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La società è troppo materialista e il pubblico assolutamente impreparato per cogliere il
messaggio dell’arte che contribuisce alla situazione da emarginato del pittore e di
conseguenza alla sua sofferenza, causa prima della creatività.
Secondo Debora Silverman la condizione di artista sofferente, inteso come martire
moderno, è debitrice di una tradizione religiosa che seppur in maniera minore rispetto
a prima continua a essere influente. Questo è il clima in cui opera Gaugin. Sia
l’autoritratto brocca di Gaugin sia la scultura autoritratto di Lacombe, in cui l’artista si
rappresenta come Cristo in croce ma senza ferite sono esempi significativi, perché
notiamo che la posizione dell’artista nella società viene allegorizzata come una
continua perdita emorragica.
Nell’’800 dunque, la figura dell’artista martire costituisce una sorta di modello; da un
lato gli artisti sono attaccati da critici e recensori, dall’altro l’artista martire viene fuori
da estenuanti arringhe difensive a favore dell’artista, che non solo denunciano la
situazione, ma anche promuovono il pittore in questione (basti pensare al caso
Courbet). È importante notare che ruolo rivesta il topos nella costruzione della
leggenda dell’artista. A proposito ce ne parlano Kris e Kurz: chi si mette a fare un
determinato mestiere fino a un certo punto sarà imprigionato dal logos, che agisce
nell’inconscio; così ci si ritrova in una specie di biografia “pre scritta”. Capiamo che le
dinamiche sociali non si possono analizzare separandole da quelle psicologiche, in
quanto si compenetrano l’un l’altra. C’è dunque una dialettica tra artista e società: i
percorsi dell’artista sfruttano e seguono quei concetti culturali e viceversa.
Rappresentare un proprio disagio (ad es. l’incomprensione e l’attesa dovuta a un
pubblico o alla critica) possono diventare un motivo poetico, in particolare dal
Romanticismo in poi quando il binomio arte/vita sarà un vero e proprio topos.
Schiele si rappresenta più volte con ruoli che dialogano con la tematica sacra; la sua
visione mistica, ereditata da Klimt, prevedeva che l’arte riscattasse la realtà
quotidiana. L’arte ha un ruolo sacrale e gli artisti ne sono i sacerdoti.
In Schiele poesia e turbolenti episodi biografici si mescolano senza possiblità di
distinguerli. Bravo a disegnare già dalla tenera età era turbolento di carattere, nel
1909 abbandonò gli studi accademici e poi venne arrestato nel ’14 perché un ufficiale
di marina lo aveva accusato di aver sedotto la figlia 14enne e inoltre i disegni del
periodo erano fortemente spinti e orientati sessualmente. Così fu rinchiuso con
detenzione preventiva. I disegni di Schiele nel carcere e le sua annotazioni ci dicono
che lui avesse una visione sacrificale dell’arte. Scrive anche un diario dove ribadisce
che l’arte è quanto di più puro Dio ci ha dato e che l’artista è martire. In data 23 aprile
1912 Schiele scrive di nuovo a proposito della sofferenza nel carcere, ma anche
tradisce un bisogno di ribadire la propria purezza davanti a uno sguardo superiore. Si
pensa che queste riflessioni non siano tanto di Schiele quanto del suo protettore
Roessler che nel ’22 si occupò di pubblicare il libretto. Curiosa la compenetrazione tra
scienza e medicina: la radiografia che fa vedere le ossa consente una metafora
efficiente con il terzo occhio, quello di dio, quello divino.
Una simile malleabilità nell’uso dell’immaginario scientifico e di quello sacro si trova
anche in Munch. Il pittore si rappresenta in una litografia del 1895 frontale, a mezzo
busto come il cristo dei dolori e nella parte inferiore del quadro compare il suo braccio
scheletrico che proprio in quegli anni veniva radiografato da Rontgen. L’immagine non
si può mettere in relazione con la radiografia fatta dal pittore nel 1902 quando viene
ferito da un proiettile, ma più verosimilmente sembra voler reinterpretare con la
tecnologia moderna il tema della vanitas. La mano ricompare in un altro disegno del
1906 circa; l’episodio del ferimento fornisce il pretesto per un immagine che ha molto
in comune con le immagini di Cristo mollate ai fedeli; di nuovo è palese la volontà di
dialogare anche se in maniera non ortodossa con le vicende e con l’iconografia di
Cristo.
La mano ha subito un forte trauma, un proiettile nel dito medio ha causato la frattura
dello stesso dito, ma nel disegno il dito è decisamente stilizzato, non realistico, e
quindi più vicino al tema religioso.
Nel 1900 con Golgota il pittore fa coincidere il luogo della sofferenza di Cristo con la
propria, dovuta a una tubercolosi; nel lato del dipinto infatti reca il nome della clinica
in cui si trova ricoverato.
Tra il 1902-1903 il pittore dipinge Sul tavolo operatorio dove si rappresenta
diagonalmente steso su un lettino e completamente nudo; molte persone lo
circondano: un’infermiera che regge una bacinella piena di sangue, due dottori che
discutono il caso, e studenti che controllano la situazione. Ancora una volta non si può
pensare che l’episodio sia descritto in modo oggettivo; anzi la soggettività è
aumentata da una macchia rossa come sovraimpressa sulla mano del pittore, che la
tiene chiusa a pugno sul petto. Secondo Westermann il rappresentarsi nudo e ferito
mentre i medici non intervengono indicherebbe l’indifferenza con cui i suoi dipinti
vennero accolti in Norvegia. Così Munch da al suo corpo ferito una serie di significati
dialoganti tra loro e con quanto gli accadde in vita.
Nel 1905-1906 Munch rappresenta Tulla Larsen (la compagna) nei panni di Salomé
intenta a chiedere la testa del Battista, nuovamente rappresentata, anche se in modo
caricaturale, come la testa del pittore.
Nel 1906-7 il pittore dipinge Assassina e Natura morta riferendosi di nuovo
all’incidente alla mano e anticipando il quadro successivo dove si immagina nei panni
di Marat ucciso dalla Corday. Così l’autobiografia si intreccia stavolta a un episodio
storico che fa da alternativa all’episodio biblico; inoltre l’uomo vittima della donna
carnefice è un tema diffuso quanto quello dell’artista incompreso e ferito.
Anche Koksocha si rappresenta soggiogato dal potere femminile nel volantino di
Assassino, speranza delle donne; il pittore, è nudo e rosso di sangue su un grembo
bianco di donna.
Il confronto uomo vittima/donna carnefice è stato analizzato da David Lomas, in un
saggio dove analizza le rielaborazione di Munch sul tema dell’assassinio di Marat, che
parte dal pittore ferito in seguito a un diverbio amoroso. Lomas conferma che le ferite
personali non facciano altro che intrecciarsi con determinati eventi o periodi storici.
Un altro quadro è interessante. Munch si rappresenta ferito, anche se non ci sono
riferimenti alla cultura storica, religiosa o medica. Si tratta di uno schizzo intitolato
Fiore del dolore. Il fiore rappresenta l’arte e viene nutrito dal sangue del pittore; di
nuovo c’è il riferimento all’arte che porta sofferenza, concetto che ribadisce anche
Munch nei suoi scritti; l’esercizio creativo consente di reagire al trauma.
Munch con questo disegno, fa un autoritratto ferito, e decide di destinare a una
circolazione più capillare (visto che il disegno è su una rivista), l’immagine di sé che gli
è più congeniale
L’immagine di Munch è simile a quella di Cocteau, in cui i riferimenti al corpo ferito e
all’iconografia della passione hanno un ruolo ancora più determinante. Nel testo Oppio
una figura maschile col capo riverso all’indietro reca una grossa ferita sul petto. Oppio
è la cronaca ufficiale del soggiorno per disintossicazione del poeta nella clinica di Saint
Cloud a Parigi, e può considerarsi come una lunga riflessione sulla sofferenza, trattata
come condizione esistenziale, ordine medico e questione estetica.
Per il poeta Il rifiuto dei medici di dare sollievo ai pazienti è un atteggiamento nocivo,
ma la sofferenza si conferma come fare poetico. Così Cocteau critica una situazione e
allo stesso tempo diventa quasi promotore di un dolorismo che sembra conciliarsi con
il potenziale creativo riconosciuto al trattamento.
Il disegno di trent’anni successivo al fiore di Munch, sembra volere essere un tentativo
da parte di Cocteau di conciliarsi con il pittore norvegese e con il linguaggio
surrealista. La ferita sul petto di Munch è diventata una bocca dalla quale sgorga del
sangue. Il disegno con la scritta “dalla bocca della sua ferita” indica la capacità
generativa dell’artista e allude alla sua vocazione sacrificale. E questo è confermato
anche da alcuni aforismi di Oppio e da dichiarazioni successive.
Sempre in Oppio tra quelle definibili “immagini affezione” cioè proiezioni emozionali
della vita dell’artista trovano spazio anche immagini più strettamente legate
all’immaginario religioso. Sono uomini inginocchiati e come in estasi, sono figure a cui
Cocteau ricorre per descrivere lo status in cui si trova chi si fa di droga. La droga è sia
positiva che negativa, in quanto intralcia l’accesso a uno stato più mistico, cioè il fare
creativo.
Infine, due disegni di due crocifissi con Cristo in croce e i dolenti attorno, erano
presenti nel manoscritto ma non più nella versione edita. Così torna il tema dell’artista
che si sente come Cristo (Cocteau evita però di descrivere le cause) e spesso il poeta
si sofferma anche sulla descrizione del martirio, riproponendo in maniera sporadica
anche la salita al calvario. Cocteau inoltre rimane piuttosto fedele alle sacre scritture,
come farà anche per la poesia Crocefissione. Il rigore di Cocteau diventa lampante se
lo confrontiamo con il collage contenuto in un’opera di Max Ernst, Sogno di una
ragazzina che volle entrare al Carmelo: ci viene mostrata una ragazzina nuda mentre
stringe con la mano la fascia che cinge il pube di Cristo in croce: la devozione diventa
un qualcosa di erotico, che si trasforma in un tipico rapporto coniugale.
Così nel romanzo illustrato da Cocteau il sacrificio di Cristo viene visto in maniera
blasfema e decisamente lontana da quella tradizione ottocentesca cara a Cocteau che
ne fa un simbolo di sofferenza universale e privata e un simbolo di attività creativa.
Nel caso di Cocteau l’immagine del sé ferito è un elemento polivalente in cui si
intrecciano anche riferimenti alla follia degli artisti: per lui l’avvicinamento tra artista e
malato di mente sarebbe dovuto a uno stato di dissociazione, una frattura tra l’identità
di uomo e quella di