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IL NAZIONALISMO TEDESCO

Una delle cause che ha reso importante il concetto di popolo (Volk), all’interno della cultura della

storia tedesca, è dovuta al tardo e difficile rapporto con lo Stato moderno.

Così, il popolo-nazione esprime la volontà e il dovere di realizzare l’unità politica del popolo

tedesco, decontaminandolo dalle commistioni a cui era stato costretto nel corso della storia e

liberandolo in particolar modo dalla cultura “occidentale”.

Questo atteggiamento risultava assai polemico nei confronti della Francia e dell’Inghilterra.

Rispetto a questi modelli “occidentali”, la Germania intendeva esprimere la propria specificità

nazionale, mostrare di essere capace di superarli sul piano politico, economico e culturale; tutto

ciò, grazie allo spirito nazionale e popolare, espressione della sua vitalità naturale e non di un

artificio razionalistico.

Dalla metà dell’Ottocento agli inizi del XX secolo, il nazionalismo tedesco assume sempre più il

carattere di un’ ideologia antisocialista e in parte antiborghese, sempre più irrazionalistica e

decadentistica.

In Oswald Spengler (1880-1936) il nazionalismo diventa strumento di critica dell’intera civiltà

tedesca.

Egli individua nella cultura la forma fondamentale della storia, concependola come organismo

fornito di un proprio ciclo vitale: ogni cultura, infatti, nasce, cresce e giunge alla morte seguendo la

medesima successione di fasi, realizzando un complesso di possibilità biologicamente dato in cui si

esprime il ciclo vitale di cui essa è determinata.

Ogni cultura nasce a partire dalla umanità primitiva, il cui presupposto e segno visibile è la nascita

delle città. Al loro interno avviene lo sviluppo dello spirito e si costituiscono i popoli: ovvero,

comunità di razza e di lingua, che acquisendo coscienza della propria unità tendono a darsi

organizzazione politica sotto forma di nazioni. Ma il vero e proprio fondamento è individuato, da

Spengler, nella razza, intesa come “espressione del sangue”; elemento inconscio su cui poggia ogni

cultura.

Mentre il periodo conclusivo della cultura è definito Zivilisation, “civiltà” in senso esteriore e

razionalistico. Il mondo della Zivilisation è, al tempo stesso mondo della decadenza e della

razionalità utilitaria, della scienza e l’ insieme delle forme consolidate della organizzazione tecnico-

scientifica del mondo sociale. Tra Kultur e Zivilitasation si determina, quindi, una radicale

contrapposizione, e ogni cultura vive l’incivilimento come proprio stato finale e poi come 12

decadenza. Nel tramonto dell’Occidente, Spengeler, individua otto culture, ossia otto forme di vita

associata mediante le quali l’uomo è giunto a esistenza storica: sono la cultura egizia, babilonese,

indiana, cinese, greco-romana, araba, messicana ed infine quella occidentale.

Su questi presupposti, Spengler formula la propria diagnosi circa la fase attuale del processo

evolutivo della cultura occidentale. Questa è stata caratterizzata in età classica dallo “spirito

apollineo”, concentrato sulla contemplazione della bellezza corporea, e in età moderna dallo

“spirito faustiano”, orientato invece alla forza, alla sottomissione della natura. Oggi, viviamo in una

società caratterizzata dal “rovesciamento di tutti i valori”, proclamato da Nietzsche e verificabile in

ogni campo della cultura, soprattutto quello etico e religioso. Proprio il socialismo rappresenta la

più rilevante manifestazione di questa crisi etico-religiosa, che altro non è che il risultato del

rovesciamento del rapporto naturale tra politica ed economia: la politica non dirige più

l’economia, ma le è subordinata. Il regime che riflette questa situazione è la democrazia, ultima

fase del processo evolutivo della Zivilisation sul piano politico e sociale che implica il ritorno a uno

stato primitivo dominato da masse improduttive e informi. 1

Il pessimismo di Spengler si riflette nei suoi scritti, il cui intento è quello di formulare un

programma politico-sociale mediante il quale esplicitare i presupposti ideologici che stanno alla

base delle diagnosi e delle previsioni contenute nella sua opera maggiore.

Nel “Il tramonto dell’Occidente”, gli elementi contro i quali egli si pone sono dati dal liberalismo,

dal regime parlamentare, dal predominio dei partiti e dell’organizzazione capitalistica del lavoro e

dalla tecnica. Questa è intesa come sviluppo parallelo della burocratizzazione, industrializzazione e

imperialismo, il quale fa sì che le funzioni della politica vengano assorbite da una potenza che

diviene sempre più estranea all’uomo e che trionfa a spese di quel progresso morale e politico che

gli era stato associato. Il progresso coincide, dunque, con la decadenza.

Il pensiero di Spengler, anche se non accolto completamente, fu il punto di riferimento della

cosiddetta rivoluzione conservatrice, cioè del pensiero di destra nella Germania della repubblica di

Weimar, ma non portò Spengler ad aderire al nazismo.

IL NAZIONALISMO FRANCESE

Il nazionalismo francese, dal punto di vista intellettuale, esprime la reazione contro gli ideali del

1789, non contro il relativismo della rivoluzione, quanto all’ universalismo di essa; ma la sua

esasperazione è dovuta dall’ansia di rivincita contro la Germania, a causa dell’esito negativo della

battaglia del 1870.

Tra gli esponenti di questo pensiero politico ritroviamo Maurice Barrès (1862-1923) che in opere

come Les Déracinés (1897) e Scènes et doctrines du nationalisme (1902) mescola la ripulsa

nazionalistica nei confronti degli stranieri e dei barbari con temi socialisti e appelli alla sovranità

popolare. Barrès prende atto dei cambiamenti cui va incontro la scena politica quando gli sviluppi

della rivoluzione industriale cominciano a promuovere le condizioni per l’integrazione nazionale

della classe operaia.

Egli teorizza una convergenza di interessi tra capitale e lavoro: la lotta di classe e la competizione

tra i partiti politici devono essere sostituiti dalla solidarietà nazionale, così da poter difendere gli

interessi supremi del paese. Sul piano politico, oppone al centralismo statuale un ordinamento

federale democratico e repubblicano modellato sull’esempio svizzero, in cui il popolo governi

senza la mediazione di organi rappresentativi. Sul piano economico-sociale, invece, propone una 13

sorta di socialismo corporativo, nazionale e protezionistico, basato sulla proprietà collettiva, che

porti i lavoratori a riallinearsi alle superiori esigenze della solidarietà nazionale per effetto della

loro trasformazione da salariati a “soci” dell’impresa produttiva.

Contrario al nazionalismo, teorico e leader del movimento di estrema destra francese “Action

française”, Charles Maurras (1868-1952) intende la rivoluzione come scostamento catastrofico dai

valori della tradizione. Egli sostiene un nazionalismo “positivista” che basa sulla scienza e sulla

storia le proprie ipotesi di una politica naturale fondata sulla nazione come continuità biologica e

storica. Maurras attribuisce alla monarchia un’ insostituibile funzione unitaria, poiché assolve al

compito di assicurare i valori della nazione; la quale è intesa come continuità della tradizione,

stabilità delle gerarchie naturali, mantenimento del corporativismo sociale. In questa visione ruolo

centrare è svolto anche dal cattolicesimo: non può esserci politica ordinata senza la religione e la

Chiesa cattolica con la sua autorità.

IL NAZIONALISMO ITALIANO

I temi connessi all’esaltazione della nazione come entità superiore cui ricondurre il destino singolo

e collettivo degli individui che fanno parte, come sostanza cui subordinare sia l’origine e la fine, sia

i diritti e i doveri dei cittadini, sottomessi all’autorità di uno Stato destinato a una funzione

rigeneratrice e provvidenziale, si ritrovano anche nel nazionalismo italiano successivo a Mazzini.

In una situazione italiana, caratterizzata da arretratezza economica-sociale, questo nazionalismo si

fece carico della necessità di completare il processo di unificazione dando simultaneamente avvio

a una politica di espansione coloniale, considerata essenziale per risolvere i problemi

dell’emigrazione e del Mezzogiorno.

Mentre Alfredo Oriani (1852-1909) dà inizio al processo di revisione storiografica del Risorgimento

per denunciare la decadenza della vita politica italiana negli anni successivi all’unificazione (La

lotta politica in Italia, 1892) e per suggerire una forma di rinascita morale affidata a un’aristocrazia

spirituale (La rivolta ideale, 1908), e mentre Gabriele D’Annunzio dà del nazionalismo

un’interpretazione individualistica, eroica e spettacolare, Enrico Corradini (1865-1931) elabora

una sorta di lotta darwiniana tra le nazioni, che oppone le nazioni povere e “proletarie” a quelle

ricche e “plutocratiche”, considerando l’Italia come nazione proletaria.

“Nazione proletaria” e “socialismo nazionale” costituiscono gli assi portanti della concezione

politica di Corradini, improntata a un idealismo guerriero, che include la visione di uno Stato Forte,

capace di organizzare politicamente e moralmente i cittadini, uno Stato organico ed imperialista

guidato da élite governanti.

Alfredo Rocco (1875-1935) fu il più significativo legislatore del fascismo. Oltre a riprendere i temi

legati alla missione civilizzatrice della potenza e della civiltà italiana, in quanto erede della

tradizione romana e cattolica, egli si ispira alle concezioni del diritto tedesco nell’accentuare il

ruolo fondante dell’autorità dello Stato, in polemica contro ogni concezione individualistica della

libertà e ogni sua traduzione nella prassi della liberaldemocrazia e del parlamentarismo. La libertà

del cittadino non deriva dal diritto naturale, ma dall’autolimitazione dello Stato, cui spetta il

compito di introdurre nel corpo sociale i principi della gerarchia e di farsi strumento regolatore dei

conflitti di lavoro, in modo da soffocare dall’ alto ogni forma di pluralismo politico e sociale e da

mobilitare tutte le risorse materiali e ideali della società in funzione di una politica di potenza. 14

I totalitarismi

I totalitarismi, servendosi dell’ideologia, rappresentano la più grande manifestazione del tentativo

di rispondere all’esigenza di riorganizzare il rapporto tra individuo e Stato, fra economia e politica,

proponendo quest’ultima come dimensione “totale”, capace di penetrare in tutti gli ambiti sociali

(economia, cult

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
20 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher malfa13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof Mancarella Angelo.