vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
LA REALTÀ COME TRADUZIONE. PERCEZIONE E SENSO DELLE COSE.
L’obiettivo di tentare di considerare in chiave traduttiva i processi cognitivi, vale a dire
quei processi alla base del funzionamento della mente umana attraverso cui l’uomo
conosce il mondo esterno (percezione, intuizione, consapevolezza, memoria,
attenzione, etc.) che gli consentono di concettualizzare e comunicare la realtà della
quale è parte, implica la necessità di ritenere essa stessa una macrostruttura
semiotica, la cui comprensione è intesa come frutto di un originario meccanismo,
appunto, traduttivo.
Si affronterà in primo luogo la PERCEZIONE e come essa costituisce la fonte delle
informazioni che la mente manipola e assimila; successivamente verrà preso in
considerazione il RAGIONAMENTO e i PROCEDIMENTI che consentono il passaggio dal
“concreto oggettivo”, rilevato sotto forma di stimolo fenomenico, alla cognizione,
prima concettuale e poi semantica.
La PERCEZIONE opera la sintesi dei dati sensoriali ed ha due modalità d’azione
- La prima consiste negli effetti immediati provocati da un fenomeno nel momento in
cui i recettori sensoriali entrano a contatto con esso
-la seconda intesa come trasformazione dei dati sensoriali in giudizi percettivi.
Ogni oggetto percepito viene innanzitutto inglobato in una categoria e poi è
organizzato sotto forma di concetto e comunicato mediante l’attribuzione di uno
specifico significato.
Grazie alla percezione la mente elabora i dati fenomenici recepiti e tenta di ricostruire
il referente dal quale essi sono scaturiti.
MODO IN CUI LA REALTÀ APPRODA ALLA MENTE DELL’INDIVIDUO:
Kant nella Critica della Ragion Pura affrontò l’analisi della conoscenza intesa come
sintesi di materia (intesa come molteplicità delle impressioni sensibili che provengono
dall’esperienza- secondo il pensiero empirista la scienza produce giudizi sintetici
aposteriori, basati sull’esperienza che amplia il sapere, il difetto è che non è
universale) e forma (modalità fisse attraverso cui la mente ordina queste impressioni-
secondo il pensiero razionalista la scienza produce giudizi analitici apriori, vale a dire
che non hanno bisogno dell’esperienza (tautologia), il pregio è che è valido per tutti e
non può essere smentito, il difetto è che non estende il sapere), arrivando al giudizio
sintetico apriori.
È esclusa quindi l’immediata corrispondenza dei concetti ad una realtà oggettuale
preesistente e al contrario è l’oggetto ad adeguarsi alla mente, assegnando così
centralità al soggetto nel processo conoscitivo. Essa filtra attivamente i dati empirici
attraverso forme che sono innate e che sono comuni a ogni soggetto pensante. Le
forme essendo apriori rispetto all’esperienza hanno una validità inesauribile e vengono
applicate da tutti alla stessa maniera; così dato che i soggetti razionali condividono le
medesime funzioni conoscitive, il pensiero risulta universale e necessario. Ciò è
denominata rivoluzione copernicana: Copernico ricerca la spiegazione dei movimenti
osservabili in cielo non negli oggetti celesti, ma nel fatto che è l’osservatore a
muoversi insieme alla terra; analogamente Kant sostiene che conosciamo gli oggetti
non per come sono in sé, ma secondo le modalità previste dalle nostre facoltà.
Questa impostazione della conoscenza ha introdotto la distinzione tra fenomeno e
cosa in sé.
Il fenomeno è la realtà che ci appare tramite le forme apriori ed è l’unica cosa che
l’uomo può conoscere, ciò che vede e non è illusorio in quanto è un oggetto reale
anche se esclusivamente in relazione al soggetto conoscente.
Il Noumeno è la cosa in sé che costituisce la realtà indipendentemente dai soggetti e
dalle forme apriori; esso è la realtà che ci sfugge.
Dunque la conoscenza della realtà non scaturisce solo dalle cose reali, ma dal rapporto
mente-stimoli fenomenici. (es. effetti ottici: ciò che sembra evidente all’occhio umano
non deriva unicamente dall’input situazionale, ma appartiene al giudizio operato dalla
mente.
Una lettura ingenua potrebbe portarci ad affermare che le nostre percezioni sono la
riproduzione di una porzione di realtà, mentre in verità anche il mondo che noi
vediamo è frutto di giudizi percettivi.
Ciò in quanto la mente non è consapevole dell’interferenza che essa compie nei
confronti dei fatti esterni, infatti l’organizzazione delle percezioni viene proiettata nel
mondo reale sena alcuna consapevolezza delle modifiche che la mente apporta.
Detto ciò, è inevitabile il confronto con la percezione che si ha della struttura
linguistica, dal momento che la segmentazione dei suoni non è possibile riscontrarla
nel mondo reale. Infatti, la struttura analizzabile è presente esclusivamente sul piano
dell’astrazione di ogni processo linguistico che riguarda/concerne esclusivamente le
menti di coloro che partecipano alla comunicazione grazie alla comprensione; e ciò dà
valore all’ipotesi della traduzione che la mente attua per cogliere ciò che sta al di fuori
e che avviene insieme con l’attività di pensiero, vincolata alla struttura del linguaggio.
È di fatto impossibile immaginare di poter afferrare un pensiero in assenza di un
soggetto pensante. Si tratta dunque di una traduzione operata dalla mente in maniera
inconsapevole. Perciò si può affermare che l’input situazionale, che è diretta
espressione del mondo circostante, non sia effettivamente esistente.
Se dunque ciò che percepiamo non è reale, da dove deriva la percezione dello stesso?
La distinzione kantiana tra materia e forma, alle cui si attribuiscono rispettivamente
input situazionale e la capacità di costruire i giudizi percettivi (percezione di ciò che
viene inteso e comunicato come realtà), è da applicare anche alla semantica delle
lingue naturali, dal momento che durante l’atto comunicativo è possibile veicolare
informazioni ottenute da ciò che la mente percepisce, vale a dire da immagini che
derivano dal mondo fenomenico di cui il linguaggio è veicolo.
Accantonando lo scambio di informazioni che non riguardano il mondo reale ma sono
frutto di elaborazioni concettuali, consideriamo invece i processi che a partire
dall’input si attuano nella mente.
Anche in questo caso, a partire dall’input si attuano dei processi alla cui base sta un
meccanismo traduttivo;
il sistema nervoso genera una corrispondenza tra i fenomeni reali e quelli percepiti ed
attiva un meccanismo che porta al formarsi di una struttura concettuale di cui la
coscienza può avere consapevolezza o meno.
Il semiologo C.S. Peirce parla di diversi oggetti che sono responsabili del processo di
semiosi all’interno della mente dell’interprete. Importante sottolineare il fatto che egli
sia realista, ovvero crede che le cose, la realtà oggettiva ed i segni, esistono davvero.
Con ciò egli compie una distinzione della nozione di oggetto il quale altro non è che ciò
per cui il segno sta o ciò a cui esso rinvia; egli infatti afferma che “un segno è qualcosa
che per qualcuno sta al posto di qualcos’altro sotto un certo rispetto o capacità”.
L’oggetto, secondo P., può essere identificato sia come l’iniziatore sia come lo scopo
del processo di semiosi;
-nel primo caso lo denomina oggetto dinamico, che sta al di fuori del processo triadico
-nel secondo oggetto immediato, il quale entra nel processo triadico.
Attraverso l’invito a conoscere generato dall’ogg. immediato si crea nell’interprete
quel meccanismo noto col nome di SEMIOSI ILLIMITATA che, secondo P, è responsabile
dell’avvicinamento dell’interprete all’oggetto dinamico, ovvero alla realtà che per P
esiste effettivamente e con la quale l’individuo non può rapportarsi direttamente
poiché gli elementi che la compongono hanno dimensioni differenti e dato che
l’attenzione è selettiva, non ha la possibilità di dedicarsi contemporaneamente a più
componenti.
Ciò dimostra che l’entità mentale (l’interprete) è più piccola della realtà (oggetto
dinamico) che vuole giudicare. Dunque la realtà/oggetto dinamico non può essere
percepito da una mente individuale.
Il processo di semiosi illimitata aggiunge una conoscenza in più rispetto a ciò che la
mente ha contemplato. Gli oggetti immediati si sovrappongono e formano un processo
che aspira ad approdare all’oggetto immediato.
Da ciò si capisce l’idea che Peirce ha della realtà: qualcosa di esistente e conoscibile,
ma non in termini intuitivi o empirici, bensì logico-inferenziali.
A seguito del contatto tra un fenomeno ed un soggetto pensante, la mente inizia
l’analisi dei dati che riceve dal mondo esterno e li elabora attraverso il ragionamento
logico.
Il RAGIONAMENTO consiste in un’attività mentale che implica la facoltà di tradurre ed
è intesa come la capacità di:
-elaborare ipotesi
-individuare conclusioni
-cogliere il significato delle parole.
Heidegger sostiene che il comprendere rappresenti “un modo di essere dell’esserci”,
ovvero dell’esserci dell’uomo nel mondo.
Gadamer sostiene l’esistenza sia influenzata da una serie di conoscenze che chiama
precomprensioni o pregiudizi e che sono un giudizio postulato ancora prima che
l’uomo venga in contatto diretto con gli elementi rilevati.
Consideriamo ora i fenomeni che avvengono nella mente dell’interprete che stanno
alla base del ragionamento. Secondo Husserl (fondatore della fenomenologia) del
soggetto è collegata direttamente alla funzione attiva della conoscenza nella quale,
all’inizio, è assente la forma logico-linguistica. Egli avverte una connessione tra le
forme dell’esperienza “ante-predicativa, cioè della sfera puramente percettiva, ed il
pensiero logico dell’esperienza predicativa. Egli insiste molto sulla contrapposizione
del fare ricettivo e produttivo. Nel campo della pura percezione sensibile, che è
appunto quello della ricettività, l’oggetto sensibile si dà all’interprete ed in questa fase
di conoscenza l’attività dell’io consiste nell’atto di accogliere ciò che su di lui ha
esercitato un’attrazione; in questo tipo di conoscenza si conserva ciò che è stato dato
dall’esperienza ma non si ha un vero possesso di ciò che è