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L’autoefficacia che deriva dal controllo di una nuova situazione o dal superamento di un ostacolo può contribuire a sviluppare, dal
bambino all’anziano, la fiducia di diventare un agente attivo nel proprio processo di sviluppo. i momenti di svolta sono determinanti
anche nell’ambito delle situazioni di resilienza tardiva, ovvero quelle situazioni nelle quali un adulto non resiliente diventa ad un certo
punto della vita un giovane anziano generativo e in grado di riprogettarsi.
Strumenti per misurare la resilienza
Gli strumenti utilizzati in ambito nazionale e internazionale per misurare i riscontri oggettivi della presenza della resilienza sono diversi.
La resilience scale (RS) di Wagnild e Young può essere considerata la sala maggiormente accreditata in letteratura e validata su campioni
di differenti età e da diversi studiosi che concordano nel giudicare la scala come attendibile e valida. Egli definisce la resilienza come una
caratteristica personale che modera gli effetti negativi dello stress e nello stesso tempo promuove l’adattamento. È quindi considerata come
una caratteristica innata, presente in ogni persona seppur in misura diversa e che si può potenziare in base a come si affrontano e si
superano gli eventi della vita. La scala in origine era composta da 25 item, gli autori ne hanno creata una seconda a 10 item. I due
studiosi hanno rilevato l’esistenza di solo due sottoscale significative relative alla competenza personale e all’accettazione di sé.
La Disposition Resilience Scale ha l’obiettivo di misurare la resilienza come resistenza psicologica, ossia uno stile di funzionamento
generale che include qualità emotive, cognitive e comportamentali. Lo stile resiliente fa riferimento a tre dimensioni: tendenza a vedere il
mondo con interesse e significato, credenza nelle proprie abilità di influenzare gli eventi, capacità di vedere le nuove esperienze come
possibilità di apprendimento e di sviluppo.
La Disposition Resilience Scale II è una versione ridotta della scala di Bartone composta da 18 item, che vanno ad indagare il
cambiamento, i legami e il livello di controllo. Qui il concetto di resilienza si rifà ad un concetto personale e individualistico della capacità
di far fronte ai traumi, lasciando completamente inesplorato il sistema relazionale e comunitario all’interno del quale si inserisce.
La ConnorDavidson Resilience Scale è una scala clinica che da riscontro alla definizione di resilienza degli autori come capacità
personale di prospettare anche di fronte alle difficoltà e come una misura della capacità di gestire lo stress. È composta da 25 item
distribuiti su 5 fattori: competenza personale e tenacia, self confidence e gestione delle emozioni negative, accettazione positiva del
cambiamento e relazioni sicure, controllo, influenze spirituali.
La Resilience Scale for Adult si inserisce sulla stessa scia, che non si limita a prendere in considerazione le caratteristiche psicologiche
disposizionali della resilienza ma contempla anche delle sottoscale che misurano il supporto famigliare ed esterno.
Accanto a questa scala se ne è sviluppata un’altra, la Resilience Scale for Adolescent che ha confermato la consistenza delle cinque
dimensioni ritracciate nella RSA, ossia: competenza sociale, stile strutturato, supporto esterno, coesione famigliare e competenze
personali.
Un altro strumento in fase di pubblicazione è il Resilience Process Questionnaire: è uno strumento di misurazione della resilienza,
costituito da 15 item a cui il soggetto deve rispondere su una scala Likert a cinque passi; è articolato su tre dimensioni: reintegrazione con
perdita o disfunzionale, reintegrazione resiliente, ritorno all’omeostasi.
Appare chiaro come stia avvenendo un graduale ma progressivo cambiamento di prospettiva. Gli studi sulle variabili che permettono a un
individuo di resistere alle situazioni stressanti e di evolvere positivamente nonostante i traumi rappresentano per gli psicologi un nuovo
terreno di ricerca, in quanto inducono a focalizzare le ricerche sulle risorse degli individui e dei gruppi e a elaborare metodologie per
svilupparle.
Il “test del villaggio di Arthus” può essere un esempio, un po’ obsoleto, di come approfondire strutture di personalità e processi di
resilienza dopo una catastrofe attraverso l’attività creativa. Il test consiste nella costruzione di un vero e proprio villaggio in miniatura. Il
soggetto deve ordinare, organizzare e dare un senso al caos in cui sono poste le costruzioni: in questa organizzazione il soggetto esprime
oggettivamente il livello e il tipo della propria attività creatrice o semplicemente riproduttrice. Questo test tende ad evidenziare inoltre
quali sollecitazioni del mondo esterno la persona è maggiormente sensibile e come le percepisce. Questo test potrebbe essere particolarmente
indicato nella valutazione del trauma e dei processi di ricostruzione dell’individuo e della comunità in seguito ad un disastro naturale, che
alternano la percezione esterna ed interna dello spazio di vita reale ed affettivo.
Un altro strumento è “il gioco della sabbia e il test della sabbia”. La sabbia e le figure che il soggetto andrà a comporre sono dei tramiti
attraverso i quali il mondo interno ha la possibilità di esprimersi e prendere una forma osservabile e concreta. Essa ha il privilegio di
permettere l’espressione di contenuti difficilmente verbalizzabili o troppo faticosi da esprimere a parole. La parola infatti oltre ad essere
una delle tante possibilità con cui comunicare alcune volte può essere un’imperfetta traduttrice dei nostri stati d’animo nonché portatrice
di filtri mentali e culturali. Resilienza e creatività: nessi possibili
Che cosa hanno in comune resilienza e creatività?
Che rapporto si può individuare tra resilienza e creatività? Pare si possano cogliere dei legami sul piano concettuale e sul piano operativo.
Si tratta di comprendere, nel primo caso, come il costrutto psicologico della resilienza condivida dei tratti con la definizione dei processi
mentali che si ritiene stiano alla base della creatività; nel secondo, come delle pratiche di intervento che sostengono la resilienza sono
ritenute anche possibili supporti allo sviluppo della creatività.
Aspetti concettuali comuni a resilienza e creatività la resilienza è intesa come possibilità di trasformare una situazione dolorosa o
traumatica in un processo di apprendimento e di crescita, come capacità di riorganizzazione positiva della vita. Trasformazione e
riorganizzazione sono dinamiche che contraddistinguono l’atto creativo. Quest’ultimo consisterebbe infatti nell’applicare a una situazione
uno schema di interpretazione insolito per essa. La creatività sarebbe quindi questione di prospettiva, di punto di vista, di modo di
guardare alla realtà: nelle situazioni creative si cambia prospettiva e si considerano le cose da un’altra ottica. Ciò porta a una
ristrutturazione della situazione perché i suoi elementi vengono organizzati in una nuova maniera così che essa appare diversamente.
Questi meccanismi, che nel caso della creatività vengono apprezzati perché portano a produrre qualcosa di originale e inaspettato, nel caso
della resilienza sono importanti perché inducono a una reinterpretazione della propria condizione che, pur nella sua drammaticità e
problematicità, assume un significato che non conduce alla disperazione ma apre al cambiamento o all’integrazione positiva degli eventi
critici nella propria storia.
Resilienza è anche capacità di trasformare un evento critico in un’occasione di ricerca personale. Anche il termine ricerca ha un posto
privilegiato nella riflessione sulla creatività, poiché varie teorie vedono nella generazione di idee finalizzata trovare soluzione a un
problema o dare una risposta a un’esigenza il processo fondamentale della creatività. La generazione delle idee sarebbe simile ad un
processo di ricerca.
Essere resilienti è infine disporre di un insieme di strutture e strategie cognitive e relazionali che permettono di riannodare i rapporti tra
passato, presente e futuro cosicché l’individuo possa nuovamente connettersi a un ambiente. Riannodare, connettere: secondo parecchie
teorie il pensiero creativo opera proprio compiendo collegamenti. La capacità di compiere associazioni remote, ossia nel trovare rapporti tra
oggetti o concetti che apparentemente non condividono alcuna proprietà, oppure nel collegare due distinte catene di ragionamenti, è per
alcuni il meccanismo di base della creatività.
Appare dunque che la resilienza si collega a modalità di funzionamento mentale che sono proprie della creatività. Risulta comprensibile
come un individuo che si trova ad affrontare una situazione drammatica che a prima vista non presenta vie d’uscita è chiamato a mette in
gioco una certa dose di creatività. Un vero cambiamento richiede l’individuazione di soddisfacenti alternative, e queste a propria volta
domandano immaginazione e creatività.
La creatività che fa da supporto alla resilienza è una creatività che riguarda sia gli aspetti pratici della vita (permanenza prolungata in
periodo di guerra nelle trincee, nei campi di concentramento) sia i significati essenziali. Anche in situazioni meno drammatiche la
resilienza si collega alla capacità di costruirsi strumenti direttamente non disponibili o di trovare stratagemmi per cavarsela in situazioni
intricate. Talvolta questa ingegnosità di tipo pratico non riguarda la produzione di oggetti materiali e strumenti, ma la sfera sociale e
relazionale.
Un diverso genere di creatività entra in gioco quando essere resilienti significa soprattutto reinterpretare la situazione in cui ci si trova,
ossia dare ad essa un diverso significato che non conduca alla disperazione e alla rassegnazione, ma mobiliti le risorse residue
dell’individuo.
Il cinema italiano è lo spunto per parlare di resilienza come attivazione creativa delle proprie risorse, come si vede nel film La vita è bella.
Anche la stessa letteratura è piena di esempi di resilienti che sotto la spinta creativa hanno deciso di raccontare la loro esperienza (vedi p.
35).
Un riferimento diretto al collegamento tra resilienza e creatività viene compiuto dallo stesso Cyrulnik: egli ricorda che la differenziazione
è uno dei possibili meccanismi di base della resilienza, perché con essa si attua una scissione nella mente del soggetto: una parte della sua
mente soffre le limitazioni e le conseguenze della situazione negativa che viene vissuta mentre una parte sotterranea continua a vivere e a
produrre. Secondo lo studioso i soggetti creativi sono quelli che compiono un collegamento tra le due parti, riconoscendo i limiti della
situazione reale e trovando il modo per esprime