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“PSICOLOGIA CLINICA APPUNTI”
19/2/14
La psicologia clinica è un campo in cui entriamo in gioco in prima persona.
Diagnosi dei DP: problemi connessi con la diagnosi:
- diagnosi descrittiva vs. diagnosi inferenziale: è importante per: i sistemi dimensionali
aiutano a parlare delle stesse cose della diagnosi categoriale/descrittiva con un linguaggio
molto meno preoccupante;
- diagnosi categoriale vs. diagnosi dimensionale;
- diagnosi prototipica vs. diagnosi politetica; Da una parte abbiamo il paziente di carta,
dall’altra il paziente vero è proprio. Non bisogna appiattirsi sulla confusività, sul caos, di
quello che abbiamo davanti. “Politetico” significa che possono esserci un insieme di fattori.
L’assetto del protoptipo è giusto, ma dobbiamo accertarci che la persona che abbiamo di
fronte sia realmente così.
- comorbilità vs. covariazione covariazione dei DP; Un bravo clinico non è mai liquidatorio.
- comorbilità vs. “spettro” dei DP/Disturbi psichiatrici;
- rapporto tra variabili di stato e variabili di tratto.
Nel primo colloquio dobbiamo avere una griglia mentale tale da non perdere le informazioni
fondamentale. L’aspetto descrittivo sui pazienti, soprattutto quelli disfunzionali, deve esserci.
“Come si relaziona con gli altri; che idea ha di sé; le emozioni; il comportamento come è regolato; i
sistemi cognitivi come entrano in tutto questo”. Bisogna descrivere il paziente anche utilizzando
termini sintetici. Il comportamento ci dice: quante informazioni abbiamo raccolto; il suo modo di
essere; quello che ci è arrivato; se è disfunzionale. La fase inferenziale è importante perché:
1) ci fa capire come siamo arrivati a tutto questo;
2) lavoriamo con dei modelli teorici.
Non tutti i modelli psicoterapeutici hanno delle teorie sullo sviluppo disadattivo. Il “polo
descrittivo” è il punto di partenza, il “polo inferenziale” è il punto di arrivo ed è fortemente
connesso con gli interventi terapeutici. Quanto la vita della persona è frammentata, è una cosa che
va valutata a sé; per ora per valutare questa cosa non esistono scale di misura. Quando parliamo di
“tratto” ci riferiamo a qualcosa che fa parte del mio modo di essere. Dobbiamo cercare di non
parlare di malattia ma, di qualcosa che c’è nella mia vita e non va bene. I sistemi dimensionali
mettono quasi sempre in contatto con le risorse. Durante l’assesment dobbiamo stare attenti a come
il paziente ci racconta le cose. Cioè dobbiamo capire come loro ci raccontano le cose (in cui danno
la loro valutazione) e capire come sono andate realmente le cose. I pazienti, normalmente, ci
parlano di quello che gli è successo durante la giornata. La fase di assesment deve essere pronta per
l’invio. Non sempre quando ci arriva un paziente nel primo colloquio riesce a muoversi così
liberamente. Molto spesso, le informazioni ci arrivano alla fine. Nel secondo colloquio avendo più
informazioni abbiamo un quadro migliore del paziente. Quando leggiamo un paziente di carta con
“disturbo borderline di personalità”, abbiamo un rischio di suicidio di circa il 10% entro il 40° anno
di vita. Alto rischio suicida per il paziente borderline. Il paziente di carta ci dice un sacco di cose ma
poi dobbiamo declinarle nella realtà. La comorbilità dobbiamo essere sensibili nel coglierle. Sono
soprattutto le comorbilità a fare il pasticcio, con un paio di comorbilità si ha un alto rischio di
suicidio. Bisogna muoversi tra il paziente di carta ed il paziente reale in una dialettica non
competitiva.
20/2/14
Stato borderline transitorio: sono quei casi in cui, alcuni pazienti per un certo periodo, possono
comportarsi come un borderline a tutti gli effetti. La terapia “multimediale” si può associare ad una
psicoterapia. Qui, il terapeuta, usa le foto associandole a della musica per curare il paziente. Il
terapeuta, qui, agisce il controtransfert perché cambia la stanza entrando la musica, le immagini. La
terapia multimediale deve essere usata da un terapeuta molto esperto perché, questo tipo di terapia,
fa riemergere molte cose rimosse dal paziente. Una cosa da non sottovalutare, in questo tipo di
terapia, è il narcisismo del terapeuta.
27/2/14
Caratteristiche dei criteri categoriali: facilità di utilizzo e comunicazione; hanno una maggior
vicinanza al modus operandi dei clinici; consistenza con le decisioni cliniche che tendono ad essere
categoriali; evidenza empirica di validità predittiva. Faceile nel decidere e identificare
disfunzionalità. Facilità il “decision-making” (presa di decisioni). Quando per comnicare con i
colleghi utilizziamo il sistema categoriale utilizziamo poche parole per veicolare una grande
quantità di informazioni e con pochissime probabilità di fraintendimento. L’uso comunicativo delle
diagnosi categoriali è utilizzato per la presa di decisioni e non deve mai essere stigmatizzato. L’uso
del sistema categoriale ci viene più semplice quando parliamo di “disfunzionale”. Hanno un loro
vantaggio descrittivo, sono molto sintetici, hanno un loro vantaggio comunicativo. È un sistema non
disprezzabile perché aiuta la presa di decisioni. I criteri categoriali sono stati pensati per migliorare
la concordanza diagnostica. È un sistema “ateoretico”, non ha un modello teorico di base. Cioè, in
questo sistema, la maggior parte dei clinici riteneva centrale un gruppo di sintomi per un
determinato disturbo. L’ateoricità può bloccare nella decisione degli interventi. Quello che
dobbiamo riouscire a cogliere è “l’essenza del cliente”. L’uso del sistema categoriale, nella clinica,
non ci basta. Dobbiamo integrare il sistema categoriale e dimensionale. I modelli categoriali sono
molto forti sul sociometrico. I modelli categoriali sono modelli basati sulla nostra ottica.
Caratteristiche dei criteri dimensionali: sono modelli quasi sempre basati sull’ottica della persona.
È un sistema flessibile, ha una miglior affidabilità retest, assenza di dilemmi di classificazione
(diagnosi multiple, casi sub-soglia), assenza di disomogeneità entro-diagnosi.
I fattori “aspecifici” delle psicoterapie, si è visto ultimamente, che sono molto utili anche nei
disturbi più gravi.
Il DSM, ci fa evitare di classificare un disturbo di personalità facendoci controllare se è l’esito di
una patologia medica, da un abuso di sostanze, da fattori culturali. Nel caso dei “disturbi non
altrimenti specificati” bisogna sottolineare i tratti che lo definiscono. La sezione del DSM che fa
fede al certificato medico-legale è la sezione 2. La sezione 3° è trasnteoretica ma permette una
visione più sensibile ai clinici. La sezione 3° è una diagnosi non certificata.
Criterio dimensionale per es. dell’ossessivo: profilo di controllo, previsione, moralismo,
coscenziosità: se prevale questo quadro è ossessivo. Se è un assetto antagonistico: bisogno di
attenzione, frustrazione. L’assetto antagonistico è prevalentemente narcisistico; se, invece, si fonda
sulla sospettosità, è un tratto paranoideo.
È importante integrare un modello descrittivo, categoriale, con un modello validatore, descrittivo.
Tutti gli studi indicano una buona affidabilità tra osservatori delle diagnosi di DP (disturbi di
personalità) generale tramite intervista, k medio=.70.
Il problema dell’intervista non è l’instabilità delle diagnosi (la personalità non resta immutabile,
cambia nel tempo). La “validità convergente” degli strumenti per la diagnosi di DP risulta bassa,
indipendentemente dalla tipologia degli strumenti (interviste, questionari). Quando scegliamo
un’intervista dobbiamo assicurarci che questa ci accompagni per tutta la vita (l’intervista che
convince di più) ci e che, la diagnosi, sia concordante con l’intervista usata. Risulta che le diagnosi
sono molto concordanti tra i clinici all’interno della stessa intervista ma, al di fuori di questa, le
diagnosi risultano molto discordanti.
5/3/14
Una valutazione multipla dei DP, rispetto alla focalizzazione sulla singola diagnosi dei DP, fornisce
un quadro clinicamente più vivido e realistico del soggetto consentendo di ragionare sia sulla
diagnosi principale, sia sulle modificazioni del quadro clinico introdotte dalle co-diagnosi dei DP.
Le interviste ad ampio spettro integrano la diagnosi categoriale e le caratteristiche di quel soggetto.
Se facciamo l’intervista a disturbo singolo, a parte dire se c’è quel disturbo o no, perdiamo tutte
quelle altre caratteristiche che influenzano il soggetto. Le interviste ad ampio spettro colgono tutta
l’area disfunzionale del soggetto ma, non solo. L’intervista semi-strutturata da vita ad un discorso
narrativo della persona che, altrimenti, non potremo fare. Aumentare la “coerenza” è uno degli
aspetti intrinsecamente positivi di assesment. Un aspetto importante, dell’assesment, e che guida sia
la narrazione del paziente sia la diagnosi del valutatore (che non deve saltare alle conclusioni, ma
valutare ogni caratteristica del paziente). Quando abbiamo diagnosi multiple dobbiamo valutare
quale sia il disturbo prevalente. L’ansia, generalmente, inibisce/blocca l’individuo. L’intervista a
spettro ampio ti aiuta a non tralasciare nessun aspetto del disturbo del paziente. I “paranoidi” hanno
un assetto molto distanziante, preferiscono stare lontano dalle relazioni mentre, il “narcisista”,
invece, ha un assetto in cui ha bisogno degli altri. Sia le interviste che gli autosomministrati hanno
sia dei pro che die contro. La somministrazione integrata dei due, permette di essere molto più
positiva (i contro sono bilanciati dai pro dell’altro). Un problema dell’intervista è che risente molto
del punto di vista dell’intervistatore (fanno risentire l’effetto prime, l’effetto alone ecc.). Un test
autosomministrato importante (molto grosso) è “l’MPSI-III”. Una cosa importantissima è valutare
in un test come sono posti gli item. Questo perché dobbiamo tenere conto di come andrà l’intervista
con gli item in quell’ordine e, poi, di come li valuteremo. L’intervista ad ampio spettro è un modo
per organizzare la narrazione di una vita. La decisione di indagare alcune aree del paziente a
discapito di altre è una decisione clinica, che emerge dal materiale clinico dell’intervista. Nell’area
delle relazioni interpersonali, come nelle altre aree da indagare, non faremo domande di un
partic