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PREZZO DI
EQUILIBRIO
Stabilità Esistenza
Figura 6 Caratteristiche del prezzo di equilibrio
3. Monopolio contro concorrenza perfetta
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In un mercato di monopolio, il monopolista produce di meno, vede ad un prezzo più alto, gode
di un profitto maggiore e riduce il riduce il surplus dei consumatori. Per tutti questi motivi,
alcuni importanti esponenti della teoria neo-classica ritengono che il monopolio danneggi
l'economia e che vada quindi contrastato con leggi anti-trust o politiche di liberalizzazione che
facilitino l’accesso al mercato di eventuali concorrenti.
Più in dettaglio, poiché l’ingresso di altre imprese è precluso per definizione, nel monopolio
scompaiono i meccanismi che nel mercato di concorrenza assicurano l’eliminazione delle
imprese inefficienti e l’annullamento dei sovraprofitti. Il monopolio è una forma di mercato che
non garantisce né l’efficienza né l’equità. Ma anche se, in casi estremamente rari, l’impresa che
si trova a godere di una posizione di monopolio fosse la più efficiente (e cioè capace di realizzare
i costi più bassi), questo non eliminerebbe gli inconvenienti. Infatti, se il monopolista ottiene un
16 AA.VV., Le Garzantine – Economia, Garzanti, 2011, Milano.
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profitto netto, ciò significa che il prezzo è superiore al costo di produzione. Se ne deduce che il
prezzo di monopolio è sempre superiore al prezzo di concorrenza. A prezzi consumatori
acquistano quantità minori: quindi, rispetto alla concorrenza, i consumatori vengono
danneggiati, perché ricevono quantità minori pagandole a prezzi più alti.
Altri studiosi di orientamento marxista sostengono invece che la liberalizzazione dei mercati
può favorire la concorrenza solo nel breve termine, ma nel lungo periodo proprio
l’intensificazione della competizione tende a far prevalere i più forti, il che favorisce nuovi
fenomeni di monopolizzazione dei mercati e di centralizzazione dei capitali. Altri ancora,
ispirati dalle analisi di Joseph Schumpeter, ritengono che la stessa idea di inefficienza del
monopolio vada contestata: a loro avviso, infatti, proprio la capacità di guadagnare profitti extra
consente all’impresa monopolista di favorire l’innovazione tecnologica grazie a massicci
investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo, che per la loro rischiosità e onerosità sono
preclusi alle imprese in concorrenza perfetta.
La teoria neoclassica attribuisce grande rilevanza alla posizione di equilibrio di concorrenza
perfetta, perché ritiene che in essa il mercato realizzi un assetto economico caratterizzato da
efficienza e da equità.
L’utilizzazione delle risorse viene considerata efficiente in senso tecnico, se è esente da sprechi
(cioè da impiego di risorse senza alcun risultato produttivo); l’uso delle risorse sarà efficiente
in senso economico se conduce a produrre quei beni che, tenuto conto del costo, sono i più
desiderati dai consumatori. Nella posizione di equilibrio di concorrenza perfetta, il prezzo di
ogni merce deve essere uguale al costo minimo di produzione; se così non fosse (se cioè il
prezzo di vendita fosse superiore al costo minimo), vi sarebbero imprenditori, già presenti o
potenziali, che realizzerebbero un profitto; ma la presenza di un profitto attirerebbe altri
produttori e il loro ingresso farebbe cadere il prezzo, fino a riportarlo al livello del costo. La
concorrenza elimina quindi le imprese inefficienti e assicura che le risorse produttive vengano
impiegate senza sprechi. D’altro canto, il prezzo di equilibrio deve essere corrispondente
all’utilità che il prodotto presenta per il consumatore: se il prodotto costasse troppo in relazione
alla soddisfazione che arreca, nessuno lo acquisterebbe; ma se costasse troppo poco, tutti
vorrebbero acquistarlo, e ciò provocherebbe un aumento del prezzo, fino a ristabilire la
corrispondenza tra prezzo e utilità. Se il prezzo corrisponde contemporaneamente sia al costo
sia all’utilità dei prodotti, il mercato assicura che vengano prodotte soltanto quelle merci che
danno una soddisfazione tale da compensare i costi sostenuti per produrle e quindi assicura
una utilizzazione delle risorse efficiente anche in senso economico. Per quanto concerne il
problema dell’equità, si osservi che se la concorrenza elimina i sovraprofitti e riduce il prezzo
al livello del costo di produzione minimo, anche l’imprenditore riceverà come retribuzione il
puro compenso del sul lavoro direttivo. La concorrenza elimina quindi i redditi non guadagnati,
il che è un primo potente fattore di giustizia sociale. Ma nel caso della rendita fondiaria ciò non
può avvenire, perché la scarsità naturale della terra impedisce alla concorrenza di esplicare i
suoi effetti. Una volta stabilito che in mercato di concorrenza perfetta esistono soltanto redditi
da lavoro, resta da stabilire se il livello di tali redditi riflette un criterio di equità. Il
ragionamento di cui si avvalgono i sostenitori dell’economia di mercato è il seguente: ogni
impresa corrisponde a ogni singolo lavoratore una retribuzione che è commisurata al
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contributo che il lavoratore stesso ha dato alla produzione; non può dargli una paga superiore,
perché affronterebbe una perdita; non può dargli una paga inferiore perché, se lo facesse,
guadagnerebbe su quel lavoratore un sovraprofitto e altre imprese, attratte dal guadagno,
offrirebbero a quel lavoratore una occupazione alternativa a salario più alto. Il mercato di
concorrenza perfetta paga quindi ognuno secondo il contributo dato alla produzione.
L’interpretazione marxiana si colloca in una prospettiva radicalmente diversa. La teoria
marxiana parte dal presupposto che la concorrenza perfetta non impedisce al capitalista di
attuare uno sfruttamento ai danni del lavoratore; con ciò, il carattere di equità che la teoria
borghese riconosce al mercato di concorrenza perfetta viene negato. Nella visione marxiana, la
concorrenza si differenzia dalle altre forme di mercato soprattutto per i rapporti interni che
stabilisce fra singoli capitalisti. In concorrenza perfetta il potere di mercato è distribuito
equamente fra capitalisti, mentre nelle forme monopolistiche il potere è concentrato nelle mani
di pochi. Questa differenza viene considerata molto rilevante per lo sviluppo del sistema
capitalistico, ma non è sufficiente a conferire alla concorrenza perfetta un carattere diverso per
quanto riguarda la sostanza dei rapporti fra capitalisti e classe lavoratrice.
4. Oligopolio
L’oligopolio (dal greco olígos, pochi, e polêin, vendere) è una forma di mercato in cui più
imprese competono tra loro, tengono conto delle reciproche reazioni, elaborano strategie che
prevedono risposte per ogni mossa avversaria, interagiscono strategicamente. Nell’oligopolio
scompare l’ambiente passivo del monopolio e della concorrenza perfetta. Infatti, l'impresa in
concorrenza perfetta e l'impresa monopolistica presentano una caratteristica comune: non si
pongono problemi di strategia, cioè problemi nei quali le azioni di ognuno dipendono anche da
ciò che si prevede che facciano gli altri. Il problema della strategia e del connesso rapporto
tra azioni e reazioni dei vari soggetti in campo diventa invece fondamentale nel caso di
oligopolio.
Lo strumento di analisi correttamente utilizzato è costituito dai giochi non cooperativi, che
interpretano interazioni nelle quali gli individui non è dato di stringere accordi vincolanti per
il coordinamento delle strategie. Ogni individuo persegue il proprio interesse in modo
razionale; il concetto di soluzione adottato è l’equilibrio di Nash: un individuo sceglie la
strategia migliore, una volta data la scelta dell’altro o degli altri concorrenti.
A Cournot si deve il primo modello di oligopolio (1838). Costruito attorno a un concetto di
equilibrio è stato poi ripreso senza sostanziali alterazioni da Nash (1951) e rimane alla base di
gran parte dei moderni modelli di oligopolio.
Nel mercato di oligopolio ciascuna impresa massimizza i profitti in rapporto alla quantità scelta
dalle altre imprese; il profitto di una impresa decresce al crescere della quantità immessa sul
mercato dall’altra. Le risposte ottime di un’impresa alle decisioni di quantità dell’altra (funzione
di reazione) vedranno questa ottimamente diminuire la sua quantità se la prima impresa
l’aumenta. C’è un punto in cui queste risposte ottime coincidono: esso rappresenta la
compatibilità tra le risposte e quindi l’equilibrio.
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Assumere le quantità di un’impresa rivale come un dato non suscettibile di variazione per
reazione è un errore la cui conseguenza viene pagata dalle imprese. Ogni unità aggiuntiva
immessa dall’impresa provoca una diminuzione del prezzo di mercato. L’impresa tiene conto
dell’effetto che ciò produce sulla profittabilità di quanto vende, ma non dell’effetto prodotto
sull’output dell’altra impresa; sottostima, insomma, l’effetto negativo dell’aumento di quantità.
La soluzione è perciò inferiore per le imprese rispetto a quella di monopolio: la quantità totale
è maggiore e il prezzo inferiore. Ci guadagnano però i consumatori.
Si può dimostrare che l’equilibrio di Cournot genera un profitto inferiore a quello che le due
imprese otterrebbero se si accordassero sulle quantità da produrre. In altre parole, i due
oligopolisti potrebbero realizzare una collusione, detta anche cartello . Tramite l’accordo
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collusivo esse potrebbero agire come un’unica impresa monopolista, che produce
complessivamente di meno e vende a un prezzo più alto. Il profitto complessivo sarebbe dunque
maggiore, e le due imprese potrebbero poi spartirselo ottenendo un risultato migliore rispetto
al caso dell’oligopolio non collusivo rappresentato dall’equilibrio di Cournot. Rispetto
all’equilibrio non collusivo di Cournot, il cartello tra le due imprese consente dunque di
produrre una quantità totale inferiore a un prezzo superiore, e assicura dunque un profitto più
elevato a ciascuna impresa. Questo è uno dei motivi per cui si ritiene che i cartelli debbano
essere vietati dalla legge.
Quando il numero di imprese sul mercato tende all’infinito si ha uguaglianza tra costo
marginale e presso e la soluzione di Cournot coincide con quella di perfetta concorrenza.
La concorrenza sulle quantità ha un esito diverso da quella sui prezzi, anche se lo schema resta
quello di Nash. La ragione è duplice. Anzitutto, le quantit&agrav