vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
INTRODUZIONE
Questo lavoro intende portare un contributo sulla linea della sensibilizzazione all’umano
nei suoi innumerevoli volti; sensibilizzare nel senso di riaffermare il bisogno di
proporzionalità tra l’oggetto e il conoscere attraverso l’esperire interiore ossia la modalità
di conoscenza propria al movimento verso la persona e verso quanto costituisce
l’umano.
Esiste sempre il pericolo di svilire l’umano, mani rozze, l’irrigidimento degli organi di
senso sono un pericolo insidioso che si presenta quando si tratta di realtà interiori.
Il termine approdo suggerisce il senso del muoversi, di un avanzare verso un punto
desiderato, è molto più evocativo rispetto a fine o meta perché richiama lo struggimento
e l’ansia e rimanda alle tensioni dell’umano e all’enigmaticità che oggi connota
l’educazione.
In ambito educativo offre la possibilità di riscattarsi dai frequenti asservimenti
all’ideologia e al sistema e di rimuovere una certa umiliazione personale di cui sembrano
essere affetti educatori e pedagogisti.
L’approdo di cui qui si tratta è il dialogare minore. Oggi si sono moltiplicati i settori in cui
viene impiegato il dialogo e anche i saperi che se ne occupano. L’ambito in cui il dialogo
è nato, la filosofia dell’educazione, rivendica tra i suoi compiti anche quello di un’azione
decisa e mirata di rinnovamento e riattivazione di una certa forma di sensibilità.
Questo lavoro vorrebbe essere l’avvio di una riflessione nel campo educativo.
Il dialogare è un approdo, vi si arriva solo dopo un lungo e travagliato percorso; è rivolto
a tutti coloro che non danno per scontato l’umano ma ha ancora dubbi e sanno che il
sistema uomo non è concluso. Si tratta di un testo aperto, si parla di approdi, qui se ne
considera solo uno.
Oggi sembra di aver perso tutti un po’ di cura e passione per l’umano, si assiste allo
sciupo della parola la si usa per cose futili. Lo spreco della parola nella nostra società è
senza misura, non ne è esente il campo pedagogico, soprattutto quello ufficiale,
incalzato dal bisogno di trasformare tutto in informazione per rispondere alle domande
di lavoro e di mercato.
A chi conduce la riflessione sull’umano con finalità educative sarebbe utile seguire due
fili che percorrono tutta la ricerca fatta sull’uomo nel mondo occidentale:
il primo conduce verso posizioni diverse ma accomunate da un’idea affermativa
sull’uomo, visto l’uomo visto come sorgente di vita, dotato di senso e capace di
accogliere il diverso da sé senza perdere l’identità, bisognoso di ricevere per attuare le
sue stesse potenzialità. Si tratta comunque pur sempre di un uomo inquietante perché
più o meno imprevedibile.
All’educazione spettano compiti delicati e incisivi, tra i tanti la Ducci ne sottolinea due:
alla responsabilità dell’educatore spetta una singolare giustizia verso il soggetto
• che gli sta di fronte, che non annulla le differenze ma le impiega a favore del
soggetto stesso
alla funzione dell’educatore appartiene anche il rendere l’altro interessato alla
• conoscenza e alla volontà di impiego del proprio potenziale.
In questa cornice la parola viene vista come strumento, veicolo primario dell’accensione
del potenziale umano. In tal modo entra in gioco la dialettica, quel rapporto unico che
può stabilirsi solo da persona a persona.
Il secondo filo conduce a incontrare posizioni accomunate dall’idea di un uomo
ricevente, che riceve il suo senso e il suo valore da fuori, un uomo passivo ma non
imprevedibile come nel primo caso perché riguarda ciò che non è l’uomo, l’ideologia, la
tecnica e l’oggettivo in genere.
L’educazione non dà nessuna attenzione all’uomo e riguarda l’oggettivo in tutti i suoi
campi e partecipa all’accelerazione del progresso.
La parola resta all’esterno è solo un mezzo per avere risultati precisi, è ridotta allo
sfruttamento.
Tra i due fili si è scelto ovviamente il primo. Indicare approdi dell’umano con intento
educativo significa credere nelle potenzialità che l’uomo possiede e dei mezzi che sono
alla sua portata e tra questi occupa un posto unico il dialogare. Per vedere il dialogare
come approdo della persona occorre non considerare il dialogare in sé ma inserirlo nel
cuore del discorso educativo; individuando i problemi maledetti che oggi lo assillano e
coniugarli col dialogare, ossia con la più autentica realtà umana.
CAP. 1 - I PROBLEMI MALEDETTI DELL’EDUCATIVO –
Anche solo per menzionare alcuni di questi problemi è d’obbligo considerare i punti di
arrivo della tradizione occidentale e non perdere la primitività; espressione
kierkegaardiana che suggerisce l’obbligatorietà, quando si parla di problemi dell’umano,
di conservare il tessuto vivo del proprio pensare e sentire e della singolarità del proprio
esprimersi.
Della realtà educativa tutti hanno un’esperienza, positiva o negativa, del vivere interiore,
del suo sentire reale che è prezioso e che va custodito e salvaguardato in quanto facilita
un avvertimento interiore che agevola il discernimento dalle ideologie e dalle dottrine
oggettivate in genere.
Un primo problema maledetto è la giustificazione e la funzione della primitività, il come
tenerla viva e il come preservarla dai mali che la minacciano.
Un altro problema riguarda il fatto che quella sull’educativo è una delle riflessioni più
segnate dalle precomprensioni del soggetto che riflette. L’idea uomo è intrisa di
preconcetti e ideologie e il soggetto raramente la esprime in termini oggettivi, non
manca però lo spazio per guardare in maniera critica. Il problema dell’incidenza
dell’idea uomo nel contesto educativo esige una singolare attenzione e intelligente
discrezionalità. Si tratta di aiutare l’altro a diventare quel singolo che soltanto lui può
essere; far sì che l’altro scopra e attui quella vocazione che è soltanto sua. L’educatore,
quindi, deve essere presente e attivo ma non deve lasciare traccia della sua presenza. Si
tratta di una forte antinomia che segna l’educazione e appartiene al senso più alto
dell’essere umano. Tale concetto racchiude il mistero dell’unicità e irripetibilità, il
compito primario dell’educatore e il senso ultimo della realtà educativa.
L’educazione è una realtà complessa, è la ragione più profonda dell’esperienza umana e
l’aspetto più misterioso del rapporto interpersonale; è una dimensione fondamentale
della realtà e a lei si lega l’interrogativo circa il senso di riuscita e di fallimento umano.
La delicatezza si fa maggiore quando si voglia mettere a fronte educabilità e ineducabilità
umana. Quasi tutti gli scandagliatori dell’umano si sono interrogati sull’educabilità
dell’uomo e sulla possibile estensione.
Un altro problema secondario ma da non trascurare rigurada il rapporto tra educabilità
e concretezza dei temi e domande. Si tratta di prestare la giusta attenzione all’uomo,
seguire una cosa senza trascurare l’altra stabilendo le giuste gerarchie.
Perché volere l’educazione? Tante le possibili risposte: perché ci si preoccupa dell’uomo;
perché si è scelto un mestiere; perché ci si preoccupa dell’andamento della società; per
motivi ideologici…
La fisionomia, i margini e le modalità per diventare educatore costituiscono il più
gravoso dei problemi maledetti dell’educativo.
In un momento di disorientamento e demotivazione la Ducci pensa che si debba volere
l’educazione anche soltanto per rinforzare l’uomo, questo il bisogno primario.
Le conseguenze di sbagli nell’individuazione di bisogni e di fini sono molto pericolose; è
d’obbligo sfuggire allo sbaglio di emarginare il bisogno di educazione enfatizzando il
bisogno di istruzione, e scegliere così la via più facile. È motivo di angoscia per chi si
occupa di educativo trascurare i bisogni reali dando la priorità a bisogni indotti dalle
mode, dal consumismo e da certe astuzie economiche.
Senza dubbio è un bisogno primario per l’uomo la realizzazione della propria
costituzione individuale e personale, da realizzarsi attraverso una tensione al giusto
relazionarsi che avvia all’operatività. È necessario prestare forte attenzione
all’individuazione dei bisogni perché ciò è saldamente legato ai fini, approdi.
Tutti questi problemi si annodano alla realtà dell’educatore, colui che trasmette l’umano
a chi è fatto per diventare umano.
L’ultimo problema riguarda il linguaggio educativo.
Il dialogare si offre per il rilevamento di ciò che è più proprio dell’uomo e delle sua
interiorità ma anche per aprire l’interiorità al bene, al vero e al bello., per questo ha un
posto centrale nei problemi forti dell’educativo. Ma si situa anche come legame tra le
culture e che permette di esercitare la propria identità e comprendere quella del
diverso.
Un dialogare di cui oggi c’è un bisogno vitale, troppo spesso insoddisfatto.
CAP. 2 – IL LINGUAGGIO EDUCATIVO –
La Ducci fa una distinzione tra linguaggio educativo e linguaggio pedagogico;
quest’ultimo ha molte convergenze con il linguaggio scientifico in genere (ricomprende
molti linguaggi).
Riguarda l’esperienza di linguaggi informativi e d è apprezzabile in quanto comunica il
sapere.
È sicuramente degno di una trattazione seria anche per il suo stretto legame con
l’umano; usarlo in contrapposizione al linguaggio educativo non indica una sua
sottovalutazione.
Il vero educatore avverte sempre questa distinzione e tende verso il linguaggio
educativo, come un’adempienza propria dell’essere educatore.
Quanto concerne l’educazione (educabilità umana, prassi, metodi) è oggetto conoscibile
ma è anche realtà su cui si agisce sugli altri e su se stessi. L’attuazione dell’educabilità
umana comporta non solo il rispetto della libertà e della libera decisione ma anche che il
tutto avvenga in un ambiente di relazionalità interpersonale unica nelle sue modalità
profonde, quale è il dialogare.
La valenza reale del linguaggio educativo è insidiata da una dimenticanza di cui
Kierkegaard accusa il suo tempo, si dimentica cosa è e