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Se un paziente è difficile, l’intervistatore esperto cambia le sue strategie.Bisogna adattare le strategie di
colloquio al comportamento del paziente e alle caratteristiche del suo disturbo.
Capitolo 2 Strategie per la relazione
Mettere il paziente e se stessi a proprio agio
Il soggetto che si rivolge a un professionista della salute mentale per la prima volta è spesso scettico ,
apprensivo e ansioso. E’ fondamentale comunicargli di aver compreso i suoi dubbi e di essere dalla sua
parte.
Il terapeuta per primo deve sentirsi a proprio agio. Iniziare il colloquio con una fase di libera conversazione:
permette di ristabilire il proprio equilibrio e di superare l’imbarazzo generale. Bisogna accertarsi di rivolgersi
al paziente nel modo a lui più congeniale: nome di battesimo o cognome.
E’ utile iniziare il colloquio con tematiche poco impegnative, per valutare le reazioni iniziali del paziente e il
suo atteggiamento globale.
Segni: linguaggio non verbale espresso mediante il viso, il corpo o la voce, linguaggio che solitamente è
molto difficile da controllare e con cui l’individuo comunica i propri sentimenti senza far ricorso alle parole.
Tali segni possono essere di natura diversa:
Territoriale,
Comportamentale,
Emotiva,
Verbale.
I segni verbali possono essere ulteriormente divisi in:
Visivi,
Cenestesici,
Uditivi,
Astratti.
Le quattro categorie di segni appaiono subito evidenti, offrendo un’impressione immediata del paziente.
Il terapeuta di fronte a un segno ha diverse possibilità: può limitarsi a osservarlo; può avvertire il paziente
dell’esistenza di questi sintomi; può rispondervi in maniera adeguata.
Riprendere un segno emotivo o discuterne, confrontando il paziente, ed esplorando le sue origini sembra in
generale agevolare le reazioni emotive.
E’ possibile rispondere a una metafora utilizzando un linguaggio analogo. E’ utile, soprattutto all’inizio,
impiegare il linguaggio del paziente introducendo termini tecnici in un secondo tempo.
Identificare il problema e esprimere comprensione
Il punto su cui fare leva per liberare le emozioni del paziente è la sua sofferenza. Nei racconti dei pazienti ci
sono fatti e emozioni ad essi associate. Aiutare il paziente a tradurre il suo disagio in parole.
Mentre il paziente descrive i suoi problemi, è importante comunicargli di aver capito, mostrare empatia,
esprimere comprensione. Nel rispondere alle sue emozioni bisogna cercare di essere genuini, spontanei e
accurati.
Alcuni terapeuti avvertono una certa difficoltà nel manifestare empatia; d’altra parte certi pazienti difficili
possono mettere a dura prova anche il medico più sensibile. E’ possibile acquisire uno stile di colloquio
empatico, genuino, centrato sul paziente e che nel tempo possa apparire sempre più naturale.
Valutare la capacità di insight e diventare un alleato
Capacità di insight: consapevolezza che il paziente ha del proprio problema. L’errata valutazione del livello di
insight del paziente porterà a un rapido deterioramento della relazione. 2
Livelli di insight:
Completo: un paziente che descrive i propri sintomi psichiatrici come conseguenze di una patologia.
E’ possibile che, nel tempo, la relazione divenga più profonda.
Parziale: appare opportuno valutare le capacità del paziente di prendere coscienza della propria
malattia.
Nullo: il paziente manifesta una completa negazione del fatto che la propria sofferenza rappresenti
una malattia o, addirittura, non riconosce l’esistenza di un disagio. Sarà necessario trovare un modo
per convincere il paziente a rispondere a una serie di domande perché alcuni rifiutano di prendere
parte a un colloquio. Se delirante, è opportuno calarsi nella sua realtà.
E’ necessario fare appello all’osservatore sano che è in lui, offrendogli aiuto e assistenza durante il percorso
terapeutico.
Bisogna essere attenti a riconoscere le distorsioni determinate dalla malattia stessa.
In un soggetto dotato di insight parziale è più difficile delimitare l’osservatore sano.
In un soggetto con insight nullo non è possibile rintracciare un osservatore sano, ma solo una parte
spaventata, preoccupata e consapevole della propria sofferenza, cui ci si deve rivolgere nel suggerire un
trattamento.
Gli obiettivi da definire, in proporzione al grado di insight posseduto dal paziente, sono di due tipi: uno verrà
condiviso con lui, mentre l’altro dovrà essere gestito in maniera più autonoma dal terapeuta.
In un paziente dotato di pieno insight i due obiettivi possono sovrapporsi. Per un paziente con un insight
parziale, invece, gli obiettivi restano separati;uno degli scopi del loro trattamento è il tentativo di condurli a
una condizione di pieno insight e di prevenire il ripresentarsi dei sintomi.
Ridefinire gli obiettivi con un paziente progressivamente più cosciente della propria condizione è spesso un
procedimento lento e minuzioso; è essenziale dare al soggetto il tempo di comprendere i propri problemi.
E’ importante che il soggetto si senta accettato incondizionatamente.
Mostrare competenza
Diverse ricerche hanno suggerito che le persone considerano la competenza di primaria importanza per la
scelta di un medico. Per dimostrare la propria competenza è necessario mostrare al paziente di essere in
grado di gestire i suoi problemi.
Si può inserire la malattia mentale in una prospettiva più ampia, rassicurando il soggetto che non sarà
catalogato semplicemente con “un altro caso”.
E’ possibile mostrare la propria esperienza indagando la presenza di sintomi specifici della malattia. Inoltre,
si può soddisfare la curiosità del paziente nei confronti della psicologia e della malattia mentale.
Le reazioni del paziente possono indicarci quali aspetti del suo problema gli interessano di più. E quando
non si conosce la risposta a una domanda? Ammettere i propri limiti di solito aumenta nel paziente la fiducia
nella nostra onestà.
Gestire in modo adeguato i dubbi del paziente conferirà automaticamente al terapeuta il ruolo di esperto.
Appare di fondamentale importanza modificare la visione del futuro e fornire delle speranze a pazienti
sfiduciati da precedenti fallimenti terapeutici e prostrati da anni di sofferenza psichica.
Assumere la leadership
La leadership deriva dalla capacità di motivare il paziente e fargli da guida. Un riscontro diretto della nostra
capacità di leadership sarà dato dal grado di accettazione delle nostre spiegazioni e dal desiderio di aderire
al trattamento proposto mostrati dal paziente. 3
Eccedere nel manifestare la propria autorità: spesso di tratta di soggetti insicuri che celano i propri dubbi
dietro un ruolo autoritario. Questa modalità di interazione favorisce l’instaurarsi di una condizione di
dipendenza.
Talvolta il ruolo autoritario non è assunto spontaneamente, ma è lo stesso paziente a indurlo, anche contro la
nostra volontà. E’ meglio discutere le difficoltà del paziente nell’accettare la nostra leadership.
Il paziente grandioso o sospettoso o quello con personalità antisociale può cercare in ogni modo di sfuggire
alla nostra leadership, di spiazzarci e di mostrarci la sua mancanza di rispetto nei nostri confronti
Equilibrare i diversi ruoli
I ruoli del terapeuta:
Ascoltatore empatico
Esperto
Autorità
I ruoli del paziente:
VIP (Very Important Patient)
Portatore di malattia
Sofferente
Il rapporto può essere stabilito quando l’intervistatore e il paziente creano un equilibrio tra i loro ruoli. Se uno
dei due rifiuta il ruolo assunto dall’altro nasceranno dei conflitti: è importante monitorare i ruoli e reagire in
base a essi.
Se un paziente è verbalmente aggressivo è bene non assumere il ruolo che egli ci ha assegnato, cioè
l’obiettivo della sua aggressione. Bisogna invece farsi da parte e valutare le cause della sua reazione,
accettandole come motivazioni legittime e comunicando tale accettazione al paziente.
La manifestazione della necessità di dipendenza da parte del paziente può compromettere la relazione. A
volte può essere terapeutico assumere un ruolo d’autorità.
Capitolo 3 Le tecniche per ottenere informazioni
I pazienti mostrano diversi livelli di collaborazione. Un paziente può:
Esprimersi liberamente (collaborante)
Rivelare alcuni problemi, celando però altre informazioni (resistente)
Evitare di riferire le parti più imbarazzanti, talora nascoste anche a se stesso (uso di difese).
Ci sono strategie specifiche per ognuna di queste modalità.
Pazienti collaboranti
Il paziente che si presenta volontariamente a un professionista della salute mentale è solitamente in grado di
parlare di ciò che lo ha spinto a chiedere il colloquio.
Tecniche di apertura
Ci sono alcune strategie utili per equilibrare l’ascolto passivo e l’abilità di fare domande. Approccio centrato
sul paziente: dà a quest’ultimo la possibilità di scegliere gli argomenti di cui parlare e di esprimersi secondo il
proprio punto di vista. Si ritiene, però, che questo approccio sia insufficiente al fine di ottenere le informazioni
necessarie per la formulazione di una diagnosi e per un efficace e tempestivo assessment.
E’ controproducente anche lo snervare il paziente con una serie di domande chiuse che non danno la
possibilità di rispondere in modo dettagliato. 4
Il miglior approccio è quello che combina le domande su un continuum che va da quelle ampie a quelle
maggiormente focalizzate.
Introdurre un nuovo argomento utilizzando una domanda aperta e ampia,
Proseguire focalizzandosi su un aspetto,
Terminare con una serie di domande chiuse e ristrette.
Tecniche di chiarificazione
Ci sono varie tecniche utilizzate per incoraggiare il paziente a chiarire le sue risposte:
Specificare : l’intervistatore ha bisogno di informazioni chiare, specifiche ed esplicite, ma il paziente a
volte risponde in modo vago o con monosillabi.
Generalizzazione : a volte, invece, il paziente fornisce informazioni specifiche anche se
l’intervistatore ha bisogno di comprendere in modo più ampio un pattern comportamentale ricorrente.
Verifica dei sintomi : quando la storia di un paziente è vaga, l’intervistatore può presentare una lista di
sintomi per aiutarlo a descrivere la psicopatologia.
Domande guida : suggeriscono al paziente una specifica risposta. Se vogliamo ottenere informazioni
valide e relativamente non distorte è bene evitare q