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LA CUCINA MEDITERRANEA PER UNA PROGETTUALITà DELL’INTEGRAZIONE
2.1 Il “multiverso” mediterraneo
Il bacino del mediterraneo, sul quale si affacciano tre continenti, è stato un “luogo della storia”. Le diverse civiltà
che nel corso della storia lo hanno popolato, egiziani, fenici, greci, romani, bizantini, arabi, ottomani, spagnoli e
popolazioni discese dal Nord hanno contaminato in questo territorio, lingue, religioni, credenze, costumi, modi di
produzione e di ordinamenti politico-sociali. Si tratta di elementi che costituiscono l’eredità di una pluralità di
civilizzazioni e che, pur nelle loro differenze, costituiscono una potenziale base per una comune identità
mediterranea.
Lo storico Braudel sostiene che nel Mediterraneo non vi è una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate l’una sulle
altre; e allora, viaggiare in questa zona, significa incontrare contemporaneamente le varie civiltà per anni lo
hanno popolato. Anche Matvejevic afferma che non esiste una sola culture uniti e mai differenti, le loro
somiglianze sono dovute alla prossimità del mare e all’incontro sulle sue sponde di nazioni, civiltà, di forme e di
espressioni comuni. Le loro differenze derivano da fatti di storia, di credenze e di costumi, talvolta inconciliabili.
Né le somiglianze, né le differenze sono assolute, talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le seconde.
In generale, il filo conduttore (fil rouge) che accomuna tutto il Mediterraneo sembra individuabile nel fitto
intreccio di comunità etniche e religiose che si sono giustapposte, e a volte sovrapposte, lasciando ciascuna la
propria traccia senza, però, cancellare completamente l’ereditarietà della civiltà che le avevano precedute. Nello
specifico, il patrimonio culturale che unisce le terre e i popoli che si affacciano in questo bacino, richiama la logica
e la ragione della filosofia greca, il diritto e la forma politico-territoriale dell’Impero romano, le tre religioni
monoteiste (ebraismo, islamismo e cristianesimo), la diffusione di specifiche colture (vite, ulivo, agrumi) e il clima
mite.
Gli elementi di diversità, riguardano, oltre che le disparità economiche e demografiche, anche aspetti di carattere
organizzativo-sociale e socio-culturale, ossia la presenza di differenti modelli politici (democrazie e regimi stabili o
in transizione) ma anche alla strumentalizzazione (più o meno evidente) del sentimento religioso come pretesto
per dare avvio a guerre e conflitti tra popoli.
Oggi giorno il mare Mediterraneo ha assunto un ruolo fondamentale come porta d’ingresso verso l’Europa, , una
sorta di “luogo” di mobilità sociale, il cui attraversamento consente di progettare un possibile miglioramento
delle proprie condizioni di vita, fuggendo spesso da situazioni di totale negazione dei diritti umani fondamentali,
pur al presso di mettere in repentaglio la propria vita.
2.2 Processi migratori e identità culturali: il cibo come strumento di mediazione
Oggi, nell’immaginario collettivo, “l’altro-mediterraneo” sembra coincidere quasi elusivamente con l’immigrato
che, laddove viene vissuto come portatore di una diversità inconciliabile, suscita timori e ansie gestiste attraverso
processo di ghettizzazione o tentativi di assimilazione. Facendo riferimento al concetto di categorizzazione
sociale, e alla tendenza rassicurante delle persone a considerare come sconosciuto tutto ciò che è diverso e altro
da sé, l’immigrato proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo viene generalmente interpretato sulla base di
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quegli stereotipi sociali che, costituendo un ostacolo alla conoscenza e un alimento per ignoranza e superbia, lo
10 Gli stereotipi sono sistemi di credenze che certi gruppi sociali utilizzano nella definizione di altri gruppi sociali cui
attribuiscono determinate caratteristiche (solitamente negative); si tratta di generalizzazioni che non tengono conto delle
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rappresentano come sottosviluppato, terrorista, fondamentalista, ecc., un ruolo importante (solitamente
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negativo) in tal senso è svolto dai mass media . Il risultato di tali processi sociali è che coloro che riescono a
raggiungere la meta desiderata si trovano di fronte a barriere soprattutto di tipo mentale, nutrite da stereotipi e
pregiudizi, vere e proprie frontiere psico-sociali che ostacolano il dialogo tra soggetti che appartengono a
differenti sistemi socio-culturali ma che si trovano, necessariamente a condividere gli stessi spazi nelle moderne
società sempre più multietniche.
Il fatto che la maggior parte degli immigrati provenienti dalla sponde del Mediterraneo abbia un sfondo culturale
per alcuni aspetti diverso dalla cultura del luogo che li accoglie costituisce un’importante questione sociale da
affrontare. Appare indispensabile trovare i modi più adeguati per creare una società caratterizzata da processi di
integrazione che non sminuisce l’importanza che assume la propria cultura su cui si fonda la propria identità, ma
che allo stesso tempo si fondano sul rispetto delle regole del paese di arrivo e dei diritti umani fondamentali. Si
tratta di sviluppare competenze sociali funzionali alla gestione dei conflitti che non vanno soffocati ma affrontati
attraverso il dialogo, la negoziazione e il reciproco confronto. Diversamente, le distanze rischiano di trasformarsi
in violenza e intolleranza. Un reale pluralismo culturale, implica atteggiamenti per i quali le differenze vengono
riconosciute, rispettate e valorizzate come possibile fonte di arricchimento del patrimonio culturale complessivo,
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frutto, questo, non della fusione indistinta (melting pot) ma dal confronto e della pacifica coesistenza di culture
diverse. Si tratta di un obbiettivo complesso per diversi motivi. Esso richiede capacità di pensare al plurale, cioè
di orientarsi alla reciprocità, aprirsi consapevolmente al nuovo, leggere l’altro oltre le apparenze e dialogare con
lui funzionalmente per realizzare le condizioni di reciprocità indispensabili per la tolleranza e al civile convivenza.
È necessario, inoltre, che le istituzioni adeguino le strutture della società alle esigenze e alle caratteristiche delle
diverse culture, evitando il rischio di “misconoscimento” identitario ma senza cadere nel relativismo, che in nome
dell’autonomia delle singole culture, porta all’acquiescenza politica e alla rinuncia a porre valori fondamentali
come il rispetto della vita, la libertà e la dignità della persona. Per quando riguarda il misconoscimento o non
riconoscimento esso riguarda l’Identità sociale. Poiché la nostra identità appare strettamente correlata alla realtà
culturale rispetto alla quale si è strutturata, il mancato riconoscimento di tale realtà, ovvero gli atteggiamenti
negativi nei confronti della stessa, si riverberano negativamente sul Self delle persone. In tal senso, un individuo o
un gruppo può subire un danno reale, una reale distorsione, se le persone o la società una immagine di sé che lo
limita o sminuisce o umilia. Il non riconoscimento può danneggiare, può essere una forma di oppressione che
imprigiona una persona in un modo di vivere falso, distorto, impoverito. Un riconoscimento non è soltanto una
cortesia che dobbiamo ai nostri simili: è un bisogno umano vitale (Taylor C.).
Bisogna evitare di trattare la diversità attraverso meccanismi cognitivi di semplificazione funzionali alla difesa del
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proprio “universo di significati” , nonché di “rigidificazione”, cioè di accentuazione delle frontiere al fine di
conservare e difendere il già noto, al punto che ogni informazione esterna può penetrare all’interno solo per
confermare abitudini, consuetudini e orientamenti. Tali processi si traducono in stereotipi e pregiudizi, che
differenze tra gli individui che appartengono alo spesso gruppo, spesso infondate e resistenti alla conoscenza di nuove
informazioni, e che secondo Tajfel sono strettamente correlate al processo di categorizzazione, secondo l’Autore si tratta di
una serie di generalizzazioni che derivano dal processo cognitivo generale della categorizzazione e che sono diventate
patrimonio degli individui. La funzione principale di questo processo consiste nel semplificare e nel sistematizzare
l’abbondanza e la complessità dell’informazione che l’essere umano riceve dal suo ambiente. Tali stereotipi possono però
diventare stereotipi sociali solo quando vengono condivisi da grandi masse di persone all’interno dei gruppi e delle istituzioni.
11 Studi condotti a livello nazionale rilevano il ruolo negativo rivestito dai mass media nell’alimentare stereotipi e pregiudizi
nei confronti degli immigrati rappresentati quasi esclusivamente come criminali e clandestini. L’atteggiamento cambia
assumendo i toni del pietismo, nel caso in cui si parla di bambini, donne gravide e immigrati deceduti, considerati inoffensivi.
12 Primo e più celebre modello di multiculturalismo formulato negli U.S.A., in questa grande metropoli vivono milioni di
persone di culture tra loro molto diverse, proprio come in un grosso”pentolone”. Il melting pot consiste nella miscuglio di
moltissime culture che non proibisce di abbandonare la propria cultura: per esempio un francese immigrato negli Stati Uniti
può conservare usanze, lingua e religione originarie e sentirsi nondimeno cittadino americano a tutti gli effetti.
13 Come sottolinea Mead, il padre dell’interazionismo simbolico, il significato si definisce sempre nel quadro dell’atto sociale
e nel contesto di un “universo simbolico condiviso”. 12
dividendo il mondo in bianco e nero, giusto e sbagliato, Nord e Sud, non fanno che portare a orientamenti
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segregazionisti e differenzialisti .
È necessario, quindi, che le relazioni con l’Altro, siano caratterizzate dall’apertura e dalla reciprocità, l’Altro deve
essere vissuto come risorsa, ma anche come elemento di confronto rispetto a possibili dimensioni conflittuali da
gestire attraverso il dialogo e la negoziazione, che però, soprattutto nel caso delle relazioni tra gruppi sociali
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caratterizzati da notevoli differenze culturali, possono evocare vissuti fortemente ansiogeni ; vissuti che sono
correlati al pregiudizio ma che il contatto intergruppi in situazioni adeguate può contribuire a ridurre.
In un contesto così caratterizzato, le relazioni con gli immigrati di origine sud-mediterranea, presenti nei paesi
della sponda settentrionale, costituiscono una possibile fonte di cambiamento, utilizzabile secondo una
prospettiva bottom-up. L’approfondimento delle relazioni con questo gruppo potrebbe costituire un importante
strumento di integrazione, nella misura in cui modalità di contatto, supporto istituzionale e attivit