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Il primo tipo è quello liberale che ha come scopo principale la riduzione della diffusione delle povertà
• estreme e dei fenomeni di emarginazione sociale. Il mercato è visto come il vero strumento di emancipazione
dalle ingiustizie e dalle disuguaglianze di classe e dai privilegi protezionistici costruiti dalle autorità
politiche. Lo Stato incoraggia il mercato sia passivamente che attivamente e il welfare non ha altra funzione
se non quella di garantire il rientro nel mercato di chi ha perso l'autosufficienza.
Il secondo modello è quello conservatore-corporativo e prevede uno stretto collegamento tra le prestazioni
• sociali e la posizione lavorativa degli individui ed è centrato sulla protezione dei lavoratori e delle loro
famiglie dai rischi di invalidità, malattia, disoccupazione e vecchiaia.
Il terzo e ultimo modello di politica sociale è quello socialdemocratico e presenta i livelli più alti di spesa per
• la protezione sociale considerata un diritto di cittadinanza; le prestazioni che garantiscono una copertura
universale, consistono in benefici in somma fissa, erogati automaticamente al verificarsi dei vari rischi. In
questo modello l'intervento pubblico si pone in sostituzione sia del mercato che della famiglia.
3. Lo sviluppo della ricerca comprata degli anni 90: verso l'ampliamento dei modelli di politica sociale
La moltiplicazione degli studi comparati ha posto in particolare in rilievo l'esistenza di alcune famiglie di welfare
aggiuntive rispetto a quelle teorizzate da Titmuss e Esping-Andersen. Le più importanti famiglie di sistemi di politica
sociale sono: la famiglia dei paesi mediterranei, la famiglia dei welfare degli antipodi, la famiglia dei paesi del su-est
asiatici, la famiglia dei welfare latino-americani e la famiglia dei welfare ex comunisti.
3.1 Il modello mediterraneo
Esping-Andersen associava il modello mediterraneo alla famiglia dei regimi di welfare corporativo-continentali. I
modelli di politica che caratterizzano queste tipologie possono essere classificati in base al modo con cui è stato
sviluppato il principio di cittadinanza sociale e al ruolo che le istituzioni del welfare hanno nel contrastare la povertà.
I criteri scelti per la sua classificazione sono: le regole di accesso alle prestazioni sociali (criteri di eleggibilità); le
formule di prestazione; le modalità di finanziamento e gli assetti organizzativo-gestionali. Per Spagna, Portogallo e
Italia la cultura delle politiche sociali è fortemente influenzata dalla cultura cattolica e da una visione della società di
tipo familistico tradizionale che incomincia a mutare nei comportamenti. Altro elemento caratterizzante è l'elevato
particolarismo sia sul versante delle erogazioni che sul versante del finanziamento. Tra i principali problemi c'è
quello di ridefinire i criteri di ripartizione delle risorse a seguito dell'eccessivo scompenso negli equilibri sociali e di
incentivare i cittadini alla partecipazione attiva al mercato del lavoro e alla contribuzione fiscale.
3.2 Il modello degli antipodi
I paesi antipodi sono Australia e Nuova Zelanda con un welfare di tipo liberale. Il concetto di family wage, inteso
come reddito adeguato a supportare i bisogni dei lavoratori e della sua famiglia è stato introdotto in Australia nel
1907. Il principale obbiettivo in questi paesi è stato quello di adeguare i livelli dei salari piuttosto che fornire un
contributo redistributivo indipendente dai trasferimenti legati al reddito.
3.3 Il modello dell'est asiatico
Relativo a Singapore, Taiwan, Malesia, Filippine, Indonesia, Costa del Sud e Thailandia. La spesa pubblica risulta
ancora molto ridotta rispetto ai paesi occidentali. La cura, l'assistenza e il sostegno sono ancora svolti dalla famiglia.
La maggior parte dei trasferimenti monetari avviene all'interno di tale istituzione, gli anziani vivono per i due terzi
all'interno di famiglie composte da tre generazioni, il supporto familiare è garantito dalle donne spessissimo
disoccupate.
3.4 Il modello latino-americano
Un regime di welfare che presenta elementi di una certa similarità con il modello del sud-est asiatico è quello del
continente latino americano, tali elementi sono: bassi livelli di copertura dei programmi di welfare istituzionali e
un'elevata presenza di settori informali dell'economia e della società completamente privi di protezione sociale. I
regimi di welfare latino-americano non sono modelli allo stato nascente ma vantano una storia di lunga data che ha
dato luogo a sistemi di protezione sociale molto segmentati ma di dimensioni non marginali. I primi sistemi di
welfare moderno hanno preso vita nella prima metà del secolo scorso; storicamente si sono caratterizzati per un mix
accentuato di welfare pubblico e privato. Il settore informale svolge in questo contesto un'importante funzione di
ammortizzatore sociale. Le transazioni che passano attraverso le reti familiari e parentali costituiscono la principale
fonte di sussistenza per milioni di persone.
3.5 Il modello dei paesi ex-comunisti
Tali paesi si sono storicamente distinti per l'accentramento pubblico di molte funzioni di welfare. I sistemi di politica
sociale di questi paesi erano caratterizzati, prima del 1989, da una presenza molto forte dello Stato che formalmente
assorbiva in sé le funzioni di tutela e sicurezza erogando ai cittadini benefici che consentivano il raggiungimento di
livelli di vita inferiori a quelli dei paesi occidentali. Lo Stato offriva tuttavia livelli di prestazioni solo formalmente
egualitari e che spesso, a causa dei livelli di generosità ridotti, dovevano essere integrati dal ruolo del welfare
informale che in tutti i paesi dell'est è stato storicamente molto accentuato.
Dopo il 1989 e la caduta della cortina di ferro, la maggior parte dei paesi dell'est ha dovuto fare i conti con il
disfacimento dei modelli comunisti di politica sociale e con la trasformazione dei regimi di welfare nazionali. Al
declino del welfare state ortodosso ha corrisposto una politica di liberalizzazione della politica sociale. In diversi
paesi sono state introdotte misure volte a liberalizzare i vecchi sistemi di politica sociale. Soprattutto nei primi anni
90 l'esito dei processi di liberalizzazione è stato un aumento della povertà e della disuguaglianza. La scarsa
generosità delle prestazioni pubbliche, l'esistenza di privilegi e disuguaglianze nell'accesso alle prestazioni erano
riequilibrate dall'esistenza di un'economia informale basata sullo scambio di servizi per beni. Famiglia, vicinato, reti
informali costituivano canali fondamentali per assicurare la tutela ai cittadini. Questo sistema di welfare informale ha
continuato a prosperare soprattutto nelle fasi di maggiore crisi economica e politica.
5. I problemi
1. La trasformazione dei fondamenti del welfare
Negli ultimi anni la situazione economica e sociale si è radicalmente trasformata e gli elementi principali di questa
trasformazione sono stati:
le modificazioni della struttura socio-demografica della popolazione;
• il problema della sostenibilità economica delle politiche sociali;
• l'aumento della disoccupazione;
• l'aumento della concorrenzialità dei sistemi economici e la globalizzazione;
• il persistere della povertà e delle disuguaglianze sociali.
•
2. Le trasformazioni della struttura socio-demografica
Negli anni d'oro del welfare state, la popolazione dei paesi occidentali era giovane e fertile, centrata su un modello di
famiglia stabile e abbastanza autosufficiente. La struttura socio-demografica era quindi in grado di garantire: una
popolazione attiva che contribuiva allo sviluppo economico e sociale della collettività e alle spese per le politiche
sociali; un equilibrio tra le generazioni; una capacità degli individui e delle famiglie di rispondere autonomamente ad
una serie di problemi come la cura dei malati e l'accudimento dei minori.
Un primo forte fattore che ha inciso sulla trasformazione suddetta è stato l'invecchiamento della popolazione;
l'aumento della popolazione anziana ha favorito un costante innalzamento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto
tra popolazione bisognosa di assistenza e popolazione totale. A partire dagli anni 70 le famiglie sono diventate
sempre più instabili ed abbiamo assistito al superamento delle famiglie monoreddito (capofamiglia che lavorava,
moglie casalinga).
I problemi generati da questi cambiamenti possono essere identificati soprattutto in:
Un aumento della spesa sociale (più uscite per le pensioni, sanità e assistenza non compensate da una
• riduzione della spesa per l'educazione e i servizi all'infanzia; aspettative di vita più lunghe pensioni per un
lungo periodo).
Un aumento dei disequilibri tra le istituzioni e un indebolimento delle funzioni di cura e assistenza alle
• famiglie (venendo meno i servizi di cura e assistenza assicurati dalle famiglie, i costi a carico del sistema
istituzionale delle politiche sociali sono destinati ad aumentare ed inoltre molti di questi servizi non possono
essere sostituiti da altre prestazioni erogate da soggetti diversi dalla famiglia).
3. Il problema della sostenibilità economica delle politiche sociali
Il cambiamento della struttura socio-demografica ha creato uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi di welfare.
Dopo gli anni 70 ha cominciato a verificarsi un cortocircuito tra spesa sociale e sostenibilità del suo funzionamento,
le cui cause sono riconducibili all'aumento della spesa pubblica e al rallentamento della crescita economica. Il
rallentamento dei tassi di crescita del PIL ha costretto i governi a finanziare una spesa pubblica in crescita attraverso
l'aumento dell'imposizione fiscale. Nonostante tale incremento le entrate fiscali non sono risultate sufficienti a
finanziare il ritmo di sviluppo dei programmi di spesa. I governi si sono trovati a ricorrere sempre più spesso
all'indebitamento.
4. L'aumento della disoccupazione
Secondo Keynes col termine disoccupazione si intende l'esistenza o presenza di lavoratori potenziali disponibili a
lavorare al saggio del salario corrente, ma non occupati a causa dell'insufficiente domanda di lavoro. Questa è la
disoccupazione involontaria; esiste anche quella volontaria e quella frizionale causata da modificazioni impreviste
dell'economia che provocano squilibri temporanei fra domanda e offerta di lavoro. I tassi di disoccupazione (alti negli
anni 30) sono saliti nettamente a partire dagli anni 70. L'incremento del numero dei disoccupati ha portato ad una
riduzione del contributo produttivo allo sviluppo economico e all'aumento delle richieste di protezione sociale in
forma di integrazioni al reddito o sussidi per i disoccupati.
5. L'aumento della competizione tra i sistemi economici e la globalizzazione
Negli anni 80 e all'i