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La sociologia del pasto secondo Simmel

Simmel è interessato al mangiare e al bere come strumenti di socialità e mette al centro dei suoi studi la valenza socializzante. Scrive un saggio nel 1910 intitolato "La sociologia del pasto". È il primo contributo, nella storia delle scienze sociali, dedicato all'alimentazione, che tuttavia viene studiata per analizzare la socievolezza, nonché la capacità della società di stare in relazione. Simmel non voleva studiare il cibo, infatti non parla direttamente di pratiche alimentari. L'obiettivo di Simmel è studiare la società partendo dall'azione e interazione degli individui. In ogni società mostra la presenza di una tensione fra le spinte individualistiche di ogni singolo attore sociale e le limitazioni imposte dalla società d'appartenenza. La socievolezza è una forma ludica dell'associazione, cioè la forza grazie a cui individuo e società riescono a risolvere la loro contrapposizione.

Nella socievolezza l'individuo abbandona i propri impulsi egoistici a vantaggio di un legame sociale. Quindi, l'individuo piega le proprie ragioni a quelle della società, non in maniera coercitiva. La socievolezza si basa sul tatto, sulla discrezione e sull'interazione, percepita come vantaggio. La conversazione borghese e il pasto sono due esempi di forme di socievolezza.

Secondo la citazione sopra riportata, mangiare e bere sono funzioni primarie per la sopravvivenza, atti umani egoistici che, però, nella forma sociale del pasto riescono a trovare un superamento. Il pasto non è importante solo nel primitivo interesse materiale umano, ma intorno al pasto si possono trovare occasioni di discorso e messa in comune di persone che non hanno nulla in comune, il pasto è un momento di condivisione e convivialità. Il cibo si trasforma in un fatto sociale, che diviene forma più estetica, stilizzata e regolata in maniera sovra-individuale.

Cioè il pasto ha un significato che dipende dalla relazione che si crea in quel momento. Se il pasto ha una funzione estetica, significa che, quando è condiviso, ciò che conta è la forma in cui il cibo viene consumato. Le tentazioni egoistiche individuali sono limitate dalla condivisione di regole di condotta che si caratterizzano per il loro valore di esperienza estetica.

Spiega che cosa è un prodotto culturale alla luce delle teorie analizzate in aula; fai riferimento agli autori che ritieni più appropriati.

Ci sono quattro approcci di studio al prodotto culturale, non hanno uno specifico periodo di sviluppo, ma sono teorie ancora utilizzate oggi. La Magic Bullet Theory guarda al prodotto culturale come strumento dell'azione comunicativa e se ne analizzano gli effetti, non uniformi, ma selettivi e variano a seconda delle condizioni sociali, economiche e culturali dei soggetti. Interessa comprendere se la comunicazione persuasiva ha effetto.

Termini di propensione all'acquisto (comunicazione sui giocattoli). La Scuola di Francoforte afferma che il prodotto culturale viene visto come il luogo di sedimentazione, di espressione, di diffusione e di rafforzamento di conoscenze, credenze, atteggiamenti, valori, norme proprie di una società o di una porzione. Si parla in questo caso di oggetto culturale e quindi dell'approccio critico della Scuola di Francoforte.

Se l'oggetto culturale viene trasformato in merce accade una perdita di valore dell'oggetto stesso. Un oggetto culturale è un significato condiviso incorporato in una forma materiale o immateriale e la materialità dell'oggetto è meno significativa del significato condiviso che tutti associamo a quell'oggetto materiale. L'oggetto culturale è qualcosa che richiama a tutti la stessa situazione. È un'espressione significativa che è udibile, visibile, tangibile o articolata e che racconta.

una storia. È un prodotto dell'uomo, un oggetto diventa culturale quando entra nel discorso umano e diventa fatto pubblico. Per la semiotica il prodotto culturale viene analizzato come testo che permette la comunicazione a distanza di spazio e tempo tra due soggetti attraverso convenzioni espressive e linguaggi. Il prodotto culturale è il senso comune e condiviso di un'analisi semiotica. Il prodotto culturale, secondo l'approccio degli audience studies, viene visto come strumento di azione sociale svincolata, anche solo parzialmente, dai contenuti e dalle forme. Al centro dell'analisi c'è il pubblico, la ricezione e la reazione del ricevente stesso. Queste due ultime teorie sono associate allo sviluppo dei Culture Studies, cioè un filone di studio e di analisi del prodotto culturale che si forma a partire dagli anni Sessanta a Birmingham. I Culture Studies, per la prima volta, introducono in maniera chiara la differenza tra oggetto e

prodotto culturale. La Scuola di Francoforte vede negativamente la mercificazione della cultura, ma i Culture Studies si domandano se realmente la dimensione commerciale della cultura sia negativa. Questo filone di studio analizza il prodotto culturale come se fosse un'organizzazione, un'industria e guarda anche ai prodotti della cultura popolare. Sono i primi ad introdurre l'idea che la cultura non sia solo quella alta, ma anche quella della massa. Si può parlare di prodotto, quindi di qualcosa che può essere commercializzato, senza rendere il prodotto meno di valore rispetto all'oggetto culturale di cui parlava la Scuola di Francoforte. Un prodotto culturale è costruito nel tempo grazie alla presenza di un sistema produttivo, un insieme di istituzioni e differenti attori sociali. Tipico dei prodotto culturali è il generalismo che li porta a rivolgersi a categorie differenziate di pubblico.

Quelle forme di discorso grafico-verbale, visivo, audiovisivo, multimediale, prodotte, diffuse e fruite grazie ad apparati istituzionali e tecnologici della società industriale e post industriale. Tale definizione viene data a inizio degli anni Duemila e si occupa perlopiù della produzione mediale, cioè della produzione di contenuti veicolata e distribuita attraverso i media. Non è sbagliata, ma figlia del suo tempo. Tralascia una parte della produzione che noi oggi definiamo come culturale. È anche figlia dell'attenzione che l'Accademia Italiana, negli anni Ottanta e Novanta, dedicò allo studio del messaggio comunicativo dei media. È l'effetto dell'attenzione ad alcune specifiche industrie culturali, come cinema, radio, stampa, televisione e solo in minima della parte digitalizzazione di Internet. La seconda definizione di prodotto culturale, più completa, afferma che si tratta della richiesta del mercato della

beni culturali, ovvero dei prodotti che hanno un valore simbolico e che vengono scambiati e consumati nella società. Secondo Bourdieu, i beni simbolici sono quelli che conferiscono prestigio e status sociale a chi li possiede o li consuma. Bourdieu sostiene che l'economia dei beni simbolici è un sistema di scambio che si basa sulla distinzione sociale. I beni simbolici, come ad esempio opere d'arte, libri, musica, film, teatro, moda, sono prodotti culturali che vengono creati e distribuiti nel mercato. Questi beni hanno un valore simbolico che va oltre il loro valore di scambio economico. Secondo Bourdieu, l'economia dei beni simbolici è un campo di lotta per il potere simbolico. Le persone competono per ottenere e consumare i beni simbolici che conferiscono loro prestigio e status sociale. Questa competizione avviene attraverso la partecipazione a pratiche culturali, come ad esempio l'acquisto di opere d'arte, la frequentazione di eventi culturali, la lettura di libri di autori famosi. Bourdieu sostiene che l'economia dei beni simbolici è un sistema di dominio culturale, in cui le élite culturali detengono il potere di definire cosa è considerato "alto" o "basso" nella cultura. Questo potere culturale influisce sulle preferenze e sui gusti delle persone, determinando quali beni simbolici sono considerati desiderabili e quali sono considerati meno importanti. In conclusione, l'economia dei beni simbolici è un sistema di scambio e di lotta per il potere simbolico, in cui i beni culturali hanno un valore simbolico che va oltre il loro valore di scambio economico. Questo sistema influisce sulle preferenze e sui gusti delle persone, determinando quali beni simbolici sono considerati desiderabili e quali sono considerati meno importanti.prodotti culturali. Il capitale economico non assicura profitti economici se non legandosi ad una capitale simbolico, quindi se un prodotto non ha valore simbolico, non ne possiede uno economico. Il bene simbolico è un bene ad alto contenuto culturale. Al centro della sociologia della cultura non si possono non mettere le merci, perché qualunque merce ha un valore simbolico. Nell'analisi di Bourdieu, che deve molto all'antropologia, si nota come il valore simbolico ed economico di una merce siano intrinsechi, quindi si autoalimentano. Il capitale è per Bourdieu un concetto fondamentale, l'insieme di mezzi e risorse che caratterizzano, definiscono e abilitano socialmente gli agenti sociali. Bourdieu distingue tre tipologie di capitali: economico (dipende dal reddito e dal tipo di professione dell'individuo), culturale (insieme delle risorse culturali formate con gli studi o trasmesse dalla famiglia di appartenenza) e sociale (quantità e

Qualità delle relazioni sociali di un individuo). Le differenti combinazioni dei tre tipi di capitale determinano l'identità sociale dell'individuo. Egli parla del gusto inteso come una sorta di specchio della collettività, quindi quello che noi amiamo e non amiamo è solo in parte una scelta individuale e solo in parte è una scelta legata a questioni scientifiche. Lo scrittore afferma che questo è l'esito di alcune scelte di gusto che hanno anche a che vedere con la nostra appartenenza di classe/culturale. La posizione esprime un determinato grado di potere e le nostre preferenze in termini di gusto. La nostra posizione autoalimenta le nostre scelte.

Spiega perché la moda è un'industria culturale sui generis. La moda, soprattutto italiana, è un'industria culturale perché regola il rapporto tra contenuto materiale ed immateriale e nel momento in cui immette sul mercato un prodotto suggerisce un modello di comportamento.

Il successo della moda italiana è legato all'insieme di competenze, disaper fare, di capitale culturale (Bourdieu) che è specifico solo della moda italiana e che non può essere trovato altrove, che è quel capitale proprio di trasformazione delle competenze artigianali in competenze industriali e che rende la moda italiana riconoscibile in Italia e all'estero come un'industria culturale (ad esempio, in Toscana è collocata l'unica impresa al mondo che produce il fili piuma). La caratteristica della moda italiana è quella di essere industriale e questa industrialità è clusterizzata. Si può affermare come la moda sia un'industria culturale sui generis, infatti il bagaglio di competenze si deve confrontare con il business, perché detiene una parte di progettazione creativa e di design, quindi il valore deriva dalla dimensione immateriale, ma si basa anche sui processi produttivi labor intensive e hato di abilità artigianali. La moda è un'industria culturale sui generis perché nella filiera è ancora presente una componente rilevante di produzione materiale dei beni finali che incorpora molte abilità artigianali.
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Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilaria000 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Produzione Culturale e Moda e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Mazzucotelli Silvia.
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