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3.4. IL COLLOQUIO CON L’ADULTO
L’adulto è in grado di fornire notizie sulla sua storia. In un colloquio finalizzato alla presa in
carico del paziente ai fini di un trattamento psicologico, l’atteggiamento dell’operatore sarà
finalizzato, oltre che alla valutazione clinica, anche alla verifica delle reali motivazioni della
persona e delle sue capacità di insight (comprensione ed elaborazione degli elementi
significativi emersi durante la conversazione).
Sarà necessario definire uno specifico contratto con il quale paziente e terapeuta si accordano
su:
Sede degli incontri
Orario degli incontri
Frequenza degli incontri
Onorario
3.5. LE FASI DEL COLLOQUIO
Il colloquio clinico si articola in quattro fasi consecutive:
1.Preliminari
• Modalità di invio del paziente
• Modo in cui è stato preso l’appuntamento
• Come si presenta il paziente (solo o accompagnato?)
• Informazioni preliminari raccolte
2.Fase iniziale
• Ascolto
• Libertà di organizzazione del paziente
• Mettere il paziente a proprio agio
3.Fase centrale
• Colmare le lacune del discorso
4.Conclusione
• Riportare il paziente ad uno stato di calma
• Proporre un progetto terapeutico
• Separazione e modo di affrontarla
3.6. LA RELAZIONE PSICOLOGO-PAZIENTE
Per il paziente il colloquio è una rara occasione per presentare le proprie difficoltà a un essere
umano da cui spera finalmente di essere capito. Le aspettative di aiuto nei confronti del
clinico sono molto elevate.
La qualità della relazione che si instaura permette al paziente un’espressione più libera e
autentica di sé stesso, questo potrà comportare una parziale ridefinizione dei problemi valutati
in una prospettiva diversa, oltre che una diminuzione della sofferenza emotiva, in quanto la
persona si sentirà ascoltata, capita e aiutata,, quindi non più sola.
CAPITOLO 4
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE PATOLOGIE
4.1. I PROBLEMI INERENTI LA CLASSIFICAZIONE E LA DIAGNOSI
Le critiche più frequenti al DSM-IV si possono ricondurre a due filoni:
1. nel campo del comportamento patologico la classificazione è irrilevante
2. coloro che trovano difetti specifici nel modo in cui si procede alle varie diagnosi.
1.Critiche generali alla classificazione
Classificare qualcuno dà luogo ad una perdita di informazioni e riduce l’unicità dell’individuo
perso in esame.
La tendenza a classificare è una componente innata della natura umana e coloro che criticano
non tengono conto di ciò.
Con la classificazione parte dell’informazione va perduta, tuttavia, ciò che importa è capire se
l’informazione perduta è rilevante, e ciò dipende dagli scopi del sistema di classificazione.
Ogni classificazione è costruita in modo da raggruppare oggetti con una certa proprietà in
comune, e da ignorare le differenze non importanti ai fini immediati del sistema. Ma nella
classificazione non abbiamo conoscenze certe sulla rilevanza o meno di dimensioni del
comportamento patologico, dunque quando operiamo una classificazione corriamo il rischio
di raggruppare le persone in base a criteri scarsamente significativi e di ignorare differenze di
estrema importanza.
Inoltre essere etichettati e inseriti in una categoria può avere effetti negativi in una persona,
infatti la maggior parte delle persone ha un concetto negativo di coloro che soffrono di un
disturbo mentale e tendono o a stigmatizzarlo; ma tuttavia è problematico documentare
effettivamente le conseguenze negative di una diagnosi.
Il valore della classificazione e della diagnosi
Assumendo che vari tipi di comportamento patologico differiscano tra loro, classificarli
diventa un momento essenziale, dato che tali differenze possono costituire la chiave per
individuare le cause e la terapia dei comportamenti devianti.
Stabilire categorie diagnostiche può favorire l’approfondimento delle conoscenze poiché
diventa possibile raccogliere e verificare altre informazioni ad essa relative. Solo dopo che
una categoria diagnostica è stata stabilita è possibile studiare le persone che soddisfino i
criteri previsti dalla sua definizione per scoprire i fattori da cui dipendono i loro problemi e
sviluppare i trattamenti in grado di aiutarle.
2.Critiche specifici alle diagnosi
riguardanti l’ammissibilità dello stabilire categorie diagnostiche distinte, nonché la validità e
l’affidabilità delle singole categorie proposte.
La psicopatologia come insieme di entità discrete o come continuum
DSM è una rappresentazione categoriale: metodo di classificazione di tipo si/no. Poiché
postula entità diagnostiche discrete ingenera la falsa impressione che nel comportamento
esista una discontinuità.
Nella classificazione dimensionale varie entità o vari oggetti devono essere ordinati secondo
una dimensione quantitativa un sistema di questo tipo può sussumerne uno categoriale,
specificando un valore limite o soglia su una delle dimensioni quantitative, e ciò è un
vantaggio.
Affidabilità: misura del grado in cui un sistema di classificazione dà luogo alla stessa
osservazione scientifica ogni volta che viene applicato.
Affidabilità interrater: grado in cui due diversi osservatori concordano nel giudizio su un certo
evento.
Perché un sistema di classificazione possa essere veramente utile, coloro che lo applicano
devono concordare su ciò che rientra o no in una particolare categoria.
Validità: comprovata dall’accuratezza delle asserzioni e delle previsioni che la categoria
consente di fare; è legata all’affidabilità dalla relazione: quanto meno una categoria è
affidabile, tanto più sarà difficile fare asserzioni valide in merito ad essa.
Una diagnosi può avere 3 tipi di validità:
1. eziologica: è necessario che si riscontrino gli stessi fattori causali in tutti i soggetti
che formano il gruppo diagnostico;
2. concomitante: se si scopre che altri sintomi, o processi alterati, non contemplati fra i
criteri per trarre quelle diagnosi, sono caratteristici delle persone per cui quella
diagnosi viene formulata;
3. predittiva: capacità di prevedere che in futuro si riscontrerà un andamento sintomatico
analogo nel disturbo o nei pazienti che ne soffrono; oppure può prevedere che i
pazienti appartenenti a un certo gruppo diagnostico rispondano in modo simile a un
particolare trattamento.
4.2. LA DIAGNOSI DESCRITTIVA: IL DSM-IV ED IL SISTEMA MULTIASSIALE
DSM: sistema di classificazione multiassiale per mezzo del quale ogni individuo viene
valutato rispetto a cinque distinte dimensioni o assi.
L’Asse I include tutte le categorie di disturbo mentale ad eccezione dei disturbi di personalità
e del ritardo mentale, che insieme individuano l’Asse II.
La distinzione fra questi due assi è stata operata per garantire che, nel momento in cui
l’attenzione viene rivolta al disturbo che affligge nel presente una persona, non si trascuri
l’esistenza di disturbi a lunga durata.
Asse III: qualsiasi condizione medica ritenuta rilevante ai fini del disturbo mentale in esame.
Asse IV: problemi di natura psicosociale e ambientale di cui la persona soffre e che
potrebbero contribuire al suo disturbo mentale.
Asse V: il clinico indica l’attuale livello di funzionamento adattivo del paziente, prendendo in
considerazione varie aree dell’esistenza, come relazioni sociali, rendimento sul lavoro, modo
in cui il paziente trascorre il tempo libero. I punteggi relativi a questo parametro sono
indicativi della necessità di un trattamento.
Disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia,
nella fanciullezza o nell’adolescenza
Sono i disturbi intellettivi, emozionali e fisici che insorgono, in genere,nell’infanzia, nella
fanciullezza o nell’adolescenza:
Disturbo d’ansia di separazione
Disturbo della condotta
Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
Ritardo mentale (asse II)
Disturbi generalizzati dello sviluppo (autismo)
Disturbi dell’apprendimento (ritardi minori nell’acquisizione del linguaggio, della lettura,
delle comprensioni aritmetiche e delle abilità di scrittura)
Disturbi correlati a sostanze
In questi Disturbi l’assunzione di varie sostanze ha alterato il comportamento a un punto tale
da compromettere il funzionamento della persona a livello sociale o occupazionale.
L’individuo può divenire incapace di controllare o di sospendere l’assunzione della sostanza
oppure, nel caso riesca a smettere di farne uso, può sviluppare una sindrome da astinenza.
Queste sostanze possono essere anche causa di altri disturbi dell’Asse I (ansia o umore).
Schizofrenia
Il contatto con la realtà è andato perduto. C’è disfunzione del linguaggio e della
comunicazione e possono passare repentinamente da un argomento a un altro con modalità
che rendono impossibile il comprenderle, possono essere soggetti a deliri. Le loro emozioni
sono attutite, appiattite o inappropriate, e la loro capacità di intrattenere relazioni sociali e di
svolgere un’attività lavorativa è notevolmente deteriorata.
Disturbi dell’umore
Profonde alterazioni dell’umore che vanno dall’esaltazione alla depressione:
Disturbo depressivo maggiore: l’individuo è profondamente triste e scoraggiato, presenta calo
di peso e di energia, può nutrire propositi suicidi e sentimenti di colpevolizzazione
Episodio maniacale: la persona è eccessivamente euforica, irritabile, iperattiva, facile a
distrarsi e posseduta da un’autostima ipertrofica che non trova giustificazione nei dati della
realtà
Disturbo bipolare: episodi maniacali o alternanza di episodi maniacali e depressivi
Disturbi d’ansia
I pazienti presentano forme di paura irrazionale o esagerata:
Fobia: le persone temono intensamente un particolare oggetto o una particolare situazione
tanto da essere costretti a evitarli, benché sappiano che tale paura è immotivata, irragionevole
e sta rovinando loro la vita
Disturbo di panico: improvvisi ma brevi attacchi di estrema preoccupazione, così intensi che
l’individuo può avere vertigini, tremare e avere difficoltà a respirare; può essere
accompagnato da
Agorafobia: l’individuo ha anche paura di lasciare gli ambienti che gli sono familiari
Disturbo d’ansia generalizzato: paura e preoccupazione sono pervasive e persistenti, coloro
che ne soffrono molto eccitabili e possono avere una sensazione di nodo alla gola e il
batticuore; sono c