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La comunicazione agli altri della propria sieropositività comporta, spesso, di rivelare il proprio stile
di vita (tossicodipendenza, relazioni extraconiugali); paura di rifiuto, isolamento, colpevolizzazione,
vergogna, colpevolizzazione; paura di perdere l’affetto delle persone care. La presenza del virus
diventa catalizzatore o precipitante di molte dinamiche della coppia spesso coprendo problemi che
hanno un’altra origine. Le persone senza partner stabili smettono di avere relazioni sentimentali e
sessuali per la paura di dire quello che hanno e di essere, per questo, rifiutati. Questo tipo di persone
utilizza la menzogna. I rapporti familiari pregressi sono spesso già conflittuali e, davanti all’evento
dell’HIV, la collera e le incomprensioni possono esprimersi con maggior intensità. L’immagine
sociale che accompagna l’AIDS fa sentire al malato ed ai familiari in maniera imponente “la
solitudine e la disperazione”. In alcuni casi può accadere che viene mantenuta una negazione della
malattia e del malato (soprattutto nella tossicodipendenza e nell’omosessualità). In questi casi
bisogna aiutare i familiari a recuperare i “buoni ricordi” che riguardano il loro familiare. “Gli
operatori” sperimentano una sorta di marginalità che lo stesso malato ha vissuto e vive rispetto al
gruppo sociale più allargato; presentano un rischio di “eccessivo coinvolgimento” e di presa in
carico senza la giusta distanza e, inoltre, rischiano l’alleanza con un membro della famiglia rispetto
che con un altro o con lo stesso malato. Spesso l’ospedale e gli operatori sono gli “unici punti di
riferimento” del malato. Gli interventi che si fanno sul paziente affetto da HIV sono:
- interventi educativo-formativi sulla popolazione generale e sui gruppi con comportamenti a
rischio;
- consueling pre test (questa parte o si fa insieme al medico o sepratamente in modo che il
medico gestisce la parte medica e lo psicologo la parte psicologica) e post test;
- supporto al paziente.
Il consueling non viene fatto solo al malato ma, anche al partner e ai familiari. I reparti di malattie
infettive sono quelli dove è maggiormente richiesta la presenza dello psicologo anche per aiutare gli
operatori a gestire tutte le angosce che ricevono dai pazienti.
28/3/14
Il “distress” è lo stress che fa male, cioè quando le situazioni vengono valutate negativamente. Lo
stress che fa bene è quando le situazioni vengono valutate positivamente. I fattori di rischio del burn
out sono: fattori individuali (età, sesso); aspettative nei confronti del lavoro; tipo di personalità
(personalità autoritaria, bassa autostima, tendenza all’impulsività ed alla negazione); fattori culturali
( modelli culturali occidentali: individualità, competitività, meritocrazia, spinta al successo o
all’opposto appiattimento dei ruoli); gravità della patologia dei pazienti (è facile andare in burn out
con i pazienti cronici); mancata percezione della propria competenza ed efficacia lavorativa
(assenza di feedback significativi sui risultati del lavoro, assenza di risorse disponibili per
migliorare il proprio lavoro, obiettivi mal definiti); aspetti relativi all’organizzazione del lavoro
(sovraccarico di lavoro, ruoli e mansioni ambigue, turni lavorativi irregolari ed imprevedibili).
Burn out: è una reazione conseguente all’esposizione prolungata a fattori di stress.
Maslach afferma che la sindrome del burn out è una sindrome costituita da tre componenti:
1) esaurimento emotivo;
2) depersonalizzazione;
3) ridotta realizzazione personale.
Si è concentrara soprattutto sui fattori socio-ambientali. La Maslach ha costruito la scala MBI per
misurare il burn out negli operatori. L’MBI è costituito da queste sottoscale:
- sottoscala esaurimento emozionale;
- sottoscala spersonalizzazione;
- sottoscala realizzazione personale;
- punteggio inverso.
Freudenberger, invece, si è concentrato più sui fattori individuali del burn out.
Quando inizia a comparire il burn out si ritiene che sia provocato altri e si attribuisce ad una propria
manchevolezza (utilizzo di farmaci, alcool). I sintomi e degni fisici del burn out sono: problemi
sessuali, stanchezza ecc. Quelli cognitivi-affettivi: distacco emotivo e non disponibilità, difficoltà di
concentrazione ed ascolto, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, rabbia e risentimento,
cinismo verso pazienti e colleghi, ansia, depressione.
Intelligenza emotiva: è la capacità che consente di servirsi di altre capacità superiori attraverso la
gestione dell’esperienza emotiva. È la capacità di esprimere e comprendere le emozioni. L’empatia
risulta essere una componente fondamentale dell’intelligenza emotiva.
Empatia: è la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo ed i pensieri degli altri. L’assenza di
empatia provoca conflitti con gli altri.
Collera passiva: lamento, pettegolezzo, calunnia, creare zizzania affinché siano gli altri a gestire in
qualche modo il conflitto.
Collera esplosiva: minacce, atti vandalici, prepotenze, ironia.
Nel gruppo di lavoro ci deve essere un equilibrio tra i bisogni individuali ed i bisogni del gruppo.
Generalmente, questo equilibrio è stabilito dalla leadership. La presenza di obiettivi spinge alla
motivazione. Maggiore è l’ansia, minore è la capacita del gruppo di usare il pensiero razionale.
Quando in un gruppo il conflitto è nella fase acuta, non si possono trovare delle collaborazioni. Le
cause dei conflitti nei gruppi sono: stile di leadership autoritario; struttura complessa del compito;
grandi dimensioni dei gruppi di lavoro (si possono creare dei sottogruppi con obiettivi contrastanti).
4/4/14
Per l’introduzione di operatori psico-sociali ci sono azioni di carattere educativo, psicologico e
sociale. Il volontariato non è solo di tipo assistenziale ma anche di tipo progettuale. I macro
obiettivi possono essere così riassunti: affrontare il senso di spaesamento e di ansia del cittadino che
interagisce con il servizio ospedaliero; rispettare i ritmi biologici (in particolare i ritmi circadiani);
favorire il mantenimento delle relazioni sociali e affettive del paziente; sviluppare connessioni tra i
diversi sistemi interni all’organizzazione ospedaliera; migliorare l’immagine dell’ospedale.
Toccare il proprio punto fragile significa toccare il proprio senso di onnipotenza con cui bisogna
fare i conti ed è più facile proiettarlo verso l’esterno. Non tutti i pazienti sono disponibili
all’incontro con lo psicologo. Rischio: eccessiva psicologizzazione e delega del personale sanitario.
Gli invii sono affidati al caso, valutazioni esclusivamente sintomatiche (sofferenza visibile).
Predittori del rischo psicopatologico:
- colloquio proposto a tutti i pazienti (molto costoso e non tutti ne hanno bisogno);
- invio da parte dei curanti (modalità molto adottata, tendenza dei medici a sottovalutare le
complicanze psicopatologiche);
- screening con strumento psicometrico.
Le reazioni di ansia, depressione e rabbia nel paziente malato sono normali quando: hanno un
livello basso e moderato; sono legate ad eventi o situazioni specifiche; durata limitata. Ansia,
depressione e rabbia nel paziente malato diventano patologiche quando (sono opposte a quelle
normali): livelli alti ecc.
Obiettivi degli interventi: prevenzione del disagio psichico in condizioni di difficile adattamento;
diagnosi differenziale tra condizioni organiche e psicopatologiche; supporto nella fase terminale;
restituzione agli operatori e ai familiari della situazione del paziente.
La psicoterapia individuale ad orientamento psicodinamico ha come scopo quello di alleviare le
difficoltà del paziente aiutandolo in un processo autoconoscitivo che li permetta di capire ed
integrare parti di sé. Interpretazione e modificazione delle difese.
“Una relazione empatica è, di per se, una relazione terapeutica”. I fattori terapeutici sono: fattori
aspecifici, empatia, effetto placebo, persuasione.
Gli interventi di gruppo possono essere: psicoeducazionali (aiutare i pazienti a gestire la loro
condizione di malati); supportivi (contenimento emotivo e condivisione delle esperienze)
esplorativi; espressivi (ad es. danza terapia: permette di utilizzare il corpo e di ritrovare
un’immagine corporea). Le resistenze del paziente agli interventi di gruppo sono: paura di
confrontarsi con chi sta peggio, paura di farsi carico della sofferenza degli altri, perdere spazi
privilegiati con il terapeuta.
10/4/14
Se l’ammalato è un membro importante all’interno della famiglia lo psicologo, oltre ad aiutare il
malato, aiuta la famiglia ad accettare la malattia e ad organizzarsi. Un lavoro che lo psicologo fa è
quello di raccogliere le informazioni e l’assetto della famiglia e di restituirlo agli operatori. Lo
psicologo deve essere chiamato quando ci sono dei malati gravi per dare supporto agli operatori.
Spesso quello che l’operatore fa con il “paziente narcisista” è quello di essere irritato e di prendere
in mano la situazione. Oggi sono molto usati i “Gruppi Balint”.
Gruppi Balint: sono dei piccoli gruppi, di circa 8/10 persone, condotti da uno psicologo con un
supporto continuo, eterocentrato e di orientamento psicodinamico. Lo scopo è quello di aiutare i
medici a diventare più sensibili.
“Il senso di colpa è sempre, in qualche modo, l’altra faccia dell’onnipotenza”.
Le “cure palliative” sono delle cure che vengono fatte in fine vita, quindi quando non c’è più
possibilità di essere guariti. Una cura si definisce palliativa l’assistenza medica attiva ai pazienti la
cui malattia non risponde più alle normali cure mediche. Obiettivo delle cure palliative è quello di
raggiungere e mantenere la massima qualità di vita possibile per il paziente ed i suoi familiari. C’è
da una parte una preparazione ad una buona morte e, dall’altra parte, il mantenimento di una vita il
più possibile vivibile. Con le cure palliative non si allunga ne si abbrevia la vita del paziente, si
cerca un sollievo dal dolore ed altri sintomi, c’è una sollecitazione della parte attiva del paziente.
Un’altra finalità delle cure palliative è quello di dare un supporto anche alla famiglia e al caregiver.
L’equipe delle cure palliative è formata: dal paziente (che è al centro), dallo psicologo, dal medico,
dal volontario, dall’assistente sociale, dall’assistente spirituale, l’infermiere, il medico. Nelle cure
palliative la figura dello psicologo è prevista come membro dell’organico. Se non c’è un organico