vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Inammissibilità
È la terza specie di invalidità e riguarda gli atti qualificabili come domande (a volte ricorre anche per le prove).
N.B. Non si deve confondere l'ammissibilità delle prove con l'inammissibilità specie di invalidità. Le prove prima di essere acquisite devono essere ammesse ai sensi degli artt. 190 e 190bis ma questo giudizio di ammissione nulla ha che vedere con la fattispecie di invalidità.
Anche in tema di inammissibilità vige il principio di tassatività, per cui solo la legge o espressamente o in modo implicito ma inequivocabile qualifica una domanda inammissibile; rimane il fatto che solo per le nullità vi è una previsione esplicita, l'art. 177.
A volte essa si presenta come caratterizzazione stessa della domanda per cui troviamo una qualificazione espressa di inammissibilità, altre volte compare sul piano normativo come una qualificazione o come il contenuto di un.
provvedimento giurisdizionale che dichiara inammissibile la domanda. Pensiamo alle liste testimoniali che sono inammissibili quando non indichino le circostanze su cui dovrà vertere l'esame (art. 468). Altre volte invece la norma si preoccupa di riferirla alla pronuncia giurisdizionale: ad esempio l'impugnazione viene indicata inammissibile dal giudice ad quem e infatti l'art. 591 ci dice che il giudice pronuncia l'inammissibilità dell'impugnazione quando è priva di alcuni requisiti quali i motivi, è presentata dopo la scadenza dei termini, è presentata presso un giudice diverso da quello competente a ricevere l'impugnazione, ecc. L'inammissibilità quindi si collega all'inosservanza di requisiti formali: di volta in volta, in virtù di quella specifica domanda, è la legge che si preoccupa di stabilire i requisiti formali di legittimazione; non c'è una regola generale.
inoltre che l'inammissibilità è insanabile e perciò può essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento. Questo è vero fino ad un certo punto e in particolare è vero se ci riferiamo all'impugnazione: pensiamo al giudizio d'appello avverso la sentenza di primo grado dichiarato inammissibile perché non si indicano i motivi di gravame o perché non indica il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Ciò nonostante il giudice d'appello non dichiara l'inammissibilità e anzi riforma la sentenza di primo grado. Il p.m. fa ricorso in cassazione denunciando l'inosservanza di norme processuali, prevista a pena di inammissibilità ex art. 606 lett. c) (anche per l'inammissibilità vi è quindi uno specifico motivo di ricorso). Quel vizio quindi è insanabile poiché può essere rilevato anche dalla Corte di Cassazione: tant'è chesequesta dovesse dichiarare l'inammissibilità dell'appello erroneamente non dichiarata dal giudice di secondo grado, potrà poi disporre l'esecuzione della sentenza di primo grado, in quanto c'è un'inammissibilità dell'appello che fa sì che la sentenza appellata diventi irrevocabile. L'inammissibilità riguarda tutte le domande processuali. Pensiamo alla ricusazione del giudice: non è pensabile che l'inammissibilità delle richiesta di ricusazione possa essere rilevata nel procedimento principale dalla Corte di Cassazione all'esito del processo; l'insanabilità va vista nell'ottica verticale del procedimento a cui si riferisce quella domanda. Il procedimento di ricusazione è un procedimento incidentale per cui se essa non viene dichiarata inammissibile dal giudice competente a decidere in prima battuta tutt'al più si può impugnare il.provvedimento che ha deciso sull'aricusazione. Nel procedimento principale invece non sarà più possibile ritornare sulla questione. Quindi nei procedimenti incidentali l'inammissibilità va rilevata fino all'ultima fase di impugnazione di quello specifico procedimento incidentale. L'insanabilità giunge fino a quando non si giunge alla pronuncia definitiva del procedimento incidentale cui si riferisce l'atto inammissibile. Se l'inammissibilità riguarda il procedimento principale è chiaro che l'insanabilità è in senso stretto e potrà essere rilevata dalla Corte di Cassazione. L'inammissibilità riguarda sì le domande di parte ma può riguardare anche il giudice quando si fa parte: è il caso dei conflitti di giurisdizione e competenza. L'ordinanza con cui il giudice solleva il conflitto si atteggia come richiesta alla Corte di Cassazione la quale può essere
La decadenza è una sanzione e non una specie di invalidità. Consiste nella perdita del potere di compiere un atto a seguito della scadenza di un termine cui si collega l'inerezia della parte legittimata a compiere l'atto. Perché ci sia decadenza occorrono quindi due fattori:
- decorso del tempo
- inerzia della parte
È irrilevante la conoscenza del termine da parte della parte: esso va comunque rispettato poiché l'onere della parte è quello di prenderne conoscenza.
I termini decadenziali sono termini perentori. Inoltre, la decadenza secondo l'art. 173 è ravvisabile solo nei casi espressamente previsti dalla legge operando il principio di tassatività. Il che non significa che la legge debba sempre indicare un termine a pena di decadenza; essa a volte non si preoccupa di indicare la perdita del potere ma usa un meccanismo di qualificazione diverso: qualifica cioè l'atto compiuto dopo la scadenza dei termini.
come inammissibile e, in tal modo, si capisce in modo inequivocabile che si tratta di decadenza (p.es. impugnazione, costituzione partecivile, ecc). Ci sono altri casi in cui alla decadenza non consegue l'inammissibilità dell'atto tardivo: se questo è una domanda la legge può dire o che la parte decade dal potere di compiere l'atto (e in tal caso sarà inammissibile) ovvero che se la domanda è inammissibile quel termine è decadenziale ma deve trattarsi di domande. Se ci troviamo di fronte ad un diverso atto probatorio questo non si potrà indicare come inammissibile perciò la legge si preoccupa di stabilire che gli atti sono inutilizzabili se compiuti dopo la scadenza del termine, il che ci porta a pensare si tratti di un termine perentorio a pena dei decadenza. Pensiamo ad esempio all'art. 407 comma 3 e all'art. 415bis: il primo dice che gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini di durata.Massima delle indagini sono inutilizzabili; non c'è dubbio che siano compiuti a pena di decadenza dal potere di svolgerli. Per quanto riguarda il 415bis una volta concluse le indagini il p.m. prima di esercitare l'azione penale, ossia di formulare la richiesta di rinvio a giudizio, deve notificare all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini. L'indagato, entro 20 giorni dalla notificazione, può fare richieste varie al p.m. tra cui quella di svolgere ulteriori indagini; entro i 30 giorni successivi il p.m. può svolgere quelle indagini, ma non è obbligato a farlo (unico atto che è obbligato a svolgere è l'interrogatorio). Gli atti compiuti dopo la scadenza del termine sono inutilizzabili per cui si tratta di termini perentori a pena di decadenza. Non c'è mai nullità dell'atto tardivo perché la nullità è configurabile solo quando si violano i termini dilatori.
Tutt’al più se l’atto tardivo segue un termine perentorio potrà essere qualificato come inammissibile o inutilizzabile. L’inammissibilità o inutilizzabilità per scadenza dei termini e la decadenza sono due facce della stessa medaglia: quest’ultima si proietta sul potere di compiere l’atto e ne individua la perdita, l’inammissibilità o inutilizzabilità si proietta sull’atto tardivo configurandolo come tale. È scorretto dire che tutti i termini perentori sono a pena di decadenza: è vero che i termini decadenziali sono perentori ma ci sono anche termini perentori diversi da quelli decadenziali. I termini perentori si distinguono infatti a pena di decadenza e a pena di perdita di efficacia: quindi tutti i termini decadenziali sono sicuramente perentori ma non è vero il contrario. Pensiamo alle misure cautelari: notificato o eseguito un provvedimento cautelare occorre interrogare ildestinatario (interrogatorio di garanzia) entro 5 giorni per la custodia cautelare in carcere o entro 10 giorni per le altre misure cautelari personali; secondo l'art. 302 se non si osservano i termini l'ordinanza che dispone la misura cautelare perde efficacia.
N.B. i termini ordinatori invece pur essendo acceleratori non comportano alcuna sanzione processuale.
Altro esempio è quello dei termini massimi di custodia cautelare: l'art. 303 non determina alcuna perdita della possibilità di compiere l'atto ma produce la perdita di efficacia della misura cautelare.
Il settore interessante in cui ci si è chiesti di che tipo di termini si tratta è quello del giudizio di riesame. Si tratta di un mezzo di impugnazione delle misure cautelari personali coercitive. Giunta la richiesta ad opera del difensore nella cancelleria del Tribunale del Riesame si apre un procedimento particolare: a cura del presidente del tribunale viene dato avviso
all'autorità procedente (giudice o p.m.) affinché trasmetta entro 5 giorni gli atti di cui all'art. 291 comma 1 ossia quelli che il p.m. ha presentato al giudice a corredo della richiesta di misura cautelare nonché quelli favorevoli all'indagato. Dal momento della ricezione, decorrono 10 giorni entro i quali il tribunale si deve pronunciare sull'ammissibilità del provvedimento cautelare. Questi due termini sono previsti a pena di perdita di efficacia secondo l'art. 309 comma 2. La giurisprudenza si è chiesta se sono previsti a pena di perdita di efficacia o si tratta solo di termini decadenziali in quanto la norma ci dice solo che perde efficacia il provvedimento impugnato. L'imputato deve sapere entro un termine complessivo massimo di 15 giorni se quel provvedimento è legittimo ed è fondato. Perdendo efficacia l'ordinanza restrittiva il soggetto dovrebbe essere rimesso in libertà. Ci si èchiesti però se il tribunale perde anche il potere di decidere trascorsi queitermini. Nel 1998 le Sezioni Unite sentenza ric. Schillaci hanno stabilito che quel