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GLOSSARIO

Diritto ecclesiastico : insieme delle norme dei diversi rami di un ordinamento che

disciplinano i rapporti tra uno Stato e le confessioni religiose presenti nel suo territorio

ƒ Diritto ecclesiastico italiano : complesso delle norme di diversa origine e valore

contenute pressoché in tutti i settori dell’ordinamento italiano per disciplinare i rapporti

tra la Repubblica Italiana e le confessioni religiose nel suo territorio

ƒ Libertà religiosa : riconoscimento formale e sostanziale da parte di un ordinamento

statale del diritto dei cittadini di professare liberamente una fede religiosa, di aderire ad

una confessione, di eseguirne i riti, di propagandarne i contenuti con ogni mezzo di

comunicazione, ovvero di non aderire ad alcuna forma di culto

ƒ Norme unilaterali interne : leggi ed atti aventi forza di legge emanate sovranamente

ed uni- lateralmente da uno Stato, con effetto imperativo sui soggetti al suo ordinamento

ƒ Atti bilaterali : disposizioni che entrano a far parte dell’ordinamento statale tramite

leggi di esecuzione e leggi di approvazione, attraverso cui lo Stato dà efficacia agli

impegni che ha assunto verso le singole confessioni mediante accordi bilaterali con i loro

rappresentanti

ƒ Diritto canonico : ordinamento giuridico interno e sovrano della Chiesa Cattolica, che

regola i rapporti tra i suoi fedeli e in particolare lo status dei consacrati

Dall’unionismo al dualismo cristiano

L’unionismo precristiano.

Religione e Stato, dagli albori dell’umanità, furono sempre considerati un tutt’uno: il

sovrano rivestiva contestualmente i ruoli di capo civile, militare e religioso ed era spesso

divinizzato; il culto normalmente identificava la nazione e lo Stato era monoconfessionale.

Si alternavano tolleranza e persecuzioni nei confronti degli eterodossi, visti come un

pericolo per la religione dello Stato e per l’ordinamento tradizionale.

L’ unione di Stato e culto, dunque, solitamente identitari dei singoli popoli (religione

nazionale o etnica) , era la regola, peraltro mai contraddetta: nemmeno gli Ebrei,

monoteisti, si allontanarono da questo schema, poiché il modello di Stato cui tendevano

con l’avvento del Messia sarebbe risultato uno Stato teocratico, con la completa

confusione di sacro e profano, anzi – più propriamente – con la sparizione del non sacro

assorbito dall’unico e definitivo ordinamento divino.

Esempi di unionismo sono diffusissimi, nell’ambito dell’universale politeismo delle antiche

civiltà: dall’Egitto, in cui il Faraone era un dio a sua volta e ogni azione umana era

sottoposta alle regole di una specifica divinità, ai Sumeri, agli Assiro-babilonesi, sempre

con la prevalenza del divino incarnato dal sovrano, custode e tutore del suo popolo che,

sottomesso al re, era contemporaneamente sottomesso al volere divino.

Nella Persia e tra le popolazioni iraniche la religione più diffusa fu lo zoroastrismo , con il

sostegno delle dinastie degli Achemenidi e dei Sasanidi; questa religione, monotesista-

dualista, tuttora vivente, sebbene avesse come seguaci anche i Sovrani, non impediva

l’unionismo di sacro e profano, poiché lo Shah – semidivino – era il curatore e l’interprete

del culto, cui formalmente era sottomesso, mentre i sudditi gli dovevano l’ossequio e

l’obbedienza.

I Greci, in qualche modo, si distinsero dal normale unionismo,

dando luogo a forme di morale diversificate a seconda delle

vivaci correnti filosofiche, in cui l’elemento divino e mitologico si

confrontava con un forte senso di fiducia nell’uomo, nella

ragione e nelle loro capacità, riflessesi in istituzioni politiche

progressivamente lontane dalla monarchia a favore della

democrazia, sebbene formalmente ossequiosa delle divinità

tradizionali.

Forti tratti di nazionalismo permeavano i culti politeisti, che

rappresentavano l’identità della nazione e tendevano a

soppiantare le divinità dei popoli debellati e conquistati.

I medesimi concetti di unionismo si ritrovano anche nelle

civiltà precolombiane delle Americhe, massime tra Aztechi,

Maya ed Inca, dove lo Stato era concepito come

manifestazione del volere divino, cui tutto doveva essere

sacrificato - anche la vita umana - per ripagare gli dèi. Il

sovrano inca era detto Intip Churin , figlio del Sole, per la sua

origine divina, fonte del suo assoluto potere.

La religio a Roma

I Romani veneravano inizialmente le divinità naturali, quelle riconosciute

nella forza della natura e di pregressa tradizione etrusca; la loro concezione

religiosa portava all’intervento del sacro in ogni evento pubblico (si pensi agli

arùspici), il sommo sacerdote, il Pontifex Maximus1, era il ponte tra sacro e

profano, traiettava i cives verso il divino.

Si trattava di una religione sui generis, ben poco speculativa o mistica, ma,

com’era nel carattere molto pratico dei Romani, connessa istituzionalmente

alla communitas 2 politica: il culto per gli dei era anzitutto un dovere morale di

ogni buon cives, che attraverso il rigido rispetto dell’immutabile rituale,

dimostrava di avere la pietas , che con il rispetto per il sacro e la corretta

ritualità concorreva alla pax deorum per il bene della città, della famiglia e

dell'individuo.

I Romani distinguevano l’aspetto domestico della religione, dominato dal pater

familias che officiava i riti e coinvolgeva tutta la famiglia, inclusi gli schiavi, con l’ossequio

per i protettori della casa (i Lari e i Penati); anche in famiglia il culto aveva una

dimensione comunitaria e non perseguiva una fede introspettiva individuale; il sentimento

religioso, coincideva con il rispetto letterale delle prescrizioni rituali, che era fondamentale,

poiché una trasgressione formale si riverberava nei confronti dell’intera comunità, che vi

doveva porre rimedio collettivo.

L’uomo pius in tal senso, per il resto, aveva la massima liberà individuale di credere o non

credere agli dèi, era ammesso anche il culto personale per divinità straniere, nell’àmbito

del tipico sincretismo romano, vocato ad una certa tolleranza per ogni credenza e

all’incorporazione nel pantheon capitolino delle divinità dei popoli a mano a mano

conquistati.

La religione pubblica, invece, era quelle dei Quiriti, con le regole primigenie stabilite da

Numa Pompilio, secondo re di Roma, fonte immutabile dei mores, i costumi romani, il

substrato etico della religione nazionale, cui ogni norma successiva si sarebbe dovuta

adattare per il mantenimento dell’originario assetto pubblico-religioso.

Da ciò discendeva l’enorme rilevanza della religione pubblica, intesa come romanitas pura,

che – come già detto – comportava che nessuna decisione venisse assunta senza la previa

interrogazione degli dèi nelle forme rituali dovute per evitare di irritare la divinità

e le sue ritorsioni nei confronti della collettività romana .

Seppur tendenzialmente tollerante, la società romana diveniva feroce repressore di tutte

le forme di culto immorali, cioè contrarie ai mores stabiliti; era quindi impensabile ed

inammissibile, per un romano, che si rifiutasse l’omaggio pubblico agli dèi capitolini,

concepito come dovere del buon cives: questa la ragione giuridica per cui i cristiani

sarebbero stati perseguitati e condannati, poiché il loro diniego di pubblica venerazione

anche solo formale degli dèi dello Stato poteva produrre danno alla res publica; i cristiani

sarebbero stati considerati empi ed immorali in senso sia religioso, sia politico, che per i

romani non si differenziavano, ma erano un unicum .

Dopo l’èra repubblicana e sotto gli influssi orientali, la divinizzazione dell’Imperatore –

contemporaneamente Pontifex Maximus - produsse un’altra causa di incompatibilità del

cristianesimo con Roma: i cristiani, infatti, che non volevano sacrificare a Cesare, erano

penalmente inquadrati come ribelli e blasfemi non credenti nella divinità imperiale, ossia

come negatori dell’ordinamento romano.

Ma è proprio agli albori dell’impero romano che risale la frattura dell’unionismo, con

l’irrompere sulla scena del messaggio cristiano, prorompente con la sua distinzione tra

Cesare e Dio, talmente nuova da essere scambiata per forma di ateismo.

Con l’arrivo di San Pietro princeps Apostolorum a Roma e la predicazione di San Paolo

Apostolo delle genti (per tradizione martiri sotto Nerone nella prima persecuzione 64-68

d.C.), si ebbe l’incontro tra la nuova fede cristiana e l’Impero romano.

L’atteggiamento del cristianesimo nei rapporti con lo Stato – quello romano in particolare

- era completamente diverso dalle secolari abitudini generali e partiva dalla sentenza

evangelica: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22,

21b): concetto innovativo perché, mettendola in rapporto al contesto storico unionista,

per cui la religione pagana altro non era che un instrumentum regni , comportava la

distinzione tra religione e politica e quindi tra Chiesa e Stato. L’ interpretazione più

tradizionale ed assodata, in chiave giuridico-politica , vede in questo

passo lo stabilimento del principio dualistico , in forza del quale due autorità

governano il mondo sin dalla creazione, sebbene solo l’incarnazione del Salvatore lo rese

riconoscibile ed esplicito, con il superamento del monismo antico (unicità di potere

secolare e spirituale) e la nascita della respublica cristiana.

Il dualismo introdotto dalle parole evangeliche si differenzia ontologicamente dalla

plurisecolare esperienza pagana: l’ humanum genus, infatti, deve essere retto non solo

dallo Stato onnipotente, nelle sue forme, ma da due autorità diverse, lo Stato, appunto,

nelle sue svariate forme costituzionali, e lo spiritus, che si effonde nell’istituzione

religiosa, la Chiesa per i cristiani. I primi cristiani, dunque, assommarono in sé l’inedita

duplice veste di suddito-civis e

di fedele-credente, sicché erano visti come atei dalle istituzioni, perché sleali sul piano

politico dell’ossequio all’Imperatore sovrano-divinità e, soprattutto, inaffidabili per la

difesa militare della patria, tratto fondamentale ed irrinunciabile del mondo romano.

Considerati un corpo estraneo e concorrente, furono subito oggetto di persecuzioni,

che non miravano a colpire la natura rivoluzionario della loro politica sociale

(che, generalmente, era allineata al comune sentire, come p.es. nei confronti

della schiavitù), ma il carattere culturale di una dottrina religiosa che poneva

le questioni civili su un piano diverso da quelle religiose, così da minac-

ciare uno status quo di un sistema che vedeva

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
4 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/11 Diritto canonico e diritto ecclesiastico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher buono93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto ecclesiastico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Gilli Pierluigi.