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L'APPELLO
L'appello costituisce il secondo grado di giudizio ed è il più ampio mezzo di impugnazione ordinario. Si definisce come il mezzo attraverso cui si chiede al giudice dell'impugnazione un riesame della questione precedentemente analizzata da altro giudice e ha ad oggetto la riforma o la conferma del precedente provvedimento. Alla base vi è il presupposto della sussistenza o meno del pregiudizio lamentato dall'appellante.
Il giudizio d'appello può essere operato:
- Dalla Corte d'Appello, contro le sentenze del tribunale, del G.U.P. per le sentenze di non luogo a procedere, e del G.I.P. per i reati di competenza del tribunale.
- Dalla Corte d'Assise d'Appello, contro le sentenze della Corte d'Assise e del GIP per i reati di competenza della Corte d'Assise.
Non a tutti i provvedimenti va comunque assicurato il giudizio di Appello dato che a parere della Corte Costituzionale, l'appello non ha tutela.
costituzionale adifferenza del ricorso per Cassazione. Quanto all'appellabilità oggettiva, per cui sono appellabili le sentenze di condanna e di proscioglimento, eccezion fatta per il giudizio abbreviato e dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e la sentenza di proscioglimento emessa prima del dibattito. E inoltre, ex art. 593 cpp, modificato ora con legge 46/2006, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, contro le sentenze di proscioglimento perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, e contro le sentenze di condanna con pena dell'ammenda, o di proscioglimento per non luogo a procedere su contravvenzioni per cui è prevista la sola ammenda o pena alternativa. Quanto all'appellabilità soggettiva, sono legittimati a proporre appello il P.M. e l'imputato. La legge n. 46/2006 ha modificato però le disposizioni in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.proscioglimento: I principi ispiratori dellariforma sono desumibili dall’esame dei quattro punti nodali della nuovanormativa:- L’eliminazione del potere, in capo al pubblico ministero, di impugnare lesentenze di proscioglimento;
- L’obbligo di richiedere l’archiviazione, quando la Cassazione abbia confermatol’inesistenza di gravi indizi in sede cautelare;
- La modifica dell’art. 606 c.p.p.;
- Il principio per cui la condanna deve fondarsi su una prova di colpevolezza chesuperi ogni ragionevole dubbio.
Maniera particolarmente pregnante (dall'angloamericano beyond any reasonable doubt, ossia "oltre ogni ragionevole dubbio"). Viene inoltre in rilievo il principio secondo il quale la prova si forma in contraddittorio avanti al giudice che deve assumere una decisione, e detta prova riveste un valore tale da non essere superabile mediante una mera rilettura delle carte, cui è corollario armonico l'eccezione inerente le nuove prove, su cui è fondabile l'appello.
Quanto all'aspetto strettamente procedurale, le innovazioni principali rispetto al passato si possono così sintetizzare:
- L'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le sentenze di proscioglimento soltanto nelle "ipotesi di cui all'articolo 603, comma 2, se la nuova prova è decisiva".
- Qualora il giudice, in via preliminare, non disponga la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale dichiara con ordinanza l'inammissibilità dell'appello.
Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento le parti possono proporre ricorso per cassazione anche contro la sentenza di primo grado;
il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza;
il pubblico ministero è obbligato, al termine delle indagini, a formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine all'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza che giustificano l'applicazione di una misura di custodia cautelare e, successivamente, non sono stati acquisiti ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini.
Sulla base di quanto esposto brevemente in precedenza, si pone il problema di quando il p.m. potrà appellare una sentenza di proscioglimento. A proposito di questo, il legislatore ha ricordato brevemente le definizioni
di prova "nuova" e prova "decisiva", laddove la prima richiama la distinzione tra prova "sconosciuta in precedenza" e prova "inesistente in precedenza". La formula legislativa adottata propende per la limitazione alle prove che nascano successivamente alla sentenza di primo grado: diversamente avrebbero aggiunto la locuzione "emersa successivamente". Quanto poi al connotato della "decisività", ha affermato che esso è stato mutuato direttamente dalle formule della revisione, e quindi che si possa ravvisare qualora, in presenza di detta prova, il giudizio di primo grado avrebbe potuto essere svolto diversamente ed il giudice di primo grado di essa avrebbe senza dubbio tenuto conto. Ancora, quando la Corte d'appello potrà dichiarare inammissibile un appello del p.m., presentato sullascorta della norma eccezionale? L'interpretazione autentica deve propendere per una pronunzia preliminare, maAdottata comunque nel contraddittorio delle parti, che verterà quindi sui criteri della novità e della decisività della prova. Infine, laddove la Corte dovesse dichiarare inammissibile l'appello del Pubblico Ministero, questo non si convertirà automaticamente in ricorso in Cassazione, ma ambedue le parti saranno rimesse in termini per adire la Suprema Corte sia contro l'ordinanza della Corte d'Appello che contro la sentenza di primo grado.
Appello incidentale: era stato eliminato dalla Sent. Corte Cost. 177/1971, ma è stato reinserito dall'art. 595 superando le censure precedentemente individuate. Anzitutto perché si estende a tutte le parti la possibilità di proporlo e in secondo luogo perché perde efficacia se si rinuncia all'appello principale. Il nuovo art. 595 prevede che la parte che non ha proposto impugnazione può proporre appello principale entro 15 giorni dalla ricevuta comunicazione.
notificazione ex art. 584. Se utilizzato dal P.M., ha come effetto principale di non fare operare più la reformatio in peius e permette al giudice di comportarsi come se fosse in presenza di un appello proposto dal P.M. La sentenza 171 motiva la violazione rilevando che l'appello incidentale formulato come da art 515 turba l'equilibrio del contraddittorio. Ma non solo. Veniva violato l'art. 112 Cost. perché il potere di impugnazione è un atto dovuto che si concreta nella richiesta al giudice di emettere una diversa decisione. Ciò non permette al P.M. di lasciar scadere i termini per impugnare, manifestando implicitamente il convincimento che l'esercizio dell'azione penale non si debba esprimere nell'appello ma fuori dai termini ordinari stabiliti dal codice per l'appello principale, contenendo l'iniziativa dell'imputato "ostacolando" l'esercizio del suo diritto di difesa. Su questo argomento unaLa sentenza della Corte Costituzionale, la n. 280/1995, ha ritenuto inaccoglibile la tesi per cui al P.M. spetta solo il potere di proporre l'appello principale e non anche quello incidentale, perché il potere di appello del P.M. non può riportarsi all'obbligo di esercitare l'azione penale come se di esso fosse "proiezione necessaria ed ineludibile".
Irrisolto invece, il problema dell'ambito di applicazione dell'appello incidentale, perché, si è detto, non è il caso di discostarsi dal consolidato filone interpretativo, trattandosi di un istituto non nuovo: cioè negando al P.M. la possibilità di impugnare punti diversi da quelli investiti dall'appello principale.
In ogni caso la nuova formulazione non cambia che l'appello incidentale è uno strumento affidato al P.M. per indurre l'imputato a non presentare appello o a rinunciarvi per non vedersi riformata in peggio la sua posizione.
Tutto per evitare appelli temerari e per generare remore in chi ha sicure ragioni per proporre appello, visto che non avrà la certezza che questa impugnazione prevarrà sull'eventuale appello incidentale.
Poteri del giudice d'appello: l'art. 597, 1° comma stabilisce che il giudice d'appello può giudicare solo limitatamente ai punti della decisione sui quali si riferiscono i motivi proposti. Si tratta dell'effetto devolutivo, o meglio, parzialmente devolutivo. La cognizione del giudice è quindi circoscritta a dei limiti.
Bisogna partire dal concetto di "punto" e dal concetto di "capo". "Capo" indica l'intera decisione relativa ad un imputato o imputazione. "Punto" indica ogni questione, che nella sentenza è trattata e decisa con autonoma statuizione. Su ogni punto, possono vertere più "questioni", cioè le alternative decisione possibili su uno stesso punto.
Tra le quali il giudice di primo grado ne ha seguita una: solo i punti limitano la cognizione del giudice d'appello, perché devono ritenersi devolute anche le questioni "implicite" comprese nel punto. Così, se la sentenza di primo grado è impugnata sul punto "sussistenza della responsabilità penale" il giudice d'appello è investito di tutte le questioni che lo riguardano, quindi eventuale concorso di cause, di persone, etc. Al principio in esame sono però poste delle deroghe: anzitutto ritenere nella sua cognizione, punti non espressamente impugnati ma in connessione logico-giuridica con quelli che lo sono. In secondo luogo, la devoluzione ope legis, che opera, cioè, a prescindere da specifiche iniziative di chi ha proposto impugnazione. Ovvero questioni che vengono affidate alla rilevazione d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento o del processo. Inoltre il giudice d'appello ex art. 597,5° comma può applicare la