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Filosofia: Diversamente da quanto sostiene Aristotele nel Platone ritiene che la filosofia non è facile, in quanto è un
Protrettico, lungo
che prevede l’acquisizione di uno e di lavoro, assai rigoroso e fatto di fatica, caratteri che non fanno della filosofia una
itinerario stile di ricerca
disciplina adatta per tutti. L’esempio che egli riporta, ripreso da Socrate, lo vede in ascolto del proprio che in presenza di un allievo gli
dàimon,
faceva già intendere se questi fosse o meno portato per la filosofia. In base a questo preciso modo d’intenderla, emerge in Platone un preciso
modo di fare filosofia, che non è “giovanottismo” (qualcosa alla portata di tutti), quasi assimilabile all’apprendimento della danza.
Fedro: Il e la sono considerate “autotestimonianze” del pensiero platonico, dove si allude alle dottrine non scritte; di tali
Fedro Lettera VII
dottrine «è impossibile parlarne a tutti»: possono essere comprese soltanto da chi ha frequentato l’Accademia, studiando matematica e
geometria, proprio perché all’interno delle dottrine viene trattato il mondo degli enti matematici e geometrici. A causa di ciò e nonostante
possediamo l’intero delle sue opere non possiamo conoscere il tutto e il vero Platone, non avendo egli ritenuto opportuno consegnare
corpus
allo scritto tutto il suo scibile e in particolare quelle cose «di maggior valore» (problema di passare a un’oralità e non mimetico-
dialettica
poetica, come quella omerica: negli anni in cui vive Platone avviene in Grecia quella grande rivoluzione culturale da cui è nata la «civiltà della
come afferma Nestle nell’opera In quest’opera Platone sostiene che la scrittura non accresce la sapienza degli
scrittura», Dal mito al lògos).
uomini, ma solo l’apparenza del sapere, l’opinione; essa non rafforza la memoria, ma offre piuttosto un farmaco per richiamare alla memoria
quanto già appreso. Lo scritto è soggetto a numerosi rischi, non ultimo quello di un’erronea interpretazione, o di un’incomprensione; esso non
è il farmaco della memoria, come sosteneva di aver scoperto recatosi dal re Thamus. Egli riteneva che tale scoperta avrebbe reso
Theuth,
capaci, coloro che ne facevano uso, di accrescere la propria sapienza; invece, Platone definisce “dossosofo” chi scrive, cioè portatore di
opinione. Questo mito è comunque una di quanto già circolava al suo tempo; ad esempio, Eschilo e Gorgia esaltavano tale mezzo,
summa
elevato ad “organo della memoria”, mentre Platone reagisce a questo clima, ponendosi a favore dell’insegnamento orale e dialettico, il cui
coinvolgimento è impossibile alla parola scritta.
Dottrine non scritte: Platone, sebbene considerato il maggiore scrittore della Grecia classica, decise fermamente di non affidarle alla
scrittura, la quale non restava incisa nell’animo dello studente (come invece avveniva grazie all’oralità dialettica), ma soltanto nel papiro, che
poteva finire nella mani di chiunque senza possibilità di difendersi. Le obiezioni alla scrittura si trovano nel e nella sulla quale
Fedro Lettera VII,
si è concordata piuttosto recentemente l’autenticità; il cuore, il nucleo essenziale delle dottrine platoniche può essere tramandato unicamente
attraverso l’oralità, trasmesso soltanto dall’insegnamento e non a tutti, ma solo a quell’allievo che ha fatto un determinato percorso. Tali
obiezioni di Platone non vogliono rappresentare una critica, una condanna alla scrittura, ma una forte e fondata presa di posizione nei
confronti di un mezzo inopportuno ai suoi fini. Da queste premesse emerge chiaramente l’inconsistenza del paradigma schleiermacheriano.
Alcuni uomini potrebbero sicuramente, anche senza aver frequentato l’Accademia, trarre vantaggio da uno scritto su queste dottrine, ma si
tratterebbe soltanto di pochi uomini, in qualche modo «illuminati da un raggio divino» (pochissime persone, delle anime privilegiate), che da
soli o con pochissimi indizi sono capaci di trovare il vero; la maggior parte degli uomini si riempirebbe di (Dionigi→Lettera
presunzione VII),
convinti di aver appreso chissà quali grandi cose, che in realtà non hanno in alcun modo recepito. Per giungere all’Intellegibile l’uomo precorre
necessariamente servendosi del (“cerchio”), della («ciò che ha gli estremi equidistanti da un punto detto
cinque tappe, nome definizione
centro»), dell’immagine («che si disegna e si cancella, che si costruisce col compasso e che perisce»), della (la scienza, «l’opinione
conoscenza
verace intorno a tali cose») ed infine della dell’Intellegibile stesso; perciò le immagini (copie di copie), nonostante siano opposte
comprensione
all’Intellegibile, possono aiutare e portare «chi ha buona natura» alla sua conoscenza, cioè all’essenza della «buona natura» (difficilissimo
percorso).
Paragoni: Platone paragona gli scritti alle le quali sembrano vive ma che non hanno, in realtà, nulla della dinamicità
immagini della pittura,
delle cose rappresentate, esse rimangono in silenzio se noi le interroghiamo, così come lo scritto (perciò non può rivolgersi ad un pubblico
omogeneo); agli scritti accade inoltre qualcosa di peggiore, rispetto alla pittura, in quanto possono andare nelle mani di chiunque, rischiando
di finire nelle mani delle in mano alle quali lo scritto sarebbe stato un ostacolo piuttosto che un utile strumento. I
persone sbagliate, giardini di
in riferimento alle feste estive celebrate in onore di Adone, erano dei vasi o cesti di vimini lasciati una settimana al buio, in cui le donne
Adone,
piantavano semi la cui fioritura rapida, ma effimera, ricordava la morte prematura di Adone, amante di Afrodite; lasciare scritti è come scrivere
sull’acqua o in rotoli che poi verranno smarriti, perché, come per i semi, non hanno il terreno predisposto dove gettare le proprie radici e
germogliare, cioè le dove coltivare le proprie dottrine trasformandole in e rendendole a cui vanno insegnate con «arte
anime vita eterne,
con quell’accortezza che soltanto un bravo insegnante possiede; il sapiente, se scriverà lo farà per affidando invece la serietà
dialettica», gioco,