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L' AUTORITRATTO COME FIRMA VISIVA: IL PERUGINO NEGLI AFFRESCHI DEL COLLEGIO DEL CAMBIO

Osserviamo il ciclo di affreschi del 1500 del Perugino realizzato nella Sala di Udienza del Collegio del Cambio a Perugia. Il pittore ha inserito un'immagine di sé corredata da una scritta laudativa, che rappresenta una novità nella storia dell'autoritratto.

Gli affreschi ricoprono l'intera volta e la metà superiore delle pareti della sala Udienza. Questa sala aveva una duplice funzione: da un lato, era il luogo dove si svolgevano attività istituzionali come il cambio di moneta, riunioni, emanazione di atti e ricevimento pubblico; dall'altro lato, aveva anche una funzione religiosa.

Il programma iconografico delle pareti di sinistra prevede la raffigurazione delle Quattro Virtù Cardinali, che sono alla base dell'etica della classe borghese, oltre a personalità del mondo antico che hanno posseduto queste virtù. Il programma si estende poi alla sfera religiosa nella parete...

di fondo (Trasfigurazione e Natività) e nella parete destra (Padre Eterno in gloria circondato da angeli e cherubini). Sul pilastro sinistro l'autoritratto del pittore. Sulla volta, iscritte in medaglioni vi sono le figure allegoriche dei pianeti con i simboli dei segni zodiacali. La presenza della scrittura è costante, sotto i Pianeti, Catone, gli uomini illustri, Profeti e Sibille, vi sono i rispettivi nomi. Frasi del vangelo accompagnano due episodi della vita di Cristo, Profeti e Sibille hanno cartigli con brandelli delle loro profezie. Filo conduttore di questa mescolanza di temi sacri e profani, sarebbe l'idea neoplatonica del necessario accordo tra virtù e fede cristiana, con enfasi particolare sulla giustizia che doveva regolare l'attività pubblica nell'Udienza del Cambio.

L'AUTORITRATTO

Si tratta di un quadro appeso al muro, accompagnato da una targa rappresentata in trompe d'oeil, che contiene la firma del pittore in forma

elogiativa: Pittore insigne. Se l'arte del dipingere era andata perduta, quasi l'ha ritrovata, se da nessuna parte fu inventata, lui quistesso l'ha riprodotta. Abbiamo dunque una targa dedicatoria ed un ritratto incorniciato. Nella stele di Brunelleschi si evocano i doni eccellenti e le virtù del suo spirito oltre al suo ingegno divino, in quella di Giotto viene celebrato colui che aveva fatto rivivere una pittura ormai estinta. Per chiarire che la sua immagine era stata aggiunta a posteriori, il Perugino si raffigurò in un quadretto. Si nota l'assenza nel ritratto, di marche che lo facciano identificare inequivocabilmente come autoritratto, a parte lo sguardo diretto allo spettatore. Non troviamo nemmeno attributi del mestiere e una gestualità specifica. L'astuzia dell'iserzione autoriale, consiste nel presentarsi come un autoritratto e un'epigrafe apposti in un secondo tempo, sugli affreschi del Cambio in.

in rassegna le opere d'arte, ammirando la maestria dei pittori e dei loro autoritratti. Tuttavia, c'è qualcosa di particolare nell'autoritratto di questo pittore. L'iscrizione che lo accompagna, "Ritratto di un uomo illustre", suscita curiosità e interrogativi.

Infatti, l'autoritratto sembra essere stato aggiunto successivamente, come se l'artista volesse rivendicare il suo posto tra i grandi della storia. Questa ipotesi è supportata anche dal fatto che si parla dell'arte antica come perduta e ritrovata, suggerendo due periodi temporali diversi.

L'autoritratto del pittore è collocato nella sezione dedicata ai personaggi celebri della storia, tra le due scene che collegano le allegorie delle Virtù Cardinali alla serie di uomini illustri che le hanno incarnate. Questa integrazione sottolinea l'importanza data all'artista.

In particolare, il colore (blu scuro) dell'autoritratto si distingue da tutti gli altri colori circostanti, creando un legame visivo tra il ritratto e le targhe che illustrano le virtù degli eroi.

La fisionomia dell'autoritratto riflette il tipico aspetto eroico del Rinascimento: sopracciglia aggrottate, occhi vivaci e labbra serrate. Lo spettatore è invitato a contemplare l'opera e a riflettere sul ruolo dell'artista come uomo illustre.

Dalla contemplazione delle allegorie dei ritratti e delle storie, alla considerazione della loro produzione e del loro autore. Scarpellini, maggior studioso del Perugino, identifica 3 livelli spaziali:

  1. Spazio quasi bidimensionale delle decorazioni sulla superficie volta;
  2. Spazio in profondità delle scene sacre e allegoriche;
  3. Finte cornici di archi e pilastri materializzate dal trompe d'oeil dell'autoritratto e della targa.

GLI AUTORITRATTI DI ANTONIO LIGABUE

Ligabue ha prodotto un numero imponente di autoritratti: gli autoritratti espliciti sono centinaia, e a essi si potrebbero aggiungere quelli che sono frutto di un meccanismo di proiezione (è noto che egli era solito operare una identificazione quasi viscerale con gli animali che amava). Tutto ciò fa pensare a una vera e propria compulsione all'auto rappresentazione.

La maggior parte di questi autoritratti ha un forte carattere "espressionistico" e in essi l'elemento emozionale emerge in modo diretto, esplicito.

Ligabue era un uomo naïf (non lo era però la sua arte che sembra avere assorbito inconsciamente lo spessore e la sapienza di intere generazioni). Ligabue aveva sofferto senza dubbio di disturbi mentali (quattro ricoveri in strutture psichiatriche), ciò risulta interessante per lo studio dei rapporti tra arte e malattia, arte e follia.

Se Ligabue aveva indubbi (ma non specifici) problemi psichici, le sue opere non ne risentono in modo significativo e danno invece l’impressione non solo di un eccezionale vigore espressivo ma anche di una forte capacità di sintesi, che le distingue dai prodotti della cosiddetta arte psicopatologica.

Un altro aspetto che rende l’esempio di Ligabue particolarmente interessante per lo psicologo dell’arte deriva dalla forte impronta autobiografica della sua opera e in particolare dal prevalere a livello di fortuna critica della dimensione biografica-anedottica: la leggenda Ligabue rischia di prevalere sull’aspetto

propriamente estetico. Familiarizzare con l'universo globale della biografia di un autore ci aiuta infatti a sintonizzarci sulla sua dimensione psichica. Gli autoritratti di Ligabue hanno soprattutto una valenza introspettiva, intimistica e costituiscono una specie di diario del suo disagio. Infatti potremo cercare di evidenziare anche nel suo caso le dinamiche di un'arte come difesa e riparazione. È noto però che nella concezione psicoanalitica classica l'arte corrisponde soprattutto a una modalità dell'appagamento di desiderio. È la tesi espressa da Freud nel "Poeta e la fantasia": l'uomo tende a correggere attraverso l'immaginazione e la fantasia le frustrazioni imposte dalla realtà. In verità già Freud segnalava un altro aspetto di questo appagamento di desiderio, il bisogno cioè di sperimentare "una pluralità di vite" che in realtà riguarda tutti gli uomini.

Indipendentemente dalla loro vicenda privata e dai loro singoli complessi psichici. Sotto questo profilo anche l'autoritratto può assumere una valenza creativa, dando luogo a opportunità di gioco e travestimento, diventando soprattutto un'occasione per sperimentare nuove identità: è questa una dimensione che specialmente nel caso dell'autoritratto fotografico ha avuto notevoli sviluppi. Anche questo aspetto è seppure marginalmente presente in Ligabue, in particolare in alcuni suoi autoritratti con cappello, dove l'elemento ironico è abbastanza esplicito. Consideriamo anche l'autoritratto in cui egli si raffigura nelle vesti di Napoleone a cavallo, dove l'ironia si coniuga con un'ingenua fantasia auto-compensativa. Il suo caso è interessante perché l'uomo, se non la sua arte, è naif, privo cioè di complicazioni ideologiche e culturali che sono proprie degli artisti 'laureati'.

I cui autoritratti vanno infatti spesso letti nel contesto e nel confronto di una particolare tradizione. Ligabue sembra fornirci un'opportunità per cogliere questo 'grado zero' dell'auto-rappresentazione, studiando più da vicino e in modo diretto i meccanismi che presiedono alla formazione delle opere. Gli autoritratti che conosciamo, dal primo all'ultimo, sono 'autoritratti di artista', frutto, cioè, di un processo che presuppone, insieme a una precisa coscienza critica, la volontà di presentarsi come artista, anche se sono pochi quelli in cui egli si raffigura con il pennello e la tavolozza in mano. Tutti comunque vanno considerati autoritratti di artista, in quanto Ligabue ha cominciato ad auto-ritrarsi solo dopo avere maturato questa interiore consapevolezza. Ligabue infatti esegue il suo primo autoritratto nel 1941 all'interno dell'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia (Autoritratto con grata e giacca blu), ma era.

Almeno dal 1928, dopo l'incontro con Mazzacurati, che aveva cominciato a dare una certa continuità alla sua attività di pittore e scultore (la quale gli appartiene fin dall'infanzia - infatti disegnare e modellare animali era da sempre l'unica cosa che gli desse soddisfazione).

Dunque, se è vero che a partire da quella prima prova egli poi tende a utilizzare l'autoritratto per interrogarsi ossessivamente sulla sua identità, se tenta di elaborare il suo disagio esistenziale attraverso una ininterrotta e formidabile sequenza di autoritratti, lo fa solo in quanto si sente e sa ormai di essere un artista; solo il suo sapersi tale gli ha fornito l'occasione, gli strumenti e i modi per chiedersi davvero chi egli sia.

Come è noto, lo specchio fa parte integrante della macchina dell'autoritratto ed è al centro del rapporto dell'uomo con la sua immagine (cfr Autoritratto con moto, cavalletto e paesaggio del 1953-54).

Lo specchio infatti, secondo alcune teorie psicoanalitiche, è alla base della genesi dell'Io. Già Freud in "Al di là del principio di piacere", aveva posto in evidenza argomentando sul gioco del rocchetto con cui il bambino cerca di elaborare il trauma dell'assenza della madre, mettendo in scena prima il suo allontanamento poi la sua ricomparsa. Facendo notare infatti come lo stesso bambino si divertisse a far scomparire e riapparire la propria figura davanti allo specchio, Freud sottolinea il ruolo essenziale di questo strumento, specialmente per quanto riguarda l'esigenza del controllo sulla propria immagine. Ma è stato soprattutto Lacan, che parlando di uno "stadio dello specchio" ne ha ribadito la funzione strutturante, "ortopedica", in quanto consente di dare forma e unità al "corpo in frammenti": il bambino, che dapprima scambia la propria immagine allo specchio per quella di unaltro, attraverso un processo che va dai sei ai diciotto mesi circa, arriva prima a realizzarne la natura illusoria e
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Publisher
A.A. 2010-2011
22 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/04 Museologia e critica artistica e del restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Exxodus di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dell'arte e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Ferrari Stefano.