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Valutazione del rischio di comportamenti violenti
Distinguiamo nella storia della valutazione del rischio per diversi tipi di approccio:- Approccio clinico non strutturato (implica un giudizio discrezionale del professionista, informale e soggettivo ma anche flessibile);
- Approccio attuariale (basato su dati statistici, che però considera un numero limitato di fattori);
- Approccio clinico strutturato (derivato dalla combinazione dei due precedenti, che prevede linee guida conservando una certa flessibilità).
- Fattori di rischio legati alla storia dell'individuo (stile di vita, storie di violenza e abusi nell'infanzia);
- Fattori di rischio presenti al momento attuale (abuso di alcol e di altre sostanze);
- Fattori di rischio di tipo psicopatologico (angoscia, deliri di persecuzione, allucinazioni, rabbia).
ostilità). Reiterazione del reato generale e violento: fatto predittivo i principali fattori predittivi della reiterazione del reato generale e violento sono simili per i criminali mentalmente disturbati e per quelli non disturbati. Sono stati identificati fattori predittivi suddivisi in quattro variabili:
- variabili demografiche personali;
- storia criminale;
- stile di vita deviante;
- variabili cliniche.
La storia criminale è considerata il miglior fattore predittivo per entrambi tipi di reato (generale e violento) mentre le variabili cliniche hanno minor rilievo (il più potente fattore predittivo è la diagnosi di disturbo di personalità antisociale).
I modelli teorici e l'evidenza empirica non hanno portato a ritenere la sofferenza psicopatologica un significativo fattore criminogenico.
Modelli clinici nel giudiziario: l'esistenza di limiti netti tra le categorie diagnostiche è scarsa. Le categorie definiscono sindromi di cui non sono
dimostrabili i confini. Al "modello categoriale" si sta affiancando in clinica il "modello dimensionale": il primo classifica i pazienti avendo come obiettivo l'individuazione di sottotipi distinti, mentre il secondo classifica i sintomi cercando distinte dimensioni psicopatologiche. I due approcci sono complementari. L'approccio dimensionale sembra offrire vantaggi nelle scelte terapeutiche: la scelta del farmaco si è infatti sempre più fondata sull'individuazione di dimensioni psicopatologiche di cui sono stati ipotizzati i meccanismi biologici, modificabili quindi con farmaci specifici. Il concetto di "dimensione psicopatologica" ha una base clinica (data dalla comune osservazione) e una conferma statistica. Queste dimensioni psicopatologiche identificate clinicamente trovano una loro conferma con le analisi statistiche fattoriali. I disturbi secondo DSM-IV sono descritti tramite raggruppamenti di sintomi fenotipici. Questifenotipi sono associati a tratti, o endofenotipi, quali neurocircuiti malfunzionanti. Gli endofenotipi rappresentano entità intermedie tra i geni e l'espressione sintomatologica, e perciò possono rivelarsi utili ai fini della ricerca di marker genetici del disturbo. L'endofenotipo può essere indice non solo di fattori genetici, ma essere epigenetico, ambientale e multifattoriale. Adottando un modello diagnostico CATEGORIALE nel