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Nel tempo l’attenzione si è spostata dal significato al suono, richiamato a livello visivo dal segno, anch’esso unico e indivisibile,
giungendo così alla scoperta di unità fonetiche sempre minori e ad una riduzione nel numero dei segni che ha condotto progressivamente al
sistema alfabetico. Così si è posta la base del processo di scomposizione della parola al grafema, che ha permesso la costituzione
dell’alfabeto greco nell’VIII secolo A.C.; i greci riprendono le innovazioni apportate dai fenici e introducono anche le vocali, creano così il
primo alfabeto completo, predecessore dei nostri sistemi di scrittura. In Italia l’alfabeto greco influenza quello etrusco e in seguito quello
latino. L’alfabeto greco e tutti quelli da essi derivati, poterono essere utilizzati per leggere e scrivere anche lingue molto diverse fra loro.
La parola si è trasformata da suono vivo in segno inerte e ciò ha determinato incredibili effetti sul pensiero umano, sull’apparato
cognitivo e sull’organizzazione della conoscenza. Il linguaggio non è più solo qualcosa di sentito con l’orecchio ed emotivamente
partecipato, ma assume uno status visivo, trasformando l’occhio in uno dei poli fondamentali della conoscenza e realizzando la possibilità
di una presa di distanza, essenziale per il sorgere di una conoscenza oggettiva. Si è creata una dimensione culturale più astratta rispetto a
quella forma di conoscenza sensomotoria e preoperatoria, fondata sull’azione, mediante la quale l’uomo primitivo organizzava
cognitivamente il mondo.
“Le parole non hanno maniglie con cui si possa affermarle. Nonostante costituiscano il mezzo essenziale per la comunicazione tra gli
individui, esse ci sfuggono, sono mezzo evanescenti; al contrario le scritture, anche se incomplete e parziali, si offrono al nostro sguardo, si
lasciano classificare, ordinare, meglio ancora, permettono di ancorare alle loro forme uno svolgimento storico, un’evoluzione culturale”.
Strumenti e spazi della scrittura, ieri e oggi
Colui che scrive necessita sempre di una superficie sulla quale poter tracciare i propri segni e di un mezzo che gli consenta di tracciarli;
sono questi materiali che determinano e condizionano la natura dello scrivere. I primi strumenti per scrivere sono impiegati per eseguire
graffiti su pareti rocciose. Nel corso dei secoli le figure si deformano e tendono a stilizzarsi, lasciando così il posto ad una scrittura per
simboli, più sintetica e veloce da raffigurare; la trasformazione fu influenzata anche dai materiali e dagli utensili disponibili in quell’area
geografica. L’argilla costituiva la principale risorsa naturale della Mesopotamia e il suo utilizzo, come supporto, per la scrittura imponeva
dei limiti.
Il sistema di rappresentazione grafica degli Egiziani, che venne denominato dai greci geroglifico trae origine dai segni che gli agricoltori
incidevano sui muri di pietra allo scopo di marcare l’altezza delle alluvioni. I primi momenti di questa scrittura sono strettamente connessi
all’esigenza di celebrare e magnificare il sovrano dipinto.
Gli strumenti utilizzati per lasciare tracce sul papiro, un primordiale genere di carta ottenuta dalla lavorazione di una pianta di canna
molto diffusa lungo le valli del Nilo, erano il calamo e l’inchiostro. Greci e romani ripresero dalle civiltà precedenti sia i materiali che parte
degli elementi grafici per creare il proprio genere scrittorio.
Le superfici di scrittura rimangono il papiro, denominato Charta, la pergamena, che prende il nome di membrana, e la tavoletta di cera,
conosciuta come tabella. Gli strumenti per la scrittura subiscono poi un’evoluzione nella forma e nei materiali, così i testi greco romani
erano dei rotoli composti da fogli di papiro incollati per le estremità, che raggiungeva fino a setteotto metri di lunghezza, e non lasciavano
alcuno spazio tra le parole: la separazione dei termini era pertanto compito di decifrazione del lettore.
La carta giunge in Europa nel tardo medioevo dall’estremo oriente e ben presto si sostituisce alla pergamena, si inizia ad usare la divisione
tra le parole, gli indici con la numerazione delle pagine e la punteggiatura. Dal XV secolo in poi le svariate innovazioni tecnologiche
determinarono l’introduzione di nuovi strumenti, il più importante tra tutti la macchina per scrivere, che segnò un’epoca alla fine
dell’ottocento, fino a giungere alla progettazione del primo word processor, nella seconda metà del XX secolo.
Bambini e scrittura
L’acquisizione della scrittura è per il bambino una tappa di fondamentale importanza: saper leggere e scrivere resta la condizione
necessaria per ogni ulteriore apprendimento perché determina la riuscita sociale e scolastica. Nella grecia il bambino seguiva con le dita dei
modelli che gli venivano forniti dall’insegnante, mentre a Roma, nella stessa epoca, il maestro guidava l’allievo nel fargli ricalcare, con uno
stilo, i modelli precedentemente tracciati nella cera. Nel resto d’Europa non si parla di iniziazione alla scrittura se non dal XVI secolo,
quando alcuni cominciano timidamente a suggerire l’uso del gesso, del carbone e di alcuni colori per pittura.
Storicamente i metodi di apprendimento possono essere divisi in due gruppi: alcuni erano solo tecnici e si basavano unicamente sulla
memoria visiva associata alla motricità del bambino, altri invece si allacciavano a modelli educativi più complessi. Nel XX secolo furono
avanzate critiche ai metodi tradizionali d’insegnamento della scrittura da parte di psicologi, neuropsichiatri e pedagogisti. Esse
riguardavano soprattutto il fatto che ci si occupasse solo della forma e della qualità del segno, dissociandolo dalla lingua e dal pensiero di
cui è l’espressione. Inoltre il compito risultava poco attraente, troppo rigido e bloccava la motivazione e la produzione.
Alcuni bambini non giungono allo stadio dell’alfabetizzazione, per il quale bisogna aver automatizzato il gesto, la forma, la traiettoria,
l’ortografia, la rapidità, poiché hanno trovato delle difficoltà nel consolidare quelli che si definiscono come prerequisiti funzionali. Per
poter scrivere è necessaria la comparsa e la maturazione di tutte le funzioni coinvolte nell’atto grafico: percezione, coordinazione
percettivomotoria, lateralizzazione, controllo del gesto, organizzazione spaziotemporale, comprensione ed interiorizzazione delle regole,
memoria. Inoltre, il linguaggio scritto è dotato di un alone di mistero e di segreto che esercita sul bambino un vero fascino, ancor prima che
egli possa tracciare i primi segni. Questa attrazione lo porta ad osservare attentamente ogni traccia presente sugli oggetti circostanti, dalle
insegne che, ancor piccolissimo, coglie sui cartelloni passando per le strade, alle scritture multicolori delle riviste, fino al cartone del latte
che ogni mattina vede sul tavolo. La riposta agli interrogativi apre al bambino il mondo dei segni e dei loro significati e gli dà la
possibilità di inserirsi nella cultura. A questo punto così come è avvenuto per la specie umana da millenni, gli diventano accessibili nuove
forme di pensiero che il solo linguaggio orale non poteva consentire. Per poter essere coscienti di qualche cosa occorre poterla avere davanti
agli occhi, spazializzarla e tale processo viene facilitato nell’ipotesi del testo, prima dal disegno, poi dalla scrittura.
Parte terza – Viaggio del bambino attraverso il mondo dei segni
Disegno e sviluppo
La scoperta di leggi proprie che governano il suo modo di pensare e di agire ha messo in luce l’originalità dello sviluppo infantile.
Numerosi ricercatori di varie discipline ne hanno descritto lo sviluppo, formulando diverse ipotesi interpretative tanto da farne uno dei
temi più dibattuti nell’ambito degli studi che s’interessano di infanzia.
Il disegno infantile appare oggi come una via privilegiata per capire il percorso conoscitivo del bambino e lo sviluppo di processi ad esso
legati, quali la percezione, la memoria, l’attenzione, la formazione di sequenze complesse e coordinate di movimenti ecc.
Le prime rappresentazioni simboliche sono una sorta di alfabeto del lessico grafico, inizialmente polivalente, destinato a prendere strade
diverse, che conducono alla simbolizzazione iconica da un lato, e ai sistemi notazionali linguistici e numerici dall’altro.
Anche se non tutti gli autori sono concordi nel considerare il disegno un prodotto espressivo preliminare ad altre abilità, quali ad esempio
la scrittura, sempre più se ne sottolinea la valenza comunicativa dando particolare risalto al suo ruolo in ordine all’acquisizione delle
regole della convenzionalità. Non ci si è interrogati sulle finalità comunicative dell’attività grafica, ma si sono studiate le implicazioni
cognitive, affettivorelazionali e psicomotorie all’interno di quadri di riferimento teorici e metodologici assai diversi. Tutti gli studi più
autorevoli descrivono però lo sviluppo grafico per fasi distinte e successive; anche se sembra ormai superata l’ipotesi che queste fasi
possano essere considerate veri e propri stadi di sviluppo.
Stern osserva come nello sviluppo del disegno grafico infantile appaiono delle costanti che evidenziano forme e strutture di base in una
sorta di grammatica la quale permette di capire funzionalità percettive e cognitive del bambino nel passaggio esecutivo da una figura
all’altra. quando, in seguito allo sviluppo globale, una forma perde il suo valore espressivo, essa viene subito riutilizzata e inglobata in
quella che Stern chiama “immagine residuale”.
Se la capacità di lasciare dei segni attraverso le azioni innate del prendere, stringere, afferrare ecc., emerge fin dai primi anni come
affermazione della persona, la capacità di usare dei simboli per comunicare è acquisita e più tardiva poiché implica l’apprendimento di
altri sistemi simbolici, legati al pensiero, quali il gioco e il linguaggio. “nei bambini, al piacere del gesto e della vista si associa il piacere di
lasciare una traccia, una testimonianza del proprio passaggio”. Molte volte infatti accade di vedere vistosi ghirigori posti su libri o fogli
particolarmente cari ai genitori: è l’affermazione simbolica di possesso dell’universo adulto tanto ammirato dal fanciullo, che
intenzionalmente inizia ad entrare nel mondo simbolico adulto, comunicando la propria presenza.
È il gesto che si arricchisce, è il tracciato che si diversifica, permettendo così la nascita di nuove linee che vanno in una direzione o
nell’altra, favorendo l’apparire di un angolo, di gruppi di linee curve, diritte, di forme chiuse, aperte, un punto ecc. il bambino coglie
allora, in tali forme, oggetti di cui ha fatto altrove la scoperta. “il bambino gioca con il potere evocativo delle forme. Il piacere iniziale, nel
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