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EQUILIBRIO DINAMICO TRA CODIFICA E INFERENZA: IL CASO DEI CONNETTIVI
(Mauri&van der Auwera, 2012)
E’ un’analisi della divisione del lavoro tra semantica e pragmatica nei connettivi.
Prospettiva dinamica in cui ciò che è lasciato alla pragmatica in certe lingue, o in certe fasi diacroniche, può
essere parte della semantica codificata in altre, o in successive fasi diacroniche.
Def di connettivo: meccanismo di unione che stabilisce una relazione tra due frasi o sintagmi. La definizione
è importante per la domanda di ricerca, bisogna capire esattamente di cosa stiamo parlando.
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In Grice i connettivi giocano un ruolo fondamentale, specialmente per quanto riguarda il dibattito sul
confine tra semantica e pragmatica. Grice parte dagli operatori logici e li eguaglia a quelli delle lingue
naturali (se, e, o). Egli mira a mantenere il parallelismo tra semantica logica e linguaggi naturali, cercando
di spiegare ogni deviazione dai valori logici ricorrendo a massime di tipo pragmatico.
Dopo Grice, i connettivi sono diventati banco di prova e campo d’analisi privilegiato per individuare il
confine tra proprietà semantiche inerenti e valori derivati dalla situazione comunicativa.
Nel dibattito è utile riproporre la distinzione fatta dalla RT tra significato concettuale e significato
procedurale. I concetti sono rappresentazioni mentali in forma logica. Le procedure non fanno parte delle
rappresentazioni mentali, ma segnalano e vincolano aspetti dei processi inferenziali coinvolti
nell’interpretazione di un messaggio.
Carston 2002: una data forma linguistica può avere un significato o concettuale o procedurale, ma non
entrambi.
Problema: i connettivi sono stati inseriti in entrambe le categorie!
E, o, se, quindi sono stati associati al significato concettuale (corrispondono a quelli logici). (es. interpreta la
frase che segue quindi come conclusione della precedente)
Ma, ciononostante vengono associati al significato procedurale. Es. ma segnala: la prossima frase contiene
un messaggio conflittuale con qualche implicazione o aspettativa generata dalla frase precedente.
Fraser 2006: quasi tutti i connettivi hanno entrambe le componenti; Hussein 2008 parla di se-
concetto-procedurale (conceptuo-procedural)
Quindi tutta l’analisi è un po’ incastrata in questa classificazione tra concettuale e procedurale dei connettivi.
Alcune ricerche comparative, per esempio Dik (1968) e Lakoff (1971) sottolineano dei problemi di fondo
nella trasposizione della semantica booleana nelle lingue naturali, in particolare:
1. i valori vero-condizionali non si possono applicare alle domande, a desideri e ipotesi, che sono valutabili
sono in base a felicità o infelicità e non V/F. (Sei vegetariano o semplicemente eviti di mangiare la carne?)
2. esistono discrepanze tra distinzioni semantiche/logiche e le distinzioni che vengono effettivamente
codificate nelle lingue del mondo. Per es., la distinzione inclusivo vs esclusivo non è mai codificata nelle
lingue del mondo.
Per esempio, in serbo-croato abbiamo due tipi di ‘e’ pa (e poi) e kene (e contemporaneamente), in albanese
abbiamo due ‘o’ ose (o semplice) e apo (o finalizzato ad una scelta). In questi casi è difficile tenersi sul
livello vero-condizionale (anche se sono connettivi tipicamente fatti corrispondere a quelli logici) perché le
nozioni di temporalità e di finalizzazione ad una scelta sono parte del significato codificato dal
connettivo. O ancora, come si fa a parlare di equivalenza tra semantica logica e connettivi se esistono lingue
senza ‘e’ (Maricopa, Arizona) e senza ‘o’ (Wari’, Sud America)?
Forse ha più senso analizzare la divisione del lavoro tra la parte del significato che è codificato nei
connettivi e la parte del significato inferito attraverso processi pragmatici, guardando a questa zona di
confine come un’asticella che si muove lungo un continuum diacronico e sincronico.
Per quanto riguarda la diacronia, le inferenze pragmatiche possono convenzionalizzarsi e diventare parte
della semantica o innescare meccanismi di rianalisi forma-funzione (ingl. Since che inizialmente aveva
valore temporale, ha acquisito il valore causale).
Per la sincronia si parla di variazione inter- e intralinguistica, quindi le stesse relazioni interfrasali
(combinazione, contrasto, causa, ecc.) possono essere espresse con gradi di codifica diversi.
Prandi studia la relazione concessiva:
codifica piena sottocodifica
(nonostante) (e…)
poco spazio per arricchimento inferenziale arricchimento inferenziale
La relazione tra i concetti è la stessa, ma è diverso il margine lasciato alla pragmatica.
1. L’aereo era rotto, decise di andare a Berlino in treno. (-- codifica, ++ inferenza)
2. L’aereo era rotto e decise di andare a Berlino in treno. (- codifica, +- inferenza)
3. L’aereo era rotto, quindi decise di andare a Berlino in treno. (+ codifica, - inferenza)
4. Dato che l’aereo si era rotto, decise di andare a Berlino in treno. (++ codifica, -- inferenza)
Di tutte le relazioni di subordinazione, le più difficili da inferire sono le concessive. I connettivi specifici ci
permettono quindi di economizzare lo sforzo.
L’Upriver Halkomelem (Salish) ha lo stesso connettore (qe) per la ‘e’ e per la ‘o’. Sconvolgente per la
logica. Questa lingua interpreta il connettore come ‘o’ se c’è presupposizione epistemica di incertezza
(quindi una domanda); come ‘e’ se c’è presupposizione epistemica di certezza (asserzione).
Un altro esempio è il connettivo ‘e’ che può assumere valori congiuntivi, temporali/sequenziali e causali,
mentre l’analisi semantica minima, in termini vero-condizionali è p ^ q è sempre la stessa.
1. He took off his boots and go tinto bed.
2. He is very tall AND he cannot play basketball. (aspettative violate)
Carston 2002: RT- attivazione di script particolarmente accessibili.
La lettura temporale e causale di ‘e’ è frutto di arricchimenti inferenziali determinati da script narrativi
particolarmente accessibili (cioè attivati più di frequente), più che da implicature conversazionali (come
voleva Levinson con le ICG).
1. Questione: grande variazione interlinguistica nel modo in cui il lavoro è diviso tra semantica e
pragmatica nei connettivi congiuntivi.
Mithun 1988: molte lingue usano la semplice giustapposizione, lasciando tutto il lavoro alla pragmatica!
(Es. Maricopa, Hokan)
In effetti per lingue con uso prettamente orale non è necessario sviluppare dei connettivi espliciti. Questi
sono utili quando si inizia a scrivere, altrimenti si può sopperire bene con strategie pragmatiche (per es.
intonazione.)
L’Hdi (Chad, Afro-Asiatica) è un esempio di lingua che mostra una grammaticalizzazione recente di
connettivi congiuntivi. Ciò che inizialmente è inferenza pragmatica (in questo caso la sequenzialità nelle
narrazioni orali) a un certo punto diventa parte della semantica codificata. Ed è quello che è successo al
verbo andare ‘là’ che suffissato, per es. con gha (là-ghà) diventa connettivo congiuntivo ‘e’. Potrebbe essere
che nelle narrazioni fosse il verbo ‘andare…e andare’ a connettere scene diverse, per cui è stato rianalizzato
come connettore che ha esclusivamente uso sequenziale.
Il Tukang Besi (Malayo-Polinesiana, Austronesiana) è una lingua che codifica esplicitamente sia la
congiunzione sequenziale (‘e’ con kene) che non sequenziale (‘e poi’ con maka). Il parlante sceglie uno o
l’altro in base a come vuole codificare la situazione.
Heine&Kuteva (2002) riportano alcuni casi di pragmatica entrata nella semantica e quindi diventata parte
della codifica nel corso del tempo (prospettiva diacronica).
Es. latino posteaquam ‘dopo’, ‘da allora’ > francese puisque ‘dal momento che’ causale
2. Per quanto riguarda i connettivi disgiuntivi, ci si è sempre concentrati sulla distinzione tra inclusivo (p e
q sono entrambi veri: o coca, o aranciata, o acqua) ed esclusivo (o p o q è vero, ma non entrambi: o vivo, o
morto). Ma ci sono occorrenze che possono essere ambigue, es. ‘or’ inglese:
1. To play Bardot the actress needs to be sensuous or seductive. (entrambe vanno bene)
2. At the moment, jack is waiting at the airport or he is flying over the Alps. (solo una può andare bene, non
può essere in entrambi I posti).
Quindi, in quali condizioni il valore esclusivo è preferito rispetto a quello inclusivo?
Per i neo-griceani, l’interpretazione inclusiva è quella base, mentre quella esclusiva è derivata mediante
implicature conversazionali scalari <and, or>. And è l’elemento più informativo perché dà informazione
sull’esistenza sia di p che di q, mentre or è meno informativo perché indica solo la potenziale esistenza di p e
q. Quindi, se un parlante usa or al posto di and sarà perché o non ha dati per dire p and q, o perché sa che
non può essere p and q.
Ma a quanto pare, pur essendo meno di base, l’interpretazione disgiuntiva è quella di default in contesti
isolati!
RT: l’interpretazione esclusiva è più frequentemente la più pertinente.
Secondo l’approccio generativista, dare un senso inclusivo o esclusivo ad ‘o’ dipende da una proprietà
specifica del contesto (upward o downward entailing) e l’abilità di riconoscere questi due tipi di contesto è
innata, perché appartiene alla GU e non alla pragmatica.
Il vero problema è che nella discussione teorica sulla disgiunzione ci sono due assunti che non sono mai stati
messi in discussione:
- distinzione inclusivo vs esclusivo è rilevante per tutte le lingue naturali
- la nozione di inclusivo vs esclusivo è una nozione di base ed è universale
Ma se guardiamo alle lingue del mondo, questi due assunti vengono fortemente messi in discussione:
- esistono lingue senza connettivi disgiuntivi: Kuskokwim (Alaska) in Kibrik 2004 “i nostri antenati non
avevano possibilità di scegliere”. Il valore non è vero-condizionale ma legato alla nozione di scelta e libertà
individuale.
- esistono lingue che costruiscono lo scenario delle alternative come uno scenario di possibilità. Vale a dire
che usano marche condizionali (in Wari’, Brasile, mo-COND e ‘am ‘perhaps’) che finiscono per svolgere
funzioni molto simili alla ‘o’.
Tutto il peso dell’interpretazione è sulla pragmatica e la parte del significato codificato è minima. In assenza
del connettivo disgiuntivo, le frasi