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Occuparsi dell'autoritratto dal punto di vista psicologico è diverso che da un punto di vista storico-artistico o estetico, è diverso l'oggetto della ricerca.
La dimensione psicologica, nel caso dell'autoritratto assume un ruolo importante. Il credere che una data rappresentazione sia un autoritratto induce immediatamente interessi e aspettative che sono nell'ordine della psicologia.
Molti autoritratti nel passato hanno avuto origine per vari tipi esigenze, estetico-formali o legate alla poetica del singolo artista (autoritratti d'artista nelle vesti di pittore). Opere che vanno a testimoniare le varie tappe della carriera del pittore, dove l'autoritratto segue l'evoluzione dell'affermarsi del suo essere artista. L'opera diventa così la proiezione di come crede di essere visto l'artista.
Il fatto è che per la DURATA dell'autoritratto, cioè per il tempo che obbliga l'artista a stare solo con se stesso a contemplasi allo specchio, non può non avere una ricaduta psicologica per quanto concerne certi nodi fondamentali del suo IO e del suo senso d'identità.
Un problema essenziale della psicologia dell'autoritratto è diverso quello del difficile rapporto fra l'uomo e la propria immagine. Prima conseguenza, non ci si può occupare solo di autoritratti di artisti perché è diverso un bisogno comune di tutti gli uomini. Gli artisti comunque, in certi periodi, sono testimoni privilegiati di questa pulsione dell' uomo all'autorappresentazione. Occuparsi dell'autoritratto da un punto di vista psicologico significa innanzitutto cercare di cogliere l'essenzialità dei gesti che presiede alla sua formazione. Attraverso l'arte l'artista non crea immagini del divenire più complete.
Un'utile prospettiva potrebbe essere quella di privilegiare modelli di esperienze artistiche asi ingenui, art brut. Si nota che opere figurative cosiddet brut hanno unrazionale forte arcodare esperienzeartisnao preafenate che fa pensare anmuo relativo àd'identità. Per esempio nel caso di molti autoritratti la cifra predominante è il confronto o dialogo con modelli del passato con cui l'autore instaura u rapporto di più o meno problematica identificazione [imitazioni e citazioni] oppure si pensa il rapporto inverso fra vecchio Ingres e il giovane Delacroix.
La questione dell'autoritratto si pone in modo diverso e ha implicazioni diverse da periodo a periodo, da artista ad artista. Esiste l'autoritratto esplicito, che l'autore stesso definisce tale, e la semplice autoapreozione, che comprende anche l'autoritratto nascosto fra le figure. Quest'ultimo sta all'origine dell'autoritratto vero e proprio, quando l'artista faceva della propria immagine l'oggetto esclusivo della sua opera. Secondo Cicerone, il primo esempio è stato quello di Fidìa che si sarebbe autoritratto nella figura di Dedalo sullo scudo di Minerva.
Abbastanza frequente è l'autoritratto celato nell'opera, dove l'artista si raffigura fra i santi, ovvero nei volti anonimi dei presenti, in un angolo della composizione (Giotto nel "Giudizio Universale" nella Cappella degli Scrovegni).
Stoichita parla di diverse modalità di autorappresentazione:
- L'autore mascherato, dove il pittore recita la parte di un personaggio presente in una storia: ben noti sono anche gli autoritratti di Andrea Mantegna nella "Scena dell'incontro" e di Botticelli nell'"Adorazione dei Magi".
- Autoritratto da visitatore, dove l'artista si presenta come corpo estraneo alla storia al cui interno penetra per affermazione: esempio più caratteristico con Dürer nel "Martirio dei diecimila cristiani".
- [...] l'inserimento contestuale dell'autore, in cui l'artista figura all'interno della propria opera benchi come. ritratto.
Rappresentarsi nei panni di Cristo
In altre occasioni il fatto di rappresentarsi nei panni di altri può implicare un processo di identificazione con il personaggio scelto e avere quindi una certa rilevanza psicologica (esempi, Tiepolo nelle vesti di Apelle e Manet in quelle di Rubens).
In alcuni casi la raffigurazione può assumere implicazioni decisamente inquietanti, come in Caravaggio che si autorappresenta nella testa mozzata di Golia e in quella di Medusa o Michelangelo che si autoritrae nella pelle scuoiata di San Bartolomeo nel "Giudizio Universale".
Rappresentarsi nei panni di Cristo costituisce un caso particolare, data l'elevata valenza simbolica ma anche psicologica di questa identificazione, che può fare pensare a una sorta di complesso di onnipotenza da parte dell'artista, esempio più noto è quello di Dürer nell'autoritratto del 1500. Altri celebri esempi di pittori che si sono autorappresentati nelle vesti di Cristo sono quelli di Paul Gauguin e James Ensor. Un esempio più contemporaneo di identificazione con l'immagine del Cristo è quello di Luigi Ontani.
Ad ogni modo, l'autoritratto nascosto o in veste di altri personaggi non è solo una prerogativa del passato, ma lo si ritrova anche in epoca contemporanea, seppur in contesti e con finalità diverse. Come nel passato, l'artista si autorappresenta nei ruoli più svariati, a partire naturalmente da quello che gli è proprio, cioè il suo essere pittore. Ma non mancano esempi singolari come quello di Pablo Picasso che si autoefigia come bohemien, come pulcile e da Arlecchino. Picasso vuole riconoscersi ed essere riconosciuto in questa molteplicità che non è una lacerazione ma bensì una moltiplicazione dell'Io. C'è in generale negli artisti una quasi innata tendenza al travestimento che si ricollega al bisogno profondo di ogni uomo, quel bisogno di sfida di essere e sperimentare tutto, di cui parla Freud. Tale esigenza di cui si è fatta portavoce soprattutto la fotografia, trova fra i contemporanei un interprete d'eccezione in Marcel Duchamp: Rose Sélavy. Anche Cindy Sherman e la sua volontà di riallacciarsi alla teoria freudiana dell'identification con l'eroe: ciascuno di noi vuole essere tutto il tutto nel bene e nel male, e la fotografia con i suoi travestimenti consente di impersonare i ruoli più diversi.
Esistono:
- Ritratti in forma di autoritratti, cioè l'artista rappresentato mentre dipinge il suo autoritratto;
- Autoritratti in forma di ritratti, ricordiamo l'esempio di Perugino al Cambio di Perugia dove all'interno di questo grande affresco l'artista colloca la sua effige in un "quadro".
Vi sono casi particolari dove l'artista, senza voler venire a meno al principio dell'autorappresentazione, vuole rappresentare soprattutto l'espressione di un'emozione, di un sentimento. In questi casi il pittore intende rappresentare il suo stato d'animo e non la sua faccia, perciò spesso questo genere di autoritratto non è particolarmente somigliante (esempi fondamentali sono alcuni autoritratti di Marc Chagall). Nell' autoritratto mentale l'artista non vuole rappresentare il suo volto ma vuole dare un volto alla sua anima. Ci troviamo quindi di fronte a un autoritratto come espressione e oggettivazione della psichità dell'autore. Un'altra situazione è quella di un autoritratto fisiognomicamente molto somigliante, ma la cui Valenza non è psicologicamente quella di un'autorappresentazione. L'artista vuole esprimere concetti, condizioni e tematiche che hanno nulla o poco a che fare con la propria persona. Pensiamo al lavoro di René Magritte e al caso singolare di Andy Warhol, che a un certo punto fa della sua faccia una semplice icona, un'immagine di consumo.
Poetica funzionale, l'autoritratto partecipa a quel bisogno primario di esprimere la propria psichicità. Questa idea può facilmente essere associata a quella che possiamo definire una semplice "pulsione autobiografica" cioè al fatto che l'artista si rappresenta comunque attraverso la propria opera.