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Platone, Apologia di Socrate 17a - 23c
[17] PROEMIO - Cittadini ateniesi, che cosa abbiate subito da parte dei miei accusatori io
non lo so; quanto a me, a causa loro, per poco non mi sono dimenticato di me stesso, da
quanto parlavano in modo convincente: eppure non hanno parlato di niente di vero, per
così dire. Ma soprattutto mi stupì una delle molte cose false che dicevano, questo tra quello
che dicevano, cioè che dovevate stare attenti a non essere ingannati da me perché sono
estremamente abile a parlare. Il fatto di non vergognarsi che saranno subito confutati da
me sul fatto quando io appaia in alcun modo abile a parlare, questo mi sembrò di loro la
cosa più vergognosa, a meno che non chiamino abile coloro che dicono la verità; se è,
infatti, questo che dicono, potrei anche essere d’accordo io stesso di essere un retore, (ma)
non alla maniera di questi. E dunque questi, come dico io, o (solo) qualcosa di vero o
niente: ma da me voi ascolterete tutta la verità. Però, per Zeus, non (ascolterete), uomini
ateniesi, discorsi pronunciati in modo forbito, come quelli di costoro, né ornati per parole e
fraseggio, ma ascolterete discorsi a caso con le prime parole che capitano. Ritengo, infatti,
che le cose che dico siano giuste: e nessuno di voi si aspetti altro da me. Ne forse sarebbe
conveniente, cittadini, che a quest’età mi presentassi davanti a voi forgiando discorsi come
un ragazzo. E però davvero, cittadini ateniesi, vi prego e vi scongiuro di questo: qualora
sentiate che mi difendo con quelle stesse parole con cui sono solito parlare tra i banchi in
piazza, dove molti di voi mi hanno ascoltato, e altrove, non stupitevi e non strepitate per
questo. (Le cose) stanno proprio così: io ora per la prima volta mi sono presentato in
tribunale, che ho settant’anni, dunque mi trovo del tutto straniero al modo di parlare di
qui. Come, se mi trovassi per davvero ad essere straniero, sareste indulgenti con me se
parlassi con quella lingua e quel modo nelle quali fossi stato cresciuto, [18] e quindi ora
prego voi di questa cosa giusta, come mi sembra, di tralasciare il modo di parlare, sia se
fosse il peggiore come se fosse il migliore, ma di considerare e volgere la mente a questo, se
dico cose giuste o no: questa, infatti, è la virtù del giudice, mentre quella del retore è dire la
verità.
PROTHESIS - Innanzitutto è giusto che mi difenda, cittadini ateniesi, dalle prime cose
false che sono state dette su di me e dai primi accusatori, e dopo questo dalle cose e dagli
accusatori più recenti. Molti, infatti, sono diventati miei accusatori e da tempo, ormai da
molti anni, e senza dire nulla di vero, io temo più questi che quelli intorno ad Anito, benché
anche questi siano temibili. Ma, cittadini, i più temibili sono quelli che vi persuadevano
prendendosi a carico la maggior parte di voi (sin) da bambini e (che) mi accusavano di
niente di vero, che “c’è un certo Socrate, uomo sapiente, pensatore delle cose celesti e che
ha cercato tutte le cose che stanno sottoterra e che rende più efficace un discorso debole”.
Questi, o Ateniesi, quelli che hanno sparso questa voce, sono i miei accusatori più temibili.
Quelli che li ascoltano, infatti, credono che chi ricerca queste cose non riconosca gli dei; e
poi questi accusatori sono molti e hanno preso ad accusarmi già da molto tempo, e inoltre
rivolgendosi a voi in questa età in cui si presta moltissima fiducia (quando alcuni di voi
erano bambini o ragazzini), facendo un’accusa assolutamente deserta , in quanto non
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Cioè un’accusa in contumacia.
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stavano accusando nessuno. Ma ciò (che è) più irragionevole di tutto è che non è possibile
né sapere né dire i loro nomi, tranne che se uno si trova ad essere un commediografo.
Quanti ci persuadono usando l’invidia e la maldicenza - alcuni persuadendo altri dopo
essere stati persuasi a loro volta - tutti questi sono i più difficili. Infatti, non è possibile
farlo salire qui (sopra) ne dimostrare colpevole nessuno, ma è necessario, mentre ci si
difende, veramente come combattere con le ombre e confutare senza che nessuno
risponda. Ritenete anche voi, come io affermo, che i miei accusatori siano due - gli uni che
mi hanno accusato ora e gli altri, quelli che dico di un tempo - e ritenente che mi debba
difendere innanzitutto verso di loro. E voi, infatti, ascoltaste per primi loro che mi
accusavano, e molto di più di questi (che mi accusarono) dopo.
E sia: mi devo dunque difendere, o Ateniesi, [19] e devo provare ad allontanare da voi la
calunnia, che da molto tempo avete acquisito e questo va fatto in così poco tempo. Io vorrei
che questo avvenisse così, se qualcosa di migliore per voi e per me e di più grande può
essere fatto difendendomi. Ma penso per altro che sia difficile e non mi è per niente
nascosto di che specie sia. Tuttavia questo vada come è caro al dio, alla legge bisogna
obbedire e difendersi.
Riprendiamo dunque dall’inizio, quale sia l’accusa dalla quale si è generata la calunnia
verso di me, credendo alla quale Meleto mi ha intentato questa causa. Dunque: dicendo
che cosa mi calunniavano i denigratori? Per esempio bisogna leggere il giuramento di
quelli che accusano: “Socrate commette ingiustizia e fa indagini cercando le cose sotto
terra e quelle nel cielo e rendendo più efficace un discorso debole e insegnando queste
stesse cose ad altri”. Questo è. Vedete, infatti, queste cose anche voi stessi nella commedia
di Aristofane, là un certo Socrate si muove ruotando e diceva di camminare per aria e
cianciava di molte altre sciocchezze di cui io non sono per niente esperto. E io non lo dico
perché disprezzo per questo tipo di scienza, se esiste qualcuno che sia sapiente riguardo a
queste: possa io non essere in qualche modo accusato da Meleto di tali giudizi! Ma io non
ho niente a che fare con queste cose, o Ateniesi. Presento come testimoni la maggior parte
di voi, e vi chiedo di informarvi e parlavi tra di voi, quanti mai avete udito me che
discutevo: e molti di voi sono tali… ditevi dunque uno con l’altro se mai qualcuno di voi mi
ha udito discutere di queste cose o poco o tanto. E da questo capirete che sono tali anche le
altre cose che molti dicono sul mio conto.
Ma infatti nessuna di queste cose è (vera), se dunque avete sentito da qualcuno che io mi
metto ad educare la gente e mi faccio pagare in denaro, neanche questo è la verità. Poiché
mi sembra che sia una buona cosa se ci sia qualcuno tale da educare la gente, come Gorgia
di Leontini, Prodico di Ceo e Ippia di Elide. Ciascuno di questi, o Ateniesi, è tale da andare
in ciascuna città, convincono i giovani - che potrebbero seguire senza pagare uno dei propri
concittadini, quello che vogliono - a seguirli, [20] lasciando le loro compagnie e dando loro
dei soldi, e a guardarli con gratitudine. E c’è anche un altro uomo sapiente di Paro, che ho
sentito sta soggiornando qui. Mi è capitato, infatti, di incontrare l’uomo che, con i sofisti,
ha pagato più soldi di tutti quanti gli altri, Callia, figlio di Ipponico. Dunque gli chiesi
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questo - ha infatti due figli: “Callia, se i tuoi figli fossero due puledri o due vitelli, avremmo
da prendere e assoldare un maestro per loro due, che doveva renderli belli e buoni secondo
la virtù che gli è propria; costui sarebbe dunque uno esperto di ippica o di agricoltura. Ma
ora, poiché sono (due) uomini, quale maestro hai da assumere in riguardo alla mente? Chi
è competente di quella virtù umana e civica? Penso che tu, poiché hai dei figli, lo avrai
considerato. Questo esiste”, dissi io, “o no?” “Sicuramente”, dice questo. “Chi” dico io “da
dove viene e per quale prezzo insegna?”. “Oh Socrate”, disse “(è) Eveno di Paro, per cinque
mine”. E io mi dico, beato Eveno di Paro, se davvero possiede questa arte e la insegna così
appropriatamente. Anche io di certo, mi farei bello e mi darei delle arie se fossi capace di
queste cose. Ma io, Ateniesi, non ne sono in grado.
Qualcuno di voi potrebbe forse ribattere: “Ma, Socrate, qual è allora la questione? Da dove
sono nate queste calunnie verso di te? Se tu davvero non ti sei dato da fare in qualche
stravaganza di altro tipo, perché è sorta questa voce e questa diceria, se non hai fatto
qualcosa di diverso dal resto? Dicci, dunque, che cos’è, per non parlare di te a caso”. Mi
sembra che colui che parla dica cosa giusta, ed io proverò a mostrarvi che cosa è stato a
produrre la mia fama e la mia calunnia. Ascoltate allora. E forse sembra ad alcuni di voi
che io stia scherzando, però sappiate che vi dirò tutta la verità. Io, uomini ateniesi, ho
ottenuto questa fame non per nulla ma grazie a una certa qual sapienza. Qual è dunque
questa sapienza? Questa è forse una sapienza umana. In realtà è probabile che in questa io
sia sapiente. Mentre quelli di cui dicevo poco fa sarebbero sapienti in una sapienza più
umana o non so cosa sia: io però non ne sono di certo pratico, ma chi lo dice afferma il
falso e mi dice per calunnia verso di me. Ora, o Ateniesi, non disturbatemi, anche se può
sembrare che io stia parlando presuntuosamente. Il discorso che farò infatti non è mio, ma
riferirò le cose dette da uno degno della vostra fiducia. Della mia saggezza, se davvero c’è e
di che tipo, porterò a testimone il dio che si trova a Delfi. Conoscete di certo Cherofonte.
Costui è stato un mio amico sin dalla giovinezza, vostro amico anche nella parte popolare,
fu costretto all’esilio comune e tornò insieme a voi. E sapete davvero com’era Cherofonte,
come si precipitava impetuoso su qualsiasi cosa. E recatosi un giorno a Delfi osò chiedere
questo all’oracolo: (e, vi dico questo, non fare rumore, cittadini) chiese infatti se ci fosse
qualcuno più sapiente di me. La Pizia rispose che non esisteva nessuno di più sapiente. E di
queste cose vi sarà testimone costui, suo fratello (Cherecrate), poiché quello è mancato.
Ma badate al motivo per cui dico queste cose: ho, infatti, intenzione di spiegarvi da dove è
nata la calunnia contro di me. Quando udii queste cose riflettei così: “Che cosa mai afferma
il dio e che cosa allude? Io, per me, sono consapevole di non essere sapiente, né molto né
poco. Cosa vuol dire dunque quando afferma che io sono il più sapiente? Di certo non
mente: non gli sarebbe lecito. E per molto tempo restai incerto su quello che afferma:
allora, davvero a fatica, mi volsi a questa ricerca del dio. Andai da uno di co