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DEVIANZA MINORILE

Generalmente si definisce la devianza quell'insieme di comportamenti che infrangono

il complesso dei valori che, in un dato momento storico e in un determinato contesto

sociale, risultano validi e fondanti in base alla cultura del gruppo sociale dominante.

Non esiste una visione univoca del concetto di devianza, il quale ha assunto nel

tempo significati e valenze molteplici. La nozione di devianza utilizzata per la prima

volta negli Stati Uniti, intorno agli anni Trenta, al fine di ricomprendere in un unico

concetto una serie di problemi sociali, è stata introdotta in Italia negli anni Sessanta e

utilizzata per superare classificazioni troppo rigide e troppo cariche di valenze

fortemente negative come quelle di pazzia o di criminalità. La devianza è relativa. Di

per se nessun atto è deviante ma lo diventa nel momento in cui viene definito tale

dalla società e sulla base di quelle norme che regolano la società attuale. È possibile

essere deviante in un contesto, in una società ma non in un’altra. È possibile che uno

stesso evento sia interpretato in modo diverso a seconda del luogo in cui viene

compiuto.

La devianza minorile è da sempre un fenomeno complesso e multiforme le cui

definizioni, letture ed interpretazioni possono essere molteplici. Negli ultimi decenni,

è aumentato considerevolmente lo studio sull’adolescenza e soprattutto sui

comportamenti ad alto rischio dei giovani. L'aumento di fenomeni socialmente

preoccupanti, che coinvolgono i ragazzi in età compresa tra i 14 ed i 20 anni, ha

alimentato in misura sempre più crescente l'interesse degli psicologi. Per

comportamenti a rischio s' intendono per lo più le attività che possono avere come

diretta conseguenza effetti letali o negativi sulla salute degli individui (bere, fumare,

rapporti sessuali non protetti, guida pericolosa, cattive abitudini alimentari) oppure

comportamenti socialmente distruttivi (vandalismo, crimini ed atti devianti in

genere). L’attrazione dei giovani per i comportamenti spericolati è stata spiegata

come manifestazione di un tratto di personalità connotato dal desiderio di vivere

sensazioni nuove, forti ed eccitanti, il sensation seeking. Per tali soggetti, esperienze

meno intense e legate alla vita quotidiana risultano di fatto noiose, incapaci, cioè, di

evocare livelli sufficienti di gratificazione e, talora, nemmeno livelli sufficienti di

attenzione ed interesse. La noia, il senso di vuoto, l’incapacità di provare interesse e

piacere nelle attività quotidiane della vita porta, talora, questi soggetti alla ricerca di

stimoli intensi e nuovi, spesso trasgressivi e ad elevato impatto emozionale. Secondo

l’interpretazione di Zuckermann il tratto di personalità SS è correlato alle differenze

inter-individuali del sistema di “arousal”, in particolare al suo livello basale di

funzionamento ed al suo livello di reattività agli stimoli ambientali. Sarebbe possibile

evidenziare in ogni soggetto un livello ottimale di “arousal” corrispondente ad un

livello ottimale di gratificazione “tonica” da stimoli ambientali. Al di sotto di una

soglia d’attivazione specifica e individuale nascerebbe il comportamento (Sensation

Seeking) di ricerca attiva degli stimoli, quale risposta adattiva del soggetto alla

perdita del tono sensoriale gratificante. In quest’ottica la ricerca attiva di stimoli

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potrebbe essere considerata una risposta adattiva, omeostatica, che tenderebbe a

mantenere il livello di stimolazione dell’organismo entro un determinato range

ottimale e gratificante. Un eccesso di stimoli ambientali, ma anche una loro carenza,

determinerebbe malessere soggettivo, disturbi del livello di “arousal”, “disedonia”,

perdita del tono gratificante connesso alla stimolazione ambientale. Zuckermann ha

precisato (139) che l’aspetto più rilevante della dinamica SS è rappresentato

dall’intensità dello stimolo piuttosto che dal tipo di stimolo ricercato. L’intensità

dello stimolo ricercato sarebbe, inoltre, proporzionale al deficit di gratificazione

connesso all’insorgere del comportamento SS. Zuckerman (1979) trovò che i

punteggi ottenuti dalla scala SSS, Sensation Seeking Scale, erano, infatti, più elevati

all’età di 16 anni e che diminuivano progressivamente con il passare degli anni.

Altri autori si soffermano sul comportamento rischioso degli adolescenti chiamando

in causa fenomeni cognitivi quali l’egocentrismo e l'ottimismo ingiustificato.

L’atteggiamento ottimistico, ossia la credenza d'essere immuni dai pericoli rispetto a

coetanei messi nella stessa situazione, è stato riscontrato in alcuni studi, ad esempio

quello relativo alla guida in stato d’ebbrezza (Arnett, 1992).

Uno dei più ambiziosi tentativi di fornire un rapporto generale delle cause basilari dei

diversi tipi di devianza comportamentale è “La Teoria Comportamentale dei

Problemi di Jessor”. Jessor sottolinea che gli adolescenti hanno abitudini

maggiormente pericolose rispetto agli individui appartenenti ad altre fasce d’età,

dettate dall'esigenza d'essere "adulti". Ciò fa supporre la presenza di una sindrome,

ossia di una costellazione di comportamenti per lo più messi in atto congiuntamente,

come l’uso di droghe e la delinquenza. Altri studi hanno evidenziato la centralità

della fase adolescenziale intesa come periodo in cui ogni individuo è maggiormente

soggetto all’influenza del gruppo dei pari, per via della tendenza dei giovani ad

uniformarsi al gruppo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei

comportamenti trasgressivi. Ci sono dei comportamenti che indicano un’abitudine ad

usare l’aggressività come strumento per farsi strada nel gruppo dei coetanei, ma

anche con gli adulti. Sono indicatori che gli insegnanti osservano: bisogna distinguere

l’aggressività e la violenza situazionale, la seconda legata ad una situazione

specifica nella quale il bambino può rispondere in modo aggressivo, la prima legata

all’aggressività e alla violenza sistematica che incontriamo in diversi contesti, in

diverse situazioni. È importante segnalare questi aspetti e lavorarci prima possibile

perché la violenza è un’abitudine che è molto difficile da destrutturare quando si

organizza in maniera forte a livello di preadolescenza e adolescenza. Quindi è

importante intervenire prima della preadolescenza altrimenti l’aggressività diventa un

costume ed una modalità che poi si trasforma, può diventare di tipo verbale, di altro

tipo e impedire ai ragazzi di sviluppare competenze prosociali, empatia, tutte quelle

emozioni sociali che servono per conquistare i rapporti.

L’altro problema dal punto di vista dell’aggregazione tra pari è la scelta di compagni

con comportamenti prevaricatori e devianti in generale; la letteratura sul bullismo

segnala che lavorare sul bullismo non significa lavorare sul bullo o sul rapporto

vittima-bullo, il bullismo è un problema di gruppo. Il bullo non potrebbe agire se non

ci fosse il gruppo che lo sostiene, se non ci fossero nel gruppo dei ruoli diversi, dei 3

ruoli di sostegno del bullo, dei ruoli che sostengono la cultura che legittima

comportamenti di questo tipo e delegittima la valutazione della vittima. Si crea una

cultura di gruppo della prevaricazione, che è contraria alla democrazia e ai rapporti

interpersonali e questo genera nella classe dei sentimenti di insicurezza, di arbitrio, di

prevaricazione. La classe diventa un micro esempio di come la società funziona o non

funziona.

La devianza troverebbe le sue cause in una inadeguata socializzazione che determina

un imperfetto super-ego, e quindi un disadattamento. Secondo questa teoria le origini

del disadattamento caratterizzano il rapporto del soggetto con i genitori nei primi anni

di vita, all’interno della famiglia, e nella correlazione del processo di interazione,

formatosi all’interno della famiglia con gli altri agenti della socializzazione, quali la

scuola e le istituzioni. In sostanza un cattivo rapporto dell’individuo con la famiglia,

la scuola e gli altri agenti socializzanti determina quelle carenze di interiorizzazione

del sistema normativo che, a loro volta, producono devianza. Si evidenzia un

inceppamento nei meccanismi sociali che regolano il processo di socializzazione e di

integrazione, che assume, pertanto, i contorni di una patologia individuale e induce

l’adolescente ad esibire comportamenti non conformisti. Allorché questo genere di

disadattamento si manifesta come un fenomeno condiviso da più soggetti che

assumono i comportamenti devianti quali valori alternativi al sistema sociale, la

devianza può essere interpretata come sintomo e stimolo all’emergere di valori e

bisogni innovativi. 4

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
6 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher namibugs di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia della devianza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di L'Aquila o del prof Amicarelli Fernanda.