vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Sesto tema: Politiche di welfare, empowerment e community care.
A partire già dalla Rivoluzione industriale l’obiettivo dello Stato è sempre stato quello di assicurare
il benessere dei propri cittadini, riconoscendo a questi ultimi la sicurezza, l’eguaglianza e
l’integrazione sociale. Pian piano lo Stato sociale (affronta problemi politici – economici – sociali
dei cittadini) andrà assumendo la connotazione di welfare state – stato del benessere. Lo Stato
raggiunge l’obiettivo del benessere ridistribuendo tutte le risorse economiche che ha ottenuto
attraverso il prelievo fiscale (ognuno paga in proporzione alla ricchezza), ai cittadini meno agiati,
sotto forma di servizi. Cercando di garantire a tutti i cittadini una qualità di vita adeguata agli
standard stabiliti.
Detto in altre parole, attraverso il welfare, i cittadini possono godere dei diritti di cittadinanza (civili,
politici e soprattutto sociali).
Ogni Stato ha adottato politiche sociali che mirano alla sicurezza sociale però ognuno di questi
Stati ha sviluppato un’ottica diversa (in seguito ai cambiamenti economici, sociali e culturali)
relativamente a chi eroga le prestazioni e per chi, ciò ha portato allo sviluppo di diversi modelli.
Il primo modello di welfare state è quello istituzionale. Ovviamente lo Stato e i vari enti pubblici in
cui si articola individuano i bisogni della popolazione, programmano i servizi necessari per
soddisfarli, stabiliscono chi può riceverli e a quali condizioni; attraverso il gettito fiscale recupera le
risorse economiche per finanziarli; crea le organizzazioni e assume gli operatori che dovranno
erogarli agli utenti.
Intorno agli anni ’70 tale modello entra in crisi, la globalizzazione porta una ventata di novità dal
punto di vista economico, sociale e culturale. I problemi iniziali che il welfare aveva tentato di
risolvere non solo non hanno trovato soluzione, infatti si è creata una sorta di dipendenza degli
utenti dal servizio; ma se ne sono aggiunti di nuovi e più complessi.
Il welfare risulta troppo burocratizzato e costoso, si cerca così di trovare soluzioni volte soprattutto
a controllare la spesa sociale, garantendo nello stesso tempo servizi efficaci ed efficienti. Si è
pensato di introdurre la logica di mercato attraverso il processo di liberalizzazioni/privatizzazioni
quei servizi prima appartenenti all’ente pubblico adesso diventano proprietà dei privati. Se questo
fenomeno può funzionare nel caso dei normali servizi (acqua, luce, gas, telecomunicazioni,
trasporti ecc.) nel caso dei servizi sociali il suo funzionamento crea qualche dubbio.
Intorno agli anni ’90, la Gran Bretagna, attraverso la riforma dell’assistenza sulla scia del neo-
liberalismo, sperimenta un nuovo modello di welfare, detto mix poiché si tratta di un miscuglio di
enti pubblici, organizzazioni private , for profit e non profit.
Lo Stato stabilisce i criteri della valutazione del bisogno, programma i servizi necessari per
soddisfarlo, assicura che i cittadini in effettivo stato di bisogno ricevano le prestazioni, lo Stato fissa
un budget a secondo la situazione e lo trasferisce sotto forma di prestazioni economiche o voucher
agli utenti. L’utente in questo modo ha la possibilità di scegliere la prestazione da acquistare offerta
da una pluralità di organizzazioni profit e non profit che operano in regime di concorrenza.
Verranno premiate le organizzazioni che producono i servizi con un miglior rapporto qualità/prezzo.
A una osservazione più attenta ci accorgiamo di trovarci in un regime di quasi mercato, perché di
fatto lo Stato continua ancora a esercitare un ruolo forte.
In questo modello di welfare si dà inoltre importanza all’ottica consumeristica. L’utente diventa
consumatore in quanto gli è data la possibilità di scegliere tra più servizi quello che ritiene più