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I PRIMI DOCUMENTI DEL VOLGARE
L'esordio del volgare si ha con i francesi con i giuramenti di Strasburgo (842) > ciò dimostra come il volgare comincia ad essere
scritto intenzionalmente in circostanze che esigono l'uso di una “formula” la quale deve essere intesa in maniera univoca per non dar
luogo a equivoci (ciò conferma che il latino era ormai sentito come una lingua morta) in italia la situazione era più arretrata per una
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serie di motivi: era viva una cultura latina a causa della forte influenza da parte della cultura ecclesiastica; la situazione di
frammentazione politica, e anche culturale, impediva la nascita di centri culturali attivi; il maggior interesse per cose pratiche,
tecniche e mercantili a discapito di quelle letterarie.
Esempi: indovinello veronese
– è un primissimo accenno di volgare in italia da parte di un autore anonimo, addirittura antecedente ai giuramenti. Si trova
all'interno di un codice con testi liturgici conservato presso la Biblioteca Capitolare di Verona e attraverso un'analisi
linguistica, si è localizzato il testo nell'area veronese. Bisogna dire che però in origine il codice fu realizzato in Spagna
all'inizio dell'VIII sec/inizi IX sec, approdato già in epoca antica a Venezia dopo varie peregrinazioni. Questo ha portato a
pensare che probabilmente è stato realizzato non da una singola mano.
Si tratta di un indovinello scherzoso, un gioco di parole legati a quel “contesto” dell'attività di scrittura, un indovinello si
diceva, che trova origini sia nella tradizione popolare e sia nella tradizione latina medievale coi cosiddetti aenigmata cioè
enigmi, quindi probabilmente ha origini colte. Si trova non in una specifica pagina come si può pensare ma al margine
superiore di una di esse in scrittura corsiva, il che fa pensare che fosse una di quelle note di copista tipiche durante quel
lavoro di ricopiatura di un testo all'interno degli scriptoria. Probabilmente allora l'autore era un copista appunto, o un
chierico che si rivolge con questo indovinello ai suoi confratelli o compagni di studi
placito di Capua (960)
– il placito era un documento che attestava una sentenza legale. Siamo quindi in ambito amministrativo, giudiziario, nella
quale era fortemente utilizzata la lingua latina che garantiva quel senso di solennità e prestigio all'ambito in sé, dato il
valore posseduto da questa importante lingua. I notai sono i primi a conoscere un primo “mescolamento” tra latino e
volgare, in quanto per motivi di immediatezza di comprensione o facilità di comprensione da parte dei loro clienti che erano
per la maggior parte ignoranti, dovevano utilizzare di conseguenza un linguaggio appropriato. Si intravedono quindi degli
atti notarili o da parte di giudici che nonostante ancora un forte predisposizione al latino, inseriscono dei volgarismi che
restano ancora però marginali. Qui, chi ha scritto si è reso perfettamente conto di utilizzare due lingue diverse, il latino
notarile e il volgare parlato c'è un uso cosciente nell'utilizzo di due lingue diverse (a differenza invece dell'indovinello), e
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infatti vengono utilizzati con scopi e funzioni diverse: il latino viene utilizzato nella parte ufficiale dell'atto mentre il volgare
per riportare delle formule testimoniali pronunciate in tale modo durante il dibattito. Sceglie di usare una lingua
comprensibile a tutti, compresi coloro che erano estranei alla causa come se il monastero avesse interesse a diffondere la
notizia del processo. Questo accade a Capua ad esempio, come poi in questo caso, o anche a Benevento, in quanto
proprio lì c'erano dei principati longobardi, i quali si sentivano ereditari di quella cultura latina a tal punto che la
valorizzarono e la “difesero” a mo' di patrimonio culturale. Questo ad esempio aveva portato il monastero di Montecassino
ad avviare un programma che valorizzava quel patrimonio letterario antico.
Qui appunto siamo di fronte ad una sentenza che deliberò un giudice di nome Arechisi, per conto dei due contendenti
Rodelgrimo e l'abate di Montecassino, i quali dovevano pronunciarla ripetendola fedelmente. Il contesto era il seguente: in
quel periodo il monastero, dopo la distruzione da parte dei saraceni nell'883, fu derubato di molti suoi beni da parte di
feudatari circostanti, per cui ora il monastero rivendicava il loro legittimo possesso. La formula del placito capuano non è
isolata, infatti si colloca in una serie di quelli che sono chiamati placiti campani con riferimento alla regione di provenienza
cioè la campania ci sono ad esempio tre carte notarili analoghe risalenti al 963 nella quale si trovano formule molto
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simili
sardegna
– anche qui sono attestati documenti che testimoniano un primo accenno di volgare, come ad esempio un privilegio emesso
dal giudice di Torres nella regione del Logudoro risalente al 108085 a favore di mercanti pisani su richiesta del vescovo di
Pisa, trasmessa a noi, non in originale ma attraverso una tarda copia del '400; senò anche i condaghi (XIIXIII secolo)
ovvero atti di donazione a favore di chiese o monasteri, poi il termine passò ad indicare il registro apposito nella quale
erano inseriti questi atti
postilla amiatina e testimonianze di Travale
– 1. risale al 1087 ed è un atto notarile che contiene una battuta scherzosa (>una postilla è una forma di testo aggiunto al
testo vero e proprio) che il notaio compie nei confronti del suo cliente con la quale molto probabilmente ha un certo
rapporto di confidenza. Costoro sono un certo Miciarello e sua moglie, i quali voglio effettuare una donazione all'abbazia di
San Salvatore presso il monte Amiata.
Il notaio medievale ebbe spesso l'abitudine di inserire nelle scritture della sua professione testi diversi, con una certa