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Teatro Argentina di Roma (1905-1908)
Silvio d'Amico lottò per un teatro basato su messe in scena rigorose di testi d'autore, contro le improvvisazioni e le guitterie di attori senza preparazione. Accanto a una costante attività di critico e di cronista militante, sviluppò una riflessione storica che produsse vari importanti volumi (tra tutti va ricordata la Storia del teatro drammatico, pubblicata nel 1939-40) e fu nel 1935 il fondatore dell'Accademia d'Arte Drammatica, prima scuola per formare un interprete più responsabile.
Fra i critici che dall'osservatorio del teatro propugnarono e svilupparono una riflessione culturale, sociale e politica, ricordiamo Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Negli stessi anni, tra la prima guerra mondiale e l'ascesa del fascismo, Adriano Tilgher affermava che il critico deve valutare le opere teatrali in relazione alla loro capacità di affrontare "il problema centrale" di...
un secondo momento, dopo aver assistito alla rappresentazione teatrale.4. La critica teatrale contemporanea, invece, si concentra maggiormente sull'esperienza dello spettacolo dal vivo. Gli articoli sono spesso più brevi e si focalizzano sull'impatto emotivo e sensoriale che lo spettacolo ha sul pubblico. Vengono descritte le performance degli attori, la regia, la scenografia e l'uso delle tecnologie. Inoltre, la critica contemporanea tiene conto anche delle influenze culturali e sociali che possono influenzare la produzione teatrale.5. Nonostante le differenze, sia la critica teatrale del passato che quella contemporanea hanno lo stesso obiettivo: analizzare e interpretare il teatro per offrire al pubblico una guida nella scelta degli spettacoli da vedere e per contribuire alla riflessione sul ruolo e l'importanza del teatro nella società.redazione velocemente di notte (i giornali andavano in stampa molto più tardi di quanto non avvenga oggi), con l'assillo della fretta che mettono redattori e tipografi. Solo per le edizioni del pomeriggio si può ampliare lievemente il discorso sullo spettacolo vero e proprio. Questo sistema viene messo in discussione quando anche da noi, nel secondo dopoguerra, in ritardo rispetto al resto d'Europa, si afferma la regia. Lo spettacolo diventa opera altrettanto importante del testo e il regista un autore più o meno alla pari di quello della parte letteraria. Si coglie nelle cronache dell'epoca (una ampia serie è consultabile, per esempio, nell'archivio on line del Piccolo Teatro di Milano, all'indirizzo www.piccoloteatro.org) il rammarico per non avere il tempo di descrivere appropriatamente la messa in scena. Naturalmente altri modelli di critica, e altri sguardi, sono presenti e possibili. Sui quotidiani, le terze pagine accolgono
servizi più articolati e meditati. Settimanalicome "Il Mondo", "L'Espresso", "Panorama", "L'Europeo" negli anni Sessanta eSettanta ospitano ampie recensioni, con tempi di riflessione ed elaborazione più ampidi quelli concessi dai quotidiani. Al critico di professione, spesso proveniente dalgiornalismo, si affiancano vari "avventizi", perlopiù scrittori, come Ennio Flaiano,folgorante nelle sue cronache apparentemente divaganti, e molti altri, con esitidifferenti: ricordiamo, lungo tutto il Novecento, Alberto Savinio, Corrado Alvaro,Alberto Arbasino, Vincenzo Cardarelli, Carlo Emilio Gadda, Cesare Garboli,Salvatore Quasimodo, Angelo Maria Ripellino, fino a Franco Cordelli, LucaDoninelli, Giovanni Raboni. Ma anche registi o organizzatori praticheranno, magariper brevi periodi, la critica, come a Milano nell'immediato dopoguerra GiorgioStrehler e Paolo Grassi, quasi preparando la strada perIl loro teatro. Alcuni intellettuali passeranno più volte da un campo all'altro, come Gerardo Guerrieri, regista, studioso, organizzatore culturale, sceneggiatore, sodale negli anni della ricostruzione di Ruggero Jacobbi e Vito Pandolfi, altre personalità aperte a molteplici esperienze teatrali e culturali.
Le riviste specializzate consentono sguardi più approfonditi, anticipano testi e tendenze, corredano i servizi di immagini, scandagliano pratiche e poetiche con inchieste e interviste. Nella Francia del dopoguerra una pattuglia di critici d'eccezione affila le armi su un periodico come "Théâtre Populaire" (1953-1964), affiancando il progetto per un nuovo teatro e per un nuovo pubblico di Jean Vilar, battagliando sul repertorio ma anche sull'accesso delle classi popolari al teatro, seguendo e discutendo l'idea di una scena strettamente legata alla comunità del suo pubblico. Alcuni di loro, come Roland Barthes,
Abbandoneranno l'analisi del teatro per dedicarsi a differenti campi di esercizio dello sguardo; altri, come Bernard Dort, si trasformeranno in studiosi attenti a interpretare le trasformazioni sociali ed estetiche dell'arte scenica, inventando, dopo la chiusura della rivista, diversi strumenti di indagine.
La regia e la necessità di rendere conto di prodotti artistici più compositi, insieme alla ristrutturazione dei tempi di lavoro della stampa quotidiana, impongono di ritardare di un giorno l'uscita delle recensioni. Ormai lo spettacolo del regista è un altro "testo" rispetto a quello dell'autore. Le cose si complicano ulteriormente con l'esplosione del "nuovo teatro" negli anni Sessanta. Il testo drammatico è distrutto o negato a favore del corpo, dell'improvvisazione, dell'uso di oggetti e di immagini. Per il critico è più difficile "leggere" opere che rifiutano i canoni tradizionali.
Il pubblico, d'altra parte, non si accontenta di consumare uno spettacolo per divertirsi, rilassarsi, istruirsi o emozionarsi, e neppure chiede più al recensore un giudizio per capire se valga la pena spendere il prezzo del biglietto: vuole piuttosto essere coinvolto in un processo.
Ripartiamo, allora, dal pubblico. La fine dell'Ottocento lo ha sprofondato in una sala buia, trasportandolo in una specie di sogno individuale e collettivo. Certi autori lo hanno sottratto, già all'inizio del Novecento, alla passività, all'incantesimo, alterando i modi della recitazione e della pronuncia, staccandosi dal naturalismo. Altri hanno provato, utopicamente, a trasformare una massa anonima di consumatori di intrattenimento in una comunità, che si costituisce nelle feste negli spazi aperti delle città, nelle liturgie che celebrano la rivoluzione russa o in certi spettacoli dei più importanti festival; in una collettività.
d'elezione che si riconosce nei piccoli teatri indipendenti e radicali o nei lavori dei gruppi dell'agit-prop politico, ugualmente incerca di un pubblico non indifferenziato, solidale.
Le avanguardie storiche cercano di risvegliare il pigro borghese, magari mettendogli mortaretti sotto la sedia, come fanno i futuristi; altri intervenendo piuttosto sul montaggio dei materiali dello spettacolo. Bertolt Brecht vorrebbe rendere il suo spettatore simile a quello della boxe, tecnico, esperto, e gli chiede di seguire il dramma fumando un sigaro, vicino e distante, senza abdicare alla ragione, anzi sempre pronto a criticare e a rendere la materia teatrale nutrimento per la trasformazione sociale. Antonin Artaud progetta, nel suo utopico e radicale "teatro della crudeltà", un altro tipo di spettatore: contagiato da un virus divorante simile a quello della peste, capace di vibrare insieme allo spettacolo, che lo deve trascinare non attraverso gli inganni di cartapesta della rappresentazione,
ma per forza alchemica e per empatia di coinvolgimento profondo. E' una rottura del muro della quarta parete e un'ulteriore tappa verso quella che sarà la trasformazione, nel dopoguerra, del pubblico generico in spettatore consapevole, in spettatori singoli, sguardi personali che inverano in sé, nella propria visione, il lavoro degli artisti. Questo nuovo occhio, insieme esigente e partecipe, portato ai confini del canone teatrale dall'happening, dalla performance, dal teatro a partecipazione, dalla nuova scena, vuole capire, trovare le strade per entrare in sintonia con un dato che non è più solo estetico, ma di mutazione sociale e personale. Il teatro si trasforma in percorso "dentro di sé e dentro il mondo", come ha ben sintetizzato Giuliano Scabia. E perciò la vecchia critica risulta poco utile. Il nuovo sguardo richiede tracciati, strade di incontro e non più giudizi o cronache di costume. Cerca fili perOrientarsi in labirinti da percorrere personalmente: per ritrovare magari, alla fine del tragitto, un differente impegno collettivo.
Giuseppe Bartolucci e Franco Quadri, che possiamo considerare tra i padri della nuova critica militante emersa negli anni Sessanta, sottolineano in diverse sedi la necessità di mettere in discussione le tecniche di osservazione tradizionale per seguire i cambiamenti del teatro. Bisogna affinare i modi per rendere conto delle nuove "scritture sceniche", basate su immagini e partiture corporee, su luci e suoni, su un insieme di elementi compositi e sfuggenti da registrare, descrivere, analizzare, ricomporre in una trama capace anche di penetrare motivazioni, intenzioni, progetti.
Il nuovo teatro e il nuovo spettatore impongono altri metodi di resoconto e mettono in dubbio la necessità di una critica valutativa, come sottolineano anche le voci più innovatrici del versante degli studi universitari, tra gli altri Fabrizio Cruciani.
da lui nel 1952. In questa conferenza, d’Amico sottolineava l’importanza delcritico come testimone degli avvenimenti teatrali, ma anche come interprete eanalizzatore delle opere. Il critico, secondo d’Amico, deve essere in grado dientrare in empatia con l’opera e con gli artisti, ma allo stesso tempo deveessere in grado di mantenere una distanza critica per poterla analizzare einterpretare nel modo più oggettivo possibile. Questa tensione tra partecipazione edistanza è fondamentale per il critico, che deve essere in grado di cogliere ecomunicare le sfumature e le complessità dell’opera, senza perdersi in unmero elenco di fatti o in una mera descrizione estetica. Il critico deve esserecapace di cogliere il senso profondo dell’opera, di metterla in relazione con ilcontesto storico e culturale in cui è stata creata, e di comunicare tutto questo inmodo chiaro e accessibile al lettore. In questo senso, il critico diventa un vero eproprio mediatore tra l’opera e il pubblico, un ponte tra l’artista e gli spettatori,che permette di far emergere il valore e la complessità dell’opera stessa.presso i GUF (Gruppi Universitari Fascisti) di Roma e di Firenze nel 1942. Descriveva l'