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Estratto del documento

Teodoro Tarantino

Che aveva due ragazzi in vendita straordinari per aspetto, e domandandose comprare, comportandosi furiosamente, urlava agli amici ripetutamente chiedendo checosa ma di turpe riconoscendo in lui Filosseno se ne stava a proporgli cose tanto riprovevoli.

Dopo aver insultato ampiamente lo stesso Filosseno in una lettera, gli ordinò di mandare inmalora Teodoro con la stessa merce.

Colpì poi violentemente anche Agnone, che gli aveva scritto di voler portare a lui,comprandolo, il fanciullo Crobilo, che era molto ben valutato a Corinto. Apprendendo poiche tra coloro che militavano sotto Parmenione, i macedoni Damone e Timoteo avevanosedotto le mogli di certi mercenari, scrisse a Parmenione ordinando, se si fossero rivelaticolpevoli, di ucciderli avendoli puniti come bestie nate per la rovina degli uomini.

E in questa lettera, a proposito di se stesso, ha scritto testualmente: “infatti io non solo nonpotrei essere stato colto a guardare la moglie di Dario o a...

volerla guardare, ma neppure ad ascoltare il racconto di coloro che parlano della sua bellezza”. Diceva poi che capiva soprattutto di essere mortale dal fatto di dormire e di avere rapporti sessuali, poiché da una sola debolezza nella natura, derivano la fatica e il piacere. Era anche molto padrone dello stomaco e dimostrò ciò in molte altre (occasioni) e con le cose dette ad Ada, che considerò come una madre e che aveva nominato regina della Caria. Infatti, poiché quella, per mostrargli affetto, gli mandava nel corso della giornata molti cibi e dolci e infine gli inviò quelli che parevano essere i migliori cuochi e panettieri, disse che non aveva bisogno di nessuno di essi, e che aveva i migliori cuochi essendogli stati dati dal pedagogo Leonida: per pranzo una marcia notturna, per cena la moderazione nel cibo. “Questo stesso uomo, disse, venendo, apriva anche le casse delle coperte e dei vestiti per vedere se la madre mi aveva messo

qualcosa di voluttuoso o di superfluo”.23. Era poi incline al vino meno di quanto sembrava, ma lo sembrò per il tempo che trascinava su ciascuna coppa, non bevendo più che chiacchierando, spesso declamando qualche lungo discorso, e queste cose quando aveva molto tempo libero. Ma verso le imprese non lo trattenne né il vino, né il sonno, né qualche scherzo, né uno sposalizio, né uno spettacolo, come agli altri comandanti.

Lo dimostra la vita, vivendo la quale assolutamente breve, la riempì di moltissime e grandissime imprese. Nei giorni liberi, dopo essersi dapprima alzato e aver sacrificato agli dei, mettendosi a sedere subito faceva colazione, poi passava la giornata cacciando o amministrando la giustizia, o mettendo in ordine qualcosa tra le cose militari o leggendo. Se percorreva un cammino non troppo gravoso, mentre procedeva si addestrava a tirare frecce o a salire e scendere dal carro che si muoveva. Spesso divertendosi

cacciava volpi e uccelli, come è possibile trarre dai diari. Essendosi poi fermato e dedicandosi al bagno o all'unguento, chiedeva a quelli a capo dei cuochi e dei fornai se avevano le cose per la cena a posto, e iniziava a mangiare sdraiandosi tardi ormai dopo l'oscurità. Straordinaria era la cura e l'attenzione per la tavola, affinché nulla fosse disposto disordinatamente o con poco riguardo. Come ho già detto, protraevamo molto la bevuta a causa della loquacità. Sebbene in generale fosse il più piacevole tra tutti i re nel conversare e non fosse privo di nessuna grazia, diventava allora sgradevole per l'arroganza e troppo brutale, egli stesso lasciandosi andare alla spacconeria e lasciando se stesso agli adulatori come cosa da manovrare. Per cui tra i presenti i più moderati erano imbarazzati, non volendo competere con gli adulatori né essere lasciati indietro nelle lodi. Infatti l'una cosa sembrava sconveniente,

l'altra comportava un rischio. Dopo il simposio e dopo essersi lavato andava a dormire, spesso fino a mezzogiorno, e c'è anche quando trascorreva l'intera giornata a dormire. Era poi temperante anche nel cibo, cosicché quando erano portati a lui dalla costa i frutti di mare o i pesci, spesse volte mandando i più ricercati a ciascuno dei compagni non lasciava nulla per se solo. Tuttavia il pranzo era sempre fastoso e, accrescendosi la spesa insieme ai successi, giunse infine a 10mila dracme. Qui si fermò e fu stabilito che si mantenesse altrettanto per coloro che ospitavano Aless.24. Dopo la battaglia a Isso, avendo mandato i messi a Damasco, prese i beni, i bagagli, i figli e le mogli dei persiani. Ne trassero massimo vantaggio i cavalieri dei Tessali; infatti mandò questi uomini che erano stati distintamente valenti nella battaglia, desiderando manifestamente favorirli. Ma anche il restante esercito si riempì di ricchezze, e avendo

gustato i macedoni per la prima volta l'oro, l'argento, le donne e il modo di vivere barbaro, come cani che inseguono una traccia si affrettavano a ricercare e perseguire la ricchezza dei persiani.

Comunque parve bene ad Alessandro dominare in primo luogo i paesi sul mare, e subito venivano dunque i re a consegnargli Cipro e la Fenicia tranne Tiro.

Mentre allora cingeva d'assedio Tiro per sette mesi con trincee e macchine belliche e 200 triremi dal mare, vide in sogno Eracle che lo salutava con la mano e lo chiamava dalle mura.

Anche a molti degli abitanti di Tiro sembrò durante i sogni che Apollo dicesse che si trasferiva dalla parte di Alessandro, giacché non gli piacevano le cose che accadevano in città. Ma essi, cogliendo il flagrante il dio come un uomo che passa dalla parte dei nemici, gettavano funi intorno alla sua statua colossale e lo inchiodavano alla base definendolo partigiano di Alessandro.

Durante i sogni poi Alessandro ebbe un'altra visione: sembrava che

Un satiro, essendogli apparsolo schernisse da lontano, e che poi quando voleva catturarlo sfuggisse; infine dopo avermolto insistito e aver corso intorno, gli venne tra le mani. Gli indovini, dividendo noninverosimilmente la parola, gli dicevano "Tiro diventerà tua" e mostrano una fontana pressola quale sembrava nei sogni di vedere il satiro. Nel mezzo dell'assedio, avendo mosso guerra contro gli arabi che abitavano pressol'Antilibano, corse un pericolo a causa del pedagogo Lisimaco. Infatti lo aveva accompagnatodicendo di non essere né più debole né più vecchio di Fenice. Ma quando avvicinatosi ai monti e lasciati i cavalli avanzava a piedi, mentre gli altri si eranomolto allontanati, lui, sia perché era già calata la sera sia essendo i nemici molto vicini, nonsopportando di lasciare indietro Lisimaco che cedeva ed era spossato, ma confortandolo eportandolo con sé, non si rese conto di essersi separato.

dall'esercito con pochi e passandola notte insieme con l'oscurità e il freddo terribile in luoghi pericolosi, vide da lontano molti fuochi dei nemici che ardevano qua e là. Confidando nell'agilità del corpo e nel fatto che sempre si impegnava a confortare la difficoltà dei macedoni, corse verso coloro che bruciavano il fuoco più vicino e avendo colpito con un pugnale due barbari seduti presso il focolare e avendo preso un tizzone, venne dai suoi portandolo. Avendo essi acceso un grande fuoco, subito li spaventarono tanto da fuggire e poi misero in fuga quelli che venivano all'assalto e si accamparono senza pericoli. Queste cose dunque ha raccontato Carete. 25. L'assedio ebbe tale conclusione. Mentre Alessandro faceva riposare la maggior parte dell'esercito dopo le molte fatiche precedenti e avvicinava alle mura alcuni pochi soldati affinché i nemici non avessero tregua, l'indovino Aristabdro faceva un sacrificio, e

avendo osservato i segni spiegò più coraggiosamente ai presenti che in quel mese la città sarebbe stata completamente conquistata. Dal momento che ci fu ironia e riso (giacché era l'ultimo giorno del mese) il re, avendolo visto in difficoltà ed essendo sempre favorevole ai vaticini, ordinò di considerare quel giorno non più il 30 ma il 28; e avendo fatto segnale con la tromba, assaltava le mura con maggiore forza di quanta fosse stata pensata all'inizio.

Essendo divenuto l'assalto impetuoso, e non rimanendo pazienti neppure quelli nell'accampamento, ma accorrendo e portando aiuto, i Tiri vennero meno e in quel giorno prese la città.

Dopo queste cose, mente assediava Gaza, la più grande città della Siria, lo colpì sulla spalla una zolla lasciata cadere dall'alto da un uccello; ma l'uccello, posatosi su una delle macchine d'assedio, si trovò impigliato nelle reti fatte di fibre.

di cui si servivano per i riavvolgimenti delle funi; e il presagio si verificò secondo la predizione di Aristarco: infatti Aless fu ferito alla spalla, ma conquistò la città.

Mandando poi molte cose del bottino a Olimpiade, a Cleopatra e agli amici, inviò anche al pedagogo Leonida 500 talenti di incenso e cento di mirra, essendosi ricordato di una speranza di fanciullo. Infatti a quanto pare Leonida una volta durante un sacrificio disse ad Aless, che prendeva con ambedue le mani l'incenso e lo bruciava: "Qualora o Aless sarai signore del paese che produce spezie, brucerai incensi così abbondantemente; ma ora usa parsimoniosamente le cose a disposizione." Allora dunque Aless gli scrisse: "Ti ho mandato abbondante incenso e mirra affinché cessi di essere avaro con gli dei".

26. Quando gli fu portata una cassetta di cui nulla era parso più pregiato a coloro che raccoglievano le ricchezze e i bagagli di Dario, chiedeva agli

amici che cosa, tra le cose massimamente degne di attenzione, sembrasse tale da essere riposta in essa. Poiché molti dicevano molte cose, egli stesso disse che, avendovi deposto l'Iliade, l'avrebbe custodita là. E testimoniano queste cose non pochi tra quelli degni di fede. Se poi, cosa che dicono gli alessandrini prestando fede a Eraclide, ciò è vero, certamente non sembra che Omero sia stato con lui un compagno di spedizione ozioso né inutile. Dicono infatti che, dopo aver assoggettato l'Egitto voleva, dopo aver fondato una città greca grande e popolosa, lasciarle il suo nome, ma con il consiglio degli architetti non aveva ancora misurato e recintato un certo spazio tanto grande. Poi durante la notte mentre dormiva, ebbe una straordinaria visione: gli sembrò che un uomo, totalmente brizzolato nei capelli e venerabile nell'aspetto, stando accanto a lui recitasse questi versi: "C'è poi un'isola nelmare ondoso, dinnanzi all'Egitto, la chiamano Faro". Subito dunque, alzatosi, andava verso Faro, che allora era ancora un'isola poco più grande di un villaggio.
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A.A. 2022-2023
103 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/02 Lingua e letteratura greca

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher stefantonellina di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Cipolla Alfonso.