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Estratto del documento

Aβ.

peptide Queste appena descritte sono due possibilità che esistono normalmente,

solo che di solito il 90% del processamento è del tipo non dannoso e il 10% dell’altro.

Quando queste percentuali deviano, la β-amiloide satura le modalità di eliminazione e

quindi si accumula generando la patologia. Altri attori coinvolti sono la γ-secretasi, che

preseniline

lavora con proteine chiamate (generano invecchiamento precoce), mentre

l’Aβ può essere controbattuta da altri fattori che cercano di eliminare la β. Molto di ciò

che sappiamo su tutto questo deriva da analisi di soggetti con esordio precoce (40-50

anni), in cui addirittura c’è una trasmissione familiare (singoli geni coinvolti). In

generale si trovano mutazioni sull’APP che fanno si che, sostanzialmente, si sposti il

bilanciamento fra tagli dell’α -secretasi rispetto al β/γ secretasi a favore della β-

secretasi, portando a un eccesso di peptide Aβ; ci sono poi fattori che non sono

geneticamente predisponenti ma che sono fattori di rischio: polimorfismi che se

presenti generano una probabilità maggiore di sviluppare AD. Uno di questi fattori è il

polimorfismo ApoE4, che aumenta le probabilità di incorrere in AD (non comporta un

esordio precoce). L’apoE4, sostanzialmente, è importante per l’integrità della

membrana dei neuroni. Alcuni hanno suggerito che sia un fattore importante per

eliminare l’Aβ, quindi potrebbe essere che, siccome ci sono questi polimorfismi,

l’ApoE4 sia quello che funziona peggio nell’eliminazione, mentre l’ApoE2 potrebbe

essere considerato un fattore protettivo -> minore probabilità di incorre in AD. La gran

parte degli altri casi, quelli sporadici, non hanno una chiara ereditarietà, quindi,

probabilmente, ci saranno tante componenti che si uniscono insieme. Se però andiamo

a vedere i vari passi che ci sono nell’Alzheimer spontaneo mettendoli a paragone con

quello che succede in quelli ereditari, avremmo: mutazioni nell’APP -> aumento di

produzione della Aβ 42 che si accumulerà (*) -> declino sinaptico -> formarsi di

placche -> reazione infiammatoria all’interno del cervello (fattore di peggioramento

dell’outcome) -> perdita del funzionamento neuronale -> incapacità di compensare

tutti quei reagenti che sono normalmente prodotti dalla respirazione cellulare ->

grovigli ->infine demenza conclamata.

(*) Questa ultima parte la si ritrova anche negli Alzheimer sporadici (90% della

popolazione), quindi è vero che questa malattia ha cause diverse, ma ha un decorso

da un certo punto in poi uguale, indipendentemente dai fattori genetici.

L’accumulazione di questo Aβ è una cosa che va avanti piano piano nel tempo e

questo starebbe abbastanza bene logicamente con il fatto che l’AD e il suo

peggioramento sia legato all’età: se vogliamo spiegare qualcosa che peggiora nel

tempo, un meccanismo di accumulo progressivo spiega abbastanza bene. In realtà

quello che potrebbe succedere è che la quantità di Aβ presente sarà la differenza tra

quello prodotto e quello eliminato e, probabilmente, con l’età questa differenza tende

a cambiare, predisponendo l’anziano a sviluppare AD. Chi degrada questo Aβ? Sono

neprilisine l’IDE,

e oppure, a livello di barriera ematoencefalica, ci sono sostanze che

captano l’Aβ e lo immettono nel circolo sanguigno. Se eliminiamo il fattore IDE in topi

geneticamente modificati i livelli di Aβ aumentano; allo stesso tempo, se aumento

Questo ci dimostra che l’IDE è un fattore che va ad

l’IDE, ho una riduzione dell’Aβ.

eliminare l’Aβ. Sono stati presi dei topi con livelli molto alti di β-rinoide, si è iniettata

neprisilina nel cervello -> calo di Aβ. Questi fattori tendono a ridursi

nell’invecchiamento, di conseguenza, ciò favorisce l’accumulo di Aβ.

Psicobiologia [15 parte 1] 28-11

Modelli animali di AD

I modelli animali sono stati costruiti tramite modifiche genetiche dei precursori dell’Aβ

presenilina

o della (mutazioni a questo livello si trovano anche nell’uomo) -> anche nel

topo vengono delle placche (buona validità di costrutto). Sono stati poi creati topi con

doppie mutazioni della presenilina e si sono osservati gli stessi effetti. Una cosa

interessante è che la correlazione tra deficit cognitivi e placche piuttosto che altri

deficit è stata osservata anche in questi topi. In effetti, si è visto che i deficit di

la prima fase

memoria e plasticità precedono la presenza delle placche a indicare che

della malattia avvenga a livello sinaptico .

L’amiloide è un peptide che ha la capacità di aggregarsi tra sé e sé; prima che si formi

la placca occorre che ci siano decine di migliaia di β-amiloidi che si uniscono tra di

loro, ma prima che questo avvenga, cosa succede? La β-amiloide si diffonde sotto

forma di molecole singole (che man mano aumentano) che potrebbero già di per sé

avere un’azione a livello sinaptico. In effetti, la capacità di risolvere test di memoria

nei i topi mutanti si altera a 6 mesi di età, anche se questi non avevano le placche che

comparivano poi più tardivamente. Quindi, l’idea è che ci sia una correlazione tra la

oligomeri

quantità di questi cosiddetti [se metto insieme tante proteine uguali ->

polimero, se ne metto poche -> oligomero] e i deficit di memoria senza placca: per

ogni singolo animale (sono tutti mutanti ma in modo diverso) ci sarà una certa

variabilità, ma quello che possiede più amiloide diffuso sarà quello che meno si

ricorderà della posizione della piattaforma nel labirinto di Morris. Facendo delle

iniezioni di questi oligomeri (Aβ 56) su di un topo normale la memoria viene a essere

danneggiata -> il topo non ha preferenza nel labirinto di Morris.

Un altro modello animale (topo AD11) non si basa su mutazioni trovate nell’uomo

(validità di costrutto debole), ha però dei pregi nel senso che, eliminando il fattore NGF

(Nerve growth factor, importante per il funzionamento dei neuroni), noteremo una

perdita di acetilcolina, la presenza di grovigli, l’accumulazione di Aβ e perdita

neuronale (validità di facciata alta). A fronte del fatto che non sono le stesse mutazioni

dei pz umani, il vantaggio è che riproduce tutte queste cose insieme: il deficit di

acetilcolina, ad esempio, non era presente nei topi del modello visto

precedentemente. Questi topi mostrano dei deficit di memoria: in un compito di

riconoscimento visivo si presentano due stimoli, poi viene somministrato uno stimolo

familiare o uno stimolo nuovo -> il topo tendenzialmente preferisce lo stimolo nuovo e

tenderà a esplorarlo più a lungo dell’altro, se però non avrà memoria dello stimolo

familiare passerà lo stesso tempo con ambedue gli stimoli. A 8 mesi con un compito

facile compare il deficit, se viene invece fatto nella versione più difficile il deficit

compare più precocemente. Il topo AD11 riproduce questi effetti a livello di placche,

grovigli e acetilcolina.

I dati dei modelli animali ci mostrano che il difetto a livello sinaptico precede la

diminuzione delle placche e correla col deficit cognitivo. Questo è vero anche

nell’uomo? Sostanzialmente questi studi ci indicano che, in realtà, delle sottili

alterazioni sono riscontrabili molti anni prima dell’esordio dell’AD (laddove vengano

MCI,

fatti questi esami). Si è quindi coniato questo termine: ovvero danno cognitivo

lieve caratterizzato da deficit di memoria che non collocano però il soggetto dalla

parte dei pz con patologia (sono soggetti con punteggi che non sono patologici nel

senso della demenza, sono bensì borderline e spesso a singolo dominio). Perché lo

studio sugli MCI? Perché se si va a vedere l’incidenza di AD nella popolazione totale o

restringendosi negli MCI, si vede che c’è in questi ultimi un rischio molto maggiore di

sviluppare demenza, quindi, se supponiamo che nella popolazione X ha l’1% di

possibilità di AD, X con MCI ha il 7% di possibilità di AD (è una forma prodromica). La

fase MCI è comunque una fase che non obbligatoriamente evolve in AD.

In uno schema sono state raggruppate tutte le fasi dell’Alzheimer su una scala di

tempo di anni. Nell’MCI si ha una sorta di deviazione peggiorativa dal calo generale

delle prestazioni mnestiche; è una condizione nella quale una persona può accorgersi

di avere qualche problema di memoria; addirittura prima dell’MCI potrebbe esserci uno

stato preclinico rilevabile solo soggettivamente. Dopo l’MCI può esserci o una

deviazione a demenza oppure può seguire un calo delle prestazioni cognitive al pari

SCI

dell’invecchiamento fisiologico. Per la fase preclinica è stato coniato il termine

(Subjective cognitive impairmet) a sottolineare la soggettività del declino percepito.

Perché è così importante avere test precoci? Le indicazioni ci dicono che una diagnosi

precoce può essere utile poiché probabilmente c’è sempre un’azione della β-amiloide,

ma nella sua forma diffusa (oligomeri). In effetti, in un esperimento si è andati a

vedere qual è la caratteristica distintiva dei soggetti con Alzheimer: si osserva che, se

vado a vedere la β-amiloide insolubile (banda bassa dell’immagine –vedi slide), la

trovo sì negli Alzheimer ma anche in altri tipi di demenza (anche nella sindrome di

Down), a significare che non è specifica dell’AD. Invece, se vado a vedere quella

diffusa (oligomeri), questa è presente solo nell’AD -> è un indicatore più preciso di AD.

Gli oligomeri sarebbero quindi più specifici nel correlare con la AD. Inoltre, è

stato fatto un esperimento in cui veniva somministrato un bloccante dell’amiloide

diffusa (ma non delle placche) e si osservava un miglioramento della memoria di

riconoscimento.

In un altro esperimento sono stati estratti questi oligomeri dal cervello di alcuni

soggetti umani con l’idea che, se questi hanno azione patogena, iniettandoli nel topo

questo dovrebbe peggiorare notevolmente la propria prestazione. Effettivamente,

oligomeri umani iniettati in topi giovani producevano deficit di memoria, oltre che

danneggiare fenomeni di LTP e quindi di plasticità sinaptica. Dato quindi il tempo che

ci metterebbero a ricordare una certa stanza associata a scarica elettrica, i tempi

aumentavano notevolmente per i topi a cui veniva inie

Dettagli
A.A. 2019-2020
36 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nicola.salvadori di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicobiologia della resilienza e della vulnerabilità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Pizzorusso Tommaso.