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SVILUPPO UMANO + EDUCAZIONE SPECIALE
Alla pedagogia clinica compete l’azione per un verso conoscitiva e diagnostica, per l’altro
progettuale e di intervento, portata sulla assoluta singolarità dei casi e delle situazioni
(individualità), sull’interezza delle persone e dei loro ambienti di vita (ecologia), e con
accostamento diretto e ravvicinato alle situazioni (empiricità). Con riferimento alla famiglia
con handicap l’approccio clinico in pedagogia osserva un lavoro di indagine sullo stato
dinamico della persona nelle sue integrate dimensione corporea, psicologia e sui processi
di adattamento e di aiuto che i membri della famiglia sono in grado di procurare
reciprocamente a se stessi. Unitamente a quanto descritto, si occupa delle varie forme di
aiuto che la famiglia può attivare nei confronti del disabile (parent training), in possibile
continuazione con la comunità, i servizi civili e le figure specialistiche. Un aiuto di
sostanziale spessore si riesce a dare sia al soggetto disabile quanto alla famiglia
rendendo loro consapevoli della patologia o disabilità al fine conoscere i sintomi per
meglio combattere la malattia in un agire consapevole e più efficace. Altrettanto importante
è l’approccio di ecologia estesa secondo cui il pedagogista tende ad assecondare a più
livelli un approccio multidimensionale e multiproblematico su persone, ambienti ed eventi,
principio che vede la famiglia del disabile come risorsa educativasviluppando il tanto noto
genitore terapeuta. Esso infatti attiva una serie di guadagni qualitativi individuabili della
relazione educativa speciale. Abbiamo dunque:
a) Guadagni sui genitori
- consapevole responsabilizzazione;
- conoscenze sulla patologia/disabilità;
- conoscenza sulle procedure terapeutiche;
- capacità di osservazione e di analisi del caso;
- capacità di fronteggiare eventi imprevisti;
- riduzione dello stress;
- reti di cooperazioni tra famiglie/genitori.
b) Guadagni sulla diagnosi
- contributi informativi riferiti dai genitori;
- aggiornamento continuo.
c) Guadagni sui soggetti disabili
- qualità della comunicazione coi familiari;
- sicurezza, senso di appartenenza, accoglienza, protezione e identità;
- autonomia comportamentale;
- manifestazione di bisogni, pensieri, sentimenti.
c) Guadagni sul trattamento
- maggior durata temporale del trattamento;
- continuità e co-estensione dei programmi educativi;
- riduzione di interferenze negative;
- mantenimento degli apprendimenti;
- omogeneità di stili tra famiglia, scuola e servizi;
- diffusione dei metodi educativi ritenuti più efficaci.
d) Guadagni sulla famiglia
- miglioramento della relazione e della coesione intrafamiliare;
- miglioramento dell’efficacia comunicativa tra familiari e membro disabile.
CAPITOLO 2.
La famiglia colpita
La famiglia colpita da disabilità o malattia attraversa dinamismi complessi contraddistinti
da problemi connessi alla relazione tra orizzonte familiare e stato di disabilità dal momento
che coinvolge la complessa entità sistemica familiare, in cui oggi si riconosce di una
organizzazione.
Ad un livello preventivo si pone la questione della genesi di alcune patologie in
correlazione con le caratteristiche del nucleo familiare di appartenenza, quindi del suo
schema, dello stile, della relazionalità e della eventuale presenza di patologie, disagi,
difficoltà economiche o logistiche.
Dalla matrice psicoanalitica e in ambito neuropsichiatrico, permangono tesi sulla genesi
familiare di disturbi psichici, soprattutto individuata a carico o di una figura parentale,
specie la madre, o o delle articolate dinamiche intrafamiliari.
Watzlavick e l’approccio sistemico alla comunicazione umana richiama l’idea della natura
omeostatica della struttura familiare dove qualsiasi mutamento a carico di un membro
genera dinamiche di cambiamento anche negli altri.
Dunque, la comparsa della malattia invalidante nella famiglia pone in circolo una serie di
dinamismi difficilmente controllabili. L’evento così assume eccezionali valenze
psicologiche, non solo per il trauma affettivo che il genitore viene e a vivere, ma anche per
le elaborazioni di tipo razionale e logistico che egli è indotto ad assumere.
Spesso, la messa in campo delle risorse della famiglia non sempre regge ai problemi ed al
tempo, pertanto può cedere il posto al fatalismo e alla rassegnazione. Per tali motivi si
manifestano forme di auto colpevolizzazione che danneggiano lo stato dell’io dei familiari,
dando luogo all’insicurezza, disistima e stato di permanete angoscia. Queste reazioni
tendono poi a dilatarsi semplicemente per il fatto che il comportamento indotto da un
membro della famiglia rilancia sugli altri componenti vettori di adattamento-
disadattamento.
Nello specifico, De Ajuriaguerra, nel “Manuale di psichiatria del bambino”, individua tre
fasi nella complessa relazione che il gruppo familiare in genere attraversa, a fronte
dell’evento della comparsa dell’handicap, e che segnano una parabola dall’esito positivo o
negativo per il successivo equilibrio emotivo-affettivo:
a) forte crisi iniziale, specie a carico della generatrice;
b) reazione attiva e sinergica dei due genitori;
c) resistenza all’adattamento alla nuova situazione, o come accettazione o come
rifiuto.
La famiglia con un membro disabile rischia di perdere la generatività e di dar luogo al
dramma.
Il figlio che rappresenta il cero e sostanziale legame della coppia, nel momento in cui
presenta devianze gravi dalla normalità può attivare la crisi nella coppia. E’ accettato che
comunque il nucleo familiare registra un’interruzione del proprio ciclo di vita e vive uno
stato più o meno di sofferenza. L’evento “nuovo” è spesso vissuto negativamente, tanto da
innescare una serie di condizioni psicologici come:
- Insistente ricerca dell’eziologia e natura della patologia;
- Disinteresse, rinuncia e alienazione;
- Autocolpevolizzazione;
- Chiusura relazionale;
- Patologia della famiglia;
- Crisi o perdità dell’immagine di sé o della coppia;
- Crisi o perdita del progetto di vita.
- Crisi ed interruzione delle relazioni nella coppia;
- Incremento della coesione;
- Iper-protezione al soggetto;
- Totale identificazione con il soggetto disabile;
- Rassegnazione;
- Ansiosa richiesta di assistenza e servizi;
- Delega totale ai servizi socio-sanitari.
La condizione della madre
Particolare attenzione ed interesse per le dinamiche psicosociali a carico dei familiari
interessati dalla nascita di un figlio disabile va alla madre. L’evento della maternità
coinvolge con intensità tutta una serie di moti evolutivi che vede protagonisti fondamentali
il neonato e la madre.
A fronte di una tendenziale posizione periferica del padre, nella madre primeggiano
fenomeni come il bisogno di sicurezza, soddisfazione e di identificazione con la propria
madre, da cui una nuova forma di dialogo e di bisogno di vicinanza. Con la comparsa della
patologia o minorità
del piccolo nato, tende a configurarsi uno scenario di destabilizzazione che smuove la
struttura familiare generando reazioni a catena di tipo funzionale-aggregativo a volte,
disfunzionale-disgregrativo altre. Il passaggio dal bambino atteso ed ideale quello reale è
percepito come portatore di problemi, comporta sempre uno scarto deludente che
condiziona lo stato psichico del padre, fino a generare forme depressive o stati di
invivibilità che possono sfociare all’abbandono.
“Fra le figure parentali – osserva Pascoletti – la prima vittima è la madre ed il suo
equilibrio emotivo-affettivo. I sentimenti positivi di attesa e di fiducia, costruiti spesso con
difficoltà nel lungo periodo di preparazione alla maternità, subiscono un repentino
cambiamento e si connotano negativamente. Sensi di colpa, vergogna, frustrazione,
angoscia, sono gli effetti negativi più comuni.”
Una condizione di possibile disagio psicologico che può incrudirsi e toccare alti livelli di
crisi esistenziali in presenza dell’evento della patologia o disabilità nel nuovo nato, cui può,
infatti, attivarsi una delle forme di reazione patologica post-partum, note e diagnosticate
come:
●Depressione post-partum: stato di disagio psichico, conseguente al parto, nella forma
depressiva. In senso ostetrico interessa le due ore successe, mentre in senso psicologico
include un periodo non definibile (alcuni mesi) di instabilità psico-emotiva e relazionale,
connessa al conseguente sentimento di inadeguatezza al nuovo ruolo.
●Maternal blues: stato depressivo lieve e transitorio della donna in puerperio della durata
di dieci giorni, con il picco tra il quarto e il quinto giorno, connotato da fragilità umorale.
● Psicosi post-partum: rara condizione psicotica conseguente al partoin donne
predisposte o già interessate a malattie mentali. Può manifestarsi anche dopoalcuni mesi
dal parto e può durare anni. Comporta condotte deliranti, destrutturazione acuta della
personalità e stato confusionale.
La “preoccupazione materna primaria”, identificata da Winnicot quale capacità di
percepire e comprendere i bisogni essenziali del bambino, nel caso della patologia o
menomazione, può cambiare radicalmente di segno ed accelerare o esacerbare il
fenomeno materno della regressionee sfociare in condotte di accesa crisi.
Dunque, la relazione madre-figlio restail riferimento fondamentale dell’evento della
filiazione (rapporto di dipendenza, dipendenza o appartenenza tra figlio e genitore).
Annota Ferrucci che “L’atteggiamento delle madri è di natura differente perché accettando
i loro figli, nonostante la disabilità, esse rifiutano le limitazioni che ne derivano
manifestando l’aspirazione ad un ruolo materno “tipico”, fenomeno che è stato identificato
con il suggestivo termine di abbraccio del paradosso.”
Tale atteggiamento emana una visione positiva ed energica della realtà, di ottimismo ed
autocontrollo, che sono individuate da Larson in:
Mantenere due concezioni opposte del figlio (totale accettazione e desiderio di
a) vederlo in condizioni normali);
Cercare soluzioni ai problemi quotidiani pur riconoscendo che non esiste cura
b) definitiva.
Altri autori (Vico, Mannoni, Formica) connettono lo stato di madre di figlio disabile ad uno
stato di costante angoscia seppur non sempre evidente. La donna è infatti talvolta in grado
di mascherare tale situazione emozionale compensandola con un forte investimento nella
dedizione assistenziale.
E’ significativo ricordare che lo stress parentale fa registrare negative conseguenze sull