi e la necessità di
dedicare ad essi maggiore tempo e attenzione che per il solo fatto di dare alle ragazze il
35% del nostro tempo sentiamo di essere state ingiuste nei confronti dei
ragazzi...[ibidem, 56]”.
Interazioni a scuola – alunno/alunno
Gli spazi di gioco all’interno della scuola risultano essere un ulteriore punto
chiarificatore nella comprensione delle interazioni tra studente e studente, è infatti
osservabile come esso sia strutturato in base al sesso (i maschi monopolizzano tutto lo
spazio di gioco rincorrendosi, giocando a pallone o facendo la lotta; mentre le femmine
tendono a riunirsi in gruppi più ristretti, relegate agli angoli dell’area di gioco,
osservando i maschi o semplicemente tentando di non essere coinvolte nelle loro
attività) . Questa “occupazione dello spazio” non si limita solo allo spazio fisico, ma
anche a quello comunicativo: nelle conversazioni miste gli uomini tendono a parlare di
più, controllano il tema ed interrompono spesso.
E chiaro che tali differenze non possono essere imputabili interamente agli insegnanti,
ma per far fronte a tutte queste situazioni sono state elaborate delle strategie di
cambiamento che negli anni passati sono state applicate in alcuni istituti: sono stati
istituiti contesti d’insegnamento specifici per il sesso, sono stati elaborati progetti di
ricerca – azione per la promozione di un atteggiamento più positivo verso le scienze e le
materie tecniche da parte della popolazione studentesca femminile, è stata avviata una
politica di pari opportunità all’interno degli istituti, il tutto con risultati discreti ma
senza un reale e sensibile cambiamento a livello praticato.
UN CONTRIBUTO PERSONALE
Se teniamo conto che la scuola è il teatro in cui l’individuo conquista la sua identità
sessuale, e se teniamo conto che di fatto il sesso non è l’unica discriminante fra gli
studenti, ma che anche la classe sociale e l’etnia hanno un forte peso, non possiamo fare
a meno di chiederci: per diventare dei soggetti intellettuali a pieno titolo è davvero
necessario rinunciare ad un’identità (sessuale, etnica e sociale) autentica?
L’omologazione, <<l’androginizzazione>>, è davvero l’unica strada valida possibile?
Per rispondere a questa domanda e giungere ad una conclusione ponderata ma con un
certo spirito d’innovazione, voglio rifarmi al pensiero di altre donne che su questo
argomento hanno riflettuto e hanno lavorato per gran parte della loro vita.
Luce Irigaray nasce in Belgio nel 1930.
Il testo “Speculum” è l’elaborato per il suo dottorato di ricerca all’università di
Vincenses (Francia), scuola lacaniana. Jacques Lacan si definiva come il più fedele
seguace di Freud, sebbene lui stesso finì con il rielaborarne il pensiero, ma quando la
Irigaray pubblicò la sua tesi di dottorato venne cacciata perché accusata di “mancata
fedeltà ad un solo discorso”. Il testo è una denuncia di come nel corso della storia il
pensiero globale occidentale sia stato in realtà un discorso maschile, elaborato da
uomini, per una cultura patriarcale (FALLO – LOGO – CENTRISMO = centralità del
pensiero dell’uomo); ma anche di un trattato sull’esaltazione della donna e della sua
sessualità, ponendosi contro all’ideologie e le teorie del pensiero occidentale in materia
di “enigma della femminilità”. In queste righe ritroviamo un approccio filosofico delle
differenze sessuali, ma anche un costruttivismo riguardo alle pari opportunità, le
differenze di genere e le motivazioni delle varie discriminazioni: reinterpretando il
pensiero freudiano, si parla della differenza sessuale e della donna senza però
mortificarla o ridurla, anzi, esaltando la sua diversità.
Marina Valcarenghi nasce a Milano nel 1940, è una psicoanalista – psicoterapeuta.
Nel 1982 fonda con alcuni colleghi una scuola di psicoterapia a indirizzo junghiano,
che, in seguito alla legge sull’istituzione delle scuole di psicoterapia, viene riconosciuta
dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca scientifica come scuola in grado di
rilasciare diplomi di psicoterapeuta validi per l’U.E. Di questa scuola è attualmente
condirettrice e docente di psicologia analitica e di psicoanalisi degli aggregati sociali.
Fra il 1994 e il 2002 svolge un’attività sperimentale di psicoterapia all’interno del
reparto di isolamento maschile del carcere di Opera (Milano), dirigendo il suo
intervento in particolare verso i condannati per violenza sessuale (stupro e pedofilia).
Nel suo testo “L’aggressività femminile” propone la tesi che nel corso dei millenni,
attraverso l’evoluzione, l’istinto della donna ha subito una mutazione che ha indotto una
compressione della sua aggressività. Questo cambiamento deve essere stato dettato dalla
necessità di conservazione della specie, e i sintomi di questa “compressione artificiale”
si esprimono in comportamenti deficitari o eccessivi, come: autolesionismo, abitudine al
lamento, senso di colpa, dipendenza, insicurezza o ansia da controllo, prepotenza e
atteggiamenti insofferenti e colerici. Nonostante il testo in generale sia improntato su
questi argomenti, ritengo tuttavia, che emerga qualcosa di significativo e di similare con
il pensiero di Luce Irigaray.
Nel paragrafo “La questione dell’aggressività femminile – il pensiero”, dopo aver
riportato un intervista del 2005 a Sarah Gavit (scienziata e allora responsabile di un
progetto per la NASA), la Valcarenghi illustra le differenti modalità di pensiero fra
uomo e donna esaltandone la diversità e la loro straordinaria complementarietà, e dice:
“...Le donne possono dunque essere sullo stesso piano degli uomini, e cioè avere la
stessa responsabilità; il che non significa essere uguali... La scelta delle donne alla
guida di esperimenti non deriva dall’uguaglianza, ma al contrario dalla diversità dei
due generi, proprio perché pensano in modo diverso – e ancora – Occorre un nuovo
modo di pensare per un diverso modello di sviluppo.”
Personalmente ritengo che Luce Irigaray e Marina Valcarenghi, nonostante siano due
donne profondamente diverse che vogliono porre l’accento su tematiche diverse, per
certi versi, esprimano un unico concetto di fondo.
Entrambe parlano dell’aggressività femminile come di qualcosa che è stato censurato,
condannat