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La schizofrenia

Il credo comune è di associare lo schizofrenico a colui che ha delle allucinazioni

uditive, in realtà la psicosi (come le allucinazioni cinestesiche, uditive) è una

condizione che si ritrova anche nella condizione depressiva e maniacale.

La depressione Tatossian,

La depressione è stata definita da psichiatra francese, tramite un confronto

in cui affermava che paragonare la depressione con la tristezza è come paragonare il

dolore di natura neoplastica (un dolore invasivo, che lascia senza speranza, che

annienta la persona, percepito come sistemico) con un dolore muscolare (localizzato e

circoscritto).

Il disturbo bipolare (depressivo-manicale)

La depressione è una condizione che può presentarsi da sola, o essere accompagnata

da una condizione maniacale. La condizione maniacale è caratterizzata da uno stato

d’animo di euforia, ottimismo, fiducia nella vita, riduzione nella critica di sé stessi,

inconsapevolezza dei propri limiti di una durata (se non trattata) di circa 3 settimane.

Nelle persone bipolari questa condizione è seguita da periodi di depressione, che si

alternano continuamente con anche periodi di benessere in cui non è né depresso, né

maniacale.

Come vive il maniacale quando non è maniacale? K. R. Jamison è una prof.ssa di

psichiatria bipolare che ha scritto vari libri in cui descrive gli stati d’animo del

maniacale.

Sono stati classificati due tipi di bipolarismo:

- i bipolari 1 sono persone che hanno episodi maniacali marcati

- i bipolari 2 sono persone che hanno episodi maniacali più lievi

La mania

E’ un termine che ha due significati:

- un’idea fissa, un pallino, un’irragionevole passione per qualcosa (es: mania delle

pulizie)

- una condizione psichiatrica associata a depressione, ovvero un particolare stato

d’animo di stare al mondo

Esquirol, autore del 1800, ha pubblicato un trattato in cui definiva una “mania

maggiore” (generalizzata) che è quella del bipolare ed una “mania minore”

(settoriale), una forma in cui c’era una focalizzazione della persona in un ambito

specifico (es: cleptomania o ninfomania). Le condizioni minori NON disorganizzano la

persona come invece fanno le manie maggiori.

Jaspers, psichiatra tedesco 1960, afferma che “la mania è caratterizzata

un’immotivata e traboccante allegria ed euforia primaria, da una modificazione del

corso psichico, si ha una fuga delle idee ed un aumento delle facoltà associative, la

gioia di vivere stimola tutte le pulsioni istintive, la sessualità è aumentata così come

l’impulso a muoversi, indipendentemente dal rendersi conto che il suo comportamento

è inadeguato” “il maniacale nel suo ottimismo costante, tutto il mondo appare al

malato nella luce più rosea, tutto è splendido”.

Rossi Monti, 2006 “la mania si è rivelata oggi assai più variegata di quanto non voglia

la mitica descrizione della mania come gaiezza ed euforia; sempre più spesso è dato

coglierne la qualità complessiva, venata da sentimenti come tristezza e disperazione,

ma anche disforia, irritazione, irrequietezza, ansia”.

La condizione maniacale è simile all’effetto della cocaina: molte persone bipolari,

infatti, ricercano la cocaina per “mimare” l’effetto di gioia ed euforia e renderlo

continuo.

Come vive il rapporto con “l’altro” il paziente maniacale? Il mondo del maniacale non è

provvisto di un reale interlocutore, nonostante sia gioviale e sembri iniziare un dialogo

con l’altro, il paziente fa un monologo. Egli tende a ridurre l’altro ad un oggetto che

può procurargli dei favori, dei vantaggi; esempio del professore universitario che fa

una lezione di chimica alle domestiche, non riconoscendole come persone autonome.

Come vive la temporalità il paziente maniacale? Il maniacale vive il tempo presente:

anche le richieste ripetute, infatti, sono date dal fatto che il paziente si scorda della

precedente richiesta.

Quali possono essere le alternative alla contenzione? Richiedere, in urgenza, di

aumentare un paio di unità (infermieristiche o mediche) in reparto. Tra l’altro, la

contenzione comporta la necessità della presenza di qualcuno accanto al paziente,

preferibilmente seduto, che provi ad instaurare un contatto umano per ridurre i tempi

di contenzione.

2° LEZIONE

Il delirio

Il delirio non è un’espressione esclusiva del paziente schizofrenico, ma anche della

paranoia, della depressione e del disturbo maniacale. Esistono perciò vari tipi di

delirio:

Il delirio del depresso

- è un delirio di rovina, di incapacità, di inadeguatezza. Il

paziente non accetta consigli o il processo di “convincimento” dell’altro; per il

depresso non esistono vie di mezzo.

Il delirio del maniacale

- è un delirio espansivo: il paziente si sente grandioso ed il

migliore di tutti.

Il delirio dello schizofrenico

- è un delirio rivelatorio: il paziente ha delle convinzioni e

non è possibile convincerlo del contrario; ha “nuove verità” appartenenti a mondi

lontani come, ad esempio, gli alieni. Il giusto atteggiamento non è quello di

“sconfermare” le sue teorie, bensì di comprendere quanto questi segni e sintomi dati

dalla situazione allucinatoria vanno ad influenzare sulla personalità, sugli stati d’animo

del paziente.

Il delirio del paranoico

- è caratterizzato da un delirio di grandezza accompagnato da

un delirio di persecuzione, duraturo nel tempo.

Al paziente delirante non è consigliato né somministrargli eccessive quantità di

sedativi, né provare a “smontare” le sue teorie deliranti in poco tempo; bisognerebbe

lentamente far crollare il suo mondo, ma con tempistiche molto lente per non indurgli

uno stato di angoscia nocivo per sé e per gli altri.

Il suicidio

Nel caso del depresso, il suicidio può essere visto come un ultimo atto di libertà e

sollievo? Il prof. non è d’accordo, lo vede più come una “giustificazione” degli psichiatri

i cui pazienti si sono suicidati. Anzi, il suicidio non va visto come un atto di coraggio,

bensì come un atto di disperazione: in questo modo, il rischio è di creare dei pregiudizi

nei confronti del paziente psichiatrico che utilizza lo xanax etichettandolo come un

“vile che non ha il coraggio di porre fine alla sua vita”. La cosa fondamentale con le

persone che hanno tentato il suicidio è quella di comunicare, tentare di instaurare un

dialogo ed anche una relazione comunicativa; difficilmente le persone veramente

intenzionate a porre fine alla propria vita lo affermano e sono dedite al cambiare idea,

ma con il tempo, tramite il confronto ed il dialogo si può riuscire a far sì che la

relazione terapeutica li faccia stare meglio.

Esistono dei farmaci contro il suicidio?

Il paziente depresso ha difficoltà motorie ed anche nella quotidianità questo è un

problema perché essendo aprassico anche prepararsi un piatto di pasta diventa un

problema. Allo stesso modo, organizzare e preparare un tentativo di suicidio può

risultare parecchio difficoltoso per il depresso, perché è rallentato e questa condizione

in un certo senso lo “salva”. Con l’avvento degli antidepressivi questa condizione è

però cambiata perché questi farmaci prima sbloccano la persona dal punto di vista

neuromotorio, poi sull’aprassia e solo dopo circa 3-4 settimane agiscono sulla mente,

migliorando lo stato d’animo. Con queste tempistiche (sono farmaci a lunga latenza)

perciò, è reale il rischio del suicidio perché l’antidepressivo funziona da spinta per

concretizzare l’atto suicidario.

Alcuni studi clinici hanno affermato che i farmaci anti-suicidio sono i sali di litio e le

benzodiazepine che facendo effetto in poco tempo (circa 10 minuti) riescono a

bloccare la spinta suicidaria.

L’aggressività

Come far fronte all’aggressività? Innanzitutto bisogna sempre verificare che non siano

presenti cause organiche che spiegano l’aggressività (esempio del pz con fame d’aria

che al triage viene identificato come “attacco di panico” quando invece si trattava di

una “crisi asmatica”). Esistono delle tecniche di contenimento dell’aggressività come:

- ricevere il paziente in una stanza invece che nel corridoio, magari con la porta aperta

- se il paziente è in piedi è meglio indietreggiare e non posizionare le mani in segno di

sfida, ma magari dietro la schiena stando appoggiati al muro

- non aumentare il tono di voce se il paziente urla

- ripetere la propria domanda in modo più pacato possibile

Pinel, psichiatra francese del 1800, è stato colui che ha tolto i “ceppi”, ovvero quelle

strutture che permettevano di incatenare i pazienti al muro con catene. Influenzato

forse anche dalla rivoluzione francese e dai principi di uguaglianza e libertà, affermò

che legati al muro non potevano stare nemmeno gli animali.

Poussin, infermiere francese dello stesso periodo, prima di Pinel aveva osservato ed

affermato che “stranamente” quando le stanze dovevano essere pulite ed i pazienti

venivano tolti dalle catene, questi erano più tranquilli.

Pinel ha compiuto questo atto rivoluzionario, insieme ad un altro: l’invenzione delle

camice di forza.

Esquirol, discepolo di Pinel, nel suo trattato ha spiegato che “il furore è un fatto

accidentale, un sintomo, ma non è la consuetudine del paziente psichiatrico”. Al giorno

d’oggi è comune l’idea che il paziente psichiatrico è colui che è potenzialmente

pericoloso sia per sé che per gli altri.

In che modo si può lavorare sulla prevenzione all’aggressività? Lavorando sui vissuti

propri dell’operatore. Nelle situazioni di tensione, aggressività è necessario il lavoro di

equipe: non bisogna mai restare soli! In equipe è infatti possibile definire bene i ruoli:

accanto ad una figura “più dura” è sempre bene affiancare una figura “più buona”;

entrambe necessarie perché la prima serve per far capire al paziente psichiatrico qual

è il limite da non oltrepassare e la seconda per smorzare la tensione.

Le strategie:

Avere coscienza del proprio stato d’animo (non agire senza pensare!)

 Lavorare in equipe

 Evitare l’indifferenza

 Aumentare l’autostima del paziente

 Rispettare gli appuntamenti prefissati

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
12 pagine
SSD Scienze mediche MED/25 Psichiatria

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gianfradam di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psichiatria e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Di Piazza Giampaolo.