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CAP.2) LA TERZA SPONDA DEL FIUME. UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO ALLA

MEDIAZIONE CULTURALE di Roberto Beneduce

Queste riflessioni cogliono prendere in esame alcuni aspetti relativi alla pratica clinica con

pazienti immigrati, cittadini stranieri nei confronti dei quali chi scrive ha ostinatamente deciso di

problematicizzare ed esplorare il senso delle appartenenze (culturali, sociali, religiose). La

pratica clinica così costruita l'ho definita etnopsichiatria in mancanza di termini migliori (e forse

sarebbe il caso di cominciare a parlare di ethos-psichiatria), e in essa il dispositivo della

mediazione culturale o etnoclinica, che si incarni in operatori concreti (i mediatori culturali) o

meno, ha svolto una funzione essenziale.

5.Una metafora a mò di conclusione: la terza sponda di Guimaràes Rosa

L'invito a riconsiderare i nostri saperi, a interrogare i saperi e le appartenenze di coloro che

abbiamo di fronte, le nostre stesse appartenenze, è un invito strategico nel lavoro

dell'etnopsichiatria clinica. "Strategico" significa qui non eludibile. Il fatto che gli utenti stranieri

non si trovino a proprio agio nei servizi di salute mentale, al cospetto degli operatori che

scrutano e diagnosticano, sembra a molti un dato poco rilevante per dare inizio a una

riflessione più ampia e vigorosa sulle ragioni di questo disagio, sul perchè la loro presenza sia

ridotta in rapporto alla percentuale di utenti autoctoni, o sul perchè il numero di incontri è

spesso breve: come se avessimo in qualche modo dato per scontato che questi problemi

derivino unicamente dalla loro precarietà, dalla loro instabilità residenziale, e ciò basta a

rassicurarci, a impedirci di mettere in discussione i nostri stili e la nostra concezione della cura

o a ripendare il sapere che lo nutre. Tutto rimane fondamentalmente identico a se stesso, e

non si tollera l'idea che possano essere intrecciate, pensate altre strategie, altri modi di

guarire, che esista un altra saggezza della cura che guarda a legami, a ragioni e territori non

coincidenti con quelli della ragione biomedica, ciò che traspare anche dal discorso medico

descritto da LivingStone nel suo celebre dialogo e riportato in epigrafe poc’anzi: quel medico

bianco non riesce infatti a comprendere la serietà della teoria (e delle finzioni) dei guaritori

KWena che gli sta di fronte (il medico tradizionale responsabile delle piogge), una serietà che

si rivela per intero nell'indifferenza di quest'ultimo verso prove empiriche del suo potere nel

sogno, fallace e irrazionale agli occhi del medio bianco (come voleva mettere in rilievo

Livingstone) ma umano, di veder fertile e verde l'intero paese. Non una Ragione ma diversi

sistemi di ragionamento?

Da sempre ho con me l'immagine che mi viene dal racconto di un grande narratore Joào

Guimares Rosa. In un breve ma densissimo racconto dal titolo Aterceira margem do Rio,

l'autore racconta e parla di un uomo descritto dalla voce quasi roca e incerta del figlio (così noi

l'abbiamo sentita ogni qualvolta abbiamo letto questo racconto), che a un certo punto decide di

lasciare tutto e tutti, si fa costruire una canoa che possa resistere all'azione delle acque e

decide di porsi al centro del fiume; rimane li, immobile, senza andare in nessuna direzione

come sospeso a un destino di morte:

"Egli non era andato in nessuna parte. Soltanto seguiva l'invenzione di rimanersene in questi

spazi del fiume, da mezzo a mezzo, sempre dentro la canoa, per non scenderne, mai più".

La sua scelta sorprende e spaventa la famiglia, che se all'inizio continua a portare del cibo

sulla sponda del fiume sperando che lui lo raccolga, comprende poi, solo dopo e quando è già

tardi, che quella fuga, quell'andarsene, solo definitivi, senza ritorno.

Quell'immagine mi serve per pensare a questo spazio particolare che è spesso lo spazio della

sofferenza di molti uomini e donne immigrati che noi incontriamo, di molti dei loro bambini nati

qui o altrove: ma è anche lo spazio dell'incontro reso possibile, prodotto da un dispositivo

quale quello della mediazione etnoclinica. Si tratta di uno spazio nel quale ci si può

incamminare solo a condizioni di prendere distanza dall'ovvietà dei nostri modelli di salute e

dalle nostre categorie diagnostiche, nella consapevolezza che non sarà però ricollocando la

sofferenza del paziente immigrato fra le presunte categorie di un altro sapere, di un altra

tradizione culturale, che potremmo capire, operare o curare senza problemi. Quella canoa

irragiungibile, ostinatamente sospesa in mezzo al fiume, ancorata ad una sponda invisibile, ad

un altrove che non è nè quello di prima, nè quello di adesso, non più la loro sponda e

nemmeno la nostra, è l'immagine esemplare di quell'avventura ambigua di cui scriveva anche

Kane per tradurre lo stato di incertezza, la domanda appena sussurata che accompagna

talvolta questi corpi e questi sguardi inquieti in cerca di aiuto, presi in una ricerca infinita, e

stretti a questa strana "invenzione di rimanersene... da mezzo a mezzo" e insieme la metafora

esemplare di quell "entre deux" che sostuisce il propium dell'etnopsichiatria clinica, la

condizione della sua efficacia e del suo faticoso operare. Quell'immagine, non molto lontana

dalla thin line evocata da Pandolfo, mi è utile perchè narra di un problema che in questi anni

ho visto riprodursi in forme e linguaggi diversi, ma che al fondo suonava sempre lo stesso, e

che interroga il senso del nostro lavoro mostrando, dalla mediazione culturale, il suo significato

più profondo: proprio nell'intenzionale scelta di stare nel mezzo, rinunciando a prendere una

direzione, il protagonista del racconto è come se implicitamente chiedesse, a chi volesse

incontrarlo davvero avvicinandosi così al suo destino, alle sue difficoltà, ai suoi dubbi, di

rinunciare alla consueta ed estenuata alternativa: questa o quella sponda (o come dice

Nathan, universalismo o culturalismo?, repubblica o comunità?). QUeste dicotomie, che fanno

purtroppo spesso l'anima delle nostre classificazioni, non servono, queste figure che si

contrappongono sono poco utili quando dobbiamo incontrare e curare destini e biografie che si

svelano e si nascondono al tempo stesso in una "doppia assenza, e che, ancora prima che il

luogo o il tempo, cercano il modo per asserire un progetto e veder riconosciuta la loro ricerca,

ciò che sta appena dietro la loro volontà di guarire.

CAP.3) LA NUOVA REALTA' DELL'IMMIGRAZIONE: DAL SINGOLO ALLA FAMIGLIA.

DINAMICHE FAMILIARI E ASPETTI SOCIO-SANITARI. Di Aldo Morrone e Federica Mereu

Introduzione.

Il fenomeno immigratorio ha assunto negli ultimi tempi dimensioni, complessità e aspetti

strutturali assolutamente inimmaginabili solo 20 anni fa. Si osserva tutt'oggi un gap terribile tra

accuratezza d'indagine e scarsa applicazione dei risultati in sede di attuazione di politiche

complessive sul fenomeno.

Non siamo ancora stati capaci di approfondire le reali cause politiche e socio-economiche che

conducono oggi millioni di poveri, di esclusi dalla storia, a lasciare la propria terra di origine per

cercare di riappropriarsi di una parte di quella ricchezza di cui sono stati violentemente

espropriati in un passato non troppo remoto.

Oggi i settori più attenti e sensibili della società civile si interessano al problema

dell'immigrazione cercando di dare risposte concrete a situazioni di disagio e sofferenza, per

rendere questo esodo biblico il meno doloroso possibile.

Si fa sempre più urgente la creazione di un nuovo modello etico, culturale ed economico che

privilegi la vita di tutti, a partire da quella dei più deboli, emarginati e sofferenti.

Il rispetto della natura, degli esseri umani nella loro diversità di uomini, donne e bambini, la

ricerca della pace per tutti, di una nuova qualità della vita deve essere il nostro nuovo

imperativo categorico.

2.Il fenomeno immigratorio nel contesto nord-sud del pianeta

Le migrazioni hanno rimescolato completamente la geografia umana del pianeta. La salute di

un paese non si difende con i reticolati, ma con la collaborazione aperta e il reciproco scambio

delle informazioni scientifiche e tecnologiche.

La caratteristica delle migrazioni è il viaggiare verso terre che si spera propizie e accoglienti. Il

viaggio comporta sempre pericoli e malattie. Le migrazioni hanno sempre caratterizzato tutta

la storia dell'uomo, dal suo apparire, sino ad oggi.

Attualmente non esiste solo il problema dell'imigrazione dei paesi considerati in via di sviluppo

(Pvs) verso l'Europa o il Nord del Pianeta. Un'immigrazione ancora poco nota, ma sempre più

foriera di gravi percioli, è quella che vede milioni di contadini abbandonare le campagne e le

aree rurali dei paesi poveri, per spostarsi verso la periferia delle megalopoli dei Pvs, dove si

addensano in immensi agglomerati che diventano giorno dopo giorno dei veri e propri bacini

potenziali di nuove epidemie. Alcune zone di queste allucinanti periferie diventano terreni di

coltura per germi, batteri, virus e miceti, e la prostituzione inoltre vi si diffonde incontrollata,

con tutte le malattie ad essa correlate. Il Rapporto sullo sviluppo umano 2002 curato

dall'United Nation Development Program (Unpd) conferma l'allargamento della soglia della

povertà nel pianeta.

Sebbene negli anni '70 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) avesse lanciato la

campagna "Salute per tutti nell'Anno 2000" poca attenzione era stata rivolta verso le

popolazioni più povere, per cui questa splendida utopia non è mai decollata pienamente, anzi

mano a mano che ci si avvinava alla fatidica data del 2000, mostrava tutta la sua impotenza.

3.L'immigrazione in Italia

La realtà dell'immigrazione ha interessato solo negli ultimi 20 anni il nostro paese, antico

paese d'emigrazione, che fino agli inizi degli anni settanta vedeva ancora emigrare ogni anno

oltre 300.000 cittadini in cerca di fortuna.

Gli immigrati in Italia continuano ad essere percepiti come una minaccia: stranieri che vogliono

entrare in paesi più ricchi di quelli da cui provengono e chiedono che vogliono entrare in paesi

più ricchi di quelli da cui provengono e chiedono che siano loro aperti i cancelli, i confini, e che

in caso di rifiuto li abbattono con la violenza, oppure cercano di attraversarli di nascosto. E i

paesi ricchi si comportano come se di tutto ciò non portassero alcuna responsabilità, o quanto

meno come se subissero passivamente gli eventi.

Oggi paradossalmente, da un lato, si lavora sempre più efficacemente per istituire aree

economiche libere da controlli doganali, e dall'altro, per ripristinare proprio tali controlli per

impe

Dettagli
A.A. 2013-2014
29 pagine
3 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/04 Pedagogia sperimentale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simone.vellucci.5 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia sperimentale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Aluffi Pentini Anna.