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Questo procedimento porta alla realizzazione di un soggetto, implicando la giusta attenzione
all'uomo, in ogni campo della sua vita, eliminando altresì sproporzioni di fattori inquinanti. L'autrice
si avvale così della lectio difficilior dell'espressione platonica : anthropine sophia, tratto usato da
Platone nel disegnare la figura socratica nell' "apologia di Socrate". Ponendo l'attenzione su
anthropine è possibile fare 3 approfondimenti:
• l'aggettivo sophia connota la saggezza umana, la quale è contrapposta a quella divina.
Però tale termine indica anche un limite. Infatti la saggezza a cui l'uomo aspira non è
sempre adatta a qualsiasi oggetto ma c'è una sproporzione tra la saggezza umana e quella
divina. Tuttavia l'uomo deve essere consapevole di questo limite, per salvaguardarsi da
possibili errori in cui potrebbe cadere. L'educabilità umana è un argomento che sembra alla
portata dell'uomo ma costituisce anche un elemento che dimostra il mistero dell'uomo, in
quanto lo trascende e va oltre.
• anthropine suggerisce il fatto che si tratti di una sophia che ha l'uomo per soggetto, ma ha
anche l'uomo, e tutto ciò che lo concerne, come oggetto. è una sophia intorno all'umano e
a tutta la realtà che lo sostanzia. Infatti è cosa grande per l'uomo a cui aspirare perchè
preziosa ma rara.
• la sophia innesca nell'uomo un processo di umanazione così che, coltivare questa
saggezza rispettando la natura dell'oggetto che la specifica, è la strada giusta perchè quel
singolo uomo vada verso la piena realizzazione della propria umanità. è un modo di
conoscere l'uomo che ha come effetto quello di portare verso il compimento umano di colui
che conosce.
L'athropine sophia è una sapienza umana di chi come dice Socrate "sa di non sapere". è un
sapere imperfetto in quanto indica un sapere umano, non ha pretese di dare spiegazioni
comprensive ed è una sophia che non intende perdere di vista il mistero dell'uomo. L' athropine
sophia è un concetto che sbarra la semplificazione innaturale del linguaggio educativo, ne vieta la
riduzione univoca e avvia l'ipotesi che l'aggettivo educativo conferisca al linguaggio un senso molto
forte. Questo riferimento alla tematica platonica serve a far scoppiare il termine linguaggio
educativo nel momento che lo si usa, in quanto può essere sinonimo di comunicazione di vita
umana a livello altissimo.
Linguaggio educativo significa alludere ad una realtà di relazione e quindi a un modo di
relazionarsi all'altro e di trovare strade e modi per incontrarsi. Esso infatti trova la propria valenza
anche con l'esplicitazione del senso dell'uomo che sta nel profondo dell'interiorità. Per cui educare
significa anche portare l'uomo a cogliere il proprio senso e volerne l'affermazione attraverso
l'apprezzamento nel vivere la vita.
KIERKEGAARD nel punto centrale del suo scritto breve sulla dialettica della comunicazione etica
ed etico-religiosa, da una descrizione di educazione: "la comunicazione e l'istruzione rispetto
all'etica e al momento etico-religioso è educazione. Con l'educazione uno diventa ciò ch'è
considerato essenzialmente di essere. L'educazione comincia con il considerare colui che
dev'essere educato come ciò ch'egli deve diventare." Bisogna guardare quindi l'educando come
ciò che deve diventare. Assecondando la descrizione di Kierkegaard l'educazione presuppone ed
esige due qualificazioni nel linguaggio che la concerne: essere sulla linea della comunicazione di
potere contrapposta a quella di sapere, ed essere edificante. La comunicazione di potere è il
linguaggio che concepisce l'uomo come un nucleo originario della libertà e per risvegliare tale
possibilità non bisogna alterarne la natura ma assecondarla nell'attuazione. Dunque la
comunicazione di potere è determinante per la libertà del soggetto, per il suo attuarsi e per il suo
essere condotto alla rivelazione piena della sua natura. Essa è un modo per dire linguaggio
educativo. Kierkegaard congiunge anche comunicazione di potere e primitività, un abbinamento
che esprime il linguaggio educativo. Il comunicante deve avere serietà e allora il suo linguaggio
sfocerà nell'agire interiore dell'uomo. Ma kierkegaard accenna anche al linguaggio edificante
quando si parla di educazione. Infatti il linguaggio educativo può e deve essere un linguaggio
edificante. Per kierkegaard edificazione è un termine che evoca la costruzione totale delle
fondamenta, ma trattando della persona che è un costruirsi dal di dentro, con un singolarissimo
aiuto dal di fuori. Il linguaggio edificante è l'aiuto all'altro per diventar soggettivo che avviene
attraverso la concretizzazione del uo nucleo primario. La metafora dell'edificare disegna, così, un
tratto nella descrizione del linguaggio educativo.
L'autrice ritiene che un altro testo valido ed eccezionale per spiegare il travaglio del linguaggio
educativo è "il mito della caverna". Questo testo rappresenta la sua teoria sulla struttura della
realtà esterna e della condizione interiore dell'uomo, conseguenza della prima. Innanzitutto il
movimento iniziale alla formazione dell'uomo non è mai spontaneo, ma è dovuto all'atto di una
forza esterna. Inizialmente i prigionieri sono emarginati come in una dimora sotterranea simile ad
una caverna, in cui fin dall'infanzia sono costretti da catene alle gambe o al collo, in modo da non
poter nuocere a se stessi e da non vedere dinanzi a sè, impotenti di girare la testa a causa delle
catene. Questo stato impedisce ai prigionieri di rendersi conto della situazione di non "veduta" e
questi possono essere resi coscienti solo per intervento di una forza esterna. La forza capace di
scuotere Il soggetto dovrà essere si esterna rispetto al soggetto stesso ma anche tale da penetrare
nelle profonde strutture del suo animo e avere un'efficace risonanza della sua interiorità, in modo
da risvegliare nell'uomo il dubbio che lo porta ad inquietarsi. Questa scossa interiore viene
provocata dall'educatore nonostante sia comunque una capacità insita nell'animo stesso.
G li auctores
Per trattare dell'umano in campo educativo l'autrice assume come riferimenti gli auctores, quei
pensatori e scrittori che hanno la capacità di cogliere l'umano e di comunicare. Parlando di
auctores è d'obbligo citare la loro sensibilità per l'educativo. La sensibilità ha come termine proprio
la persona che ha in sè il mistero della vita e a dinamica del crescere in perfezione secondo la
misura propria dell'essere. Ed è proprio questa che fa si che resti sovrana ed incontrastata la
valenza del singolo soggetto. Gli auctores incrementano e salvaguardano la sensibilità per
l'educativo nella misura in cui essi stessi ne sono ricchi. Le valenze che rendono un individuo
pensatore o scrittore in genere sono molteplici.
• arano profondo nel terreno dell'uomo, in quanto chi riflette sull'educativo deve sempre
cercare e svelare un aspetto nuovo dell'umano;
• sono primitivi e inattuali, in quanto aderiscono alla realtà e si propongono e si sforzano di
aderirvi rifuggendo dal convenzionale;
• escono e fanno uscire dal quotidiano, in quanto l'uscire consente di prendere le giuste
distanze dal quotidiano. Senza questa uscita il quotidiano tarpa le vere potenzialità
dell'umano;
• non fermano quando li si incontra, nè inducono a fare la loro strada, ma invogliano a
cercare liberamente ognuno la sua e a percorrerla. Questa rappresenta una valenza
propria dell'educatore;
• rendere amanti della parola e quindi saper addestrare al parlare;
• credere e suscitare la fede nell'uomo.
Sono queste alcune delle valenze che si possono affiancare agli auctores in cui il discorso è sull'
educativo, anzi sul nucleo più delicato di esso: il dialogare.
DIALOGARE (parte seconda)
In questa parte si va a cercare un vissuto, uno stimolo verso una percezione / modo di essere. Il
compito della filosofia dell'educazione sul versante del dialogo può essere quello di rilevare e
registrare l'impossibile rassegnazione dell'uomo all'isolamento, alla chiusura in sè e al suo
bisogno/diritto di uscirne. Si hanno dunque due poli temporali:
• SOCRATE con il suo pensiero "vivere senza dialogare" in quanto senza dialogare non è
vivere per l'uomo;
• EBNER e BUBER asseriscono il fatto che il dialogare è costituito dalla persona in quanto
l'uomo è uomo perchè ha la parola e quest'ultima pone e presuppone il rapporto al tu.
Il proposito è dunque parlare del dialogo minore, ossia quello che sostanzia il vivere di ognuno, un
dialogo che abbia a che fare quindi con l'interiorità dell'uomo.
Annotazioni sul dialogare
Trattare del dialogare è qualcosa di diverso, è trovare il modo di non essere mai soli: nè quando si
sceglie, nè quando si percorre la strada scelta. Il dialogo è un mezzo che ci accompagna in
qualsiasi scelta della visione del mondo (Weltanschauung) che facciamo ed è inoltre un fatto di
esperire profondo, di un esperire interiore reale. Esso si caratterizza come l'elemento portante e
qualificante della prassi educativa comune e quindi come realtà umana totale e unificante per
l'uomo. Il dialogo si è visto inserito a pieno diritto nel cuore della realtà persona, una realtà segnata
dallo statuto relazionale, che si è considerato quest'ultimo come il luogo privilegiato del dialogare.
Si ha un rapporto tra dialogo e incontro. Infatti ogni incontro vero e profondo tra persone è dialogo.
Nel vivo della realtà educativa l' incontro è insostituibile per il qualificarsi pieno del dialogo, perchè
di esso si esprime il massimo. Altresì vi sono due posizioni estreme sul dialogo:
• il dialogo che ha a che fare con l'interiore dell'uomo. (la Ducci appoggia questa posizione);
• il dialogo scientificizzato di cui si ha un uso strumentale dl linguaggio in cui l'uomo stesso è
strumento.
Al dialogo con gli uomini si è aggiunto il dialogo con l cultura e con le culture. Il moltiplicarsi e il
variegarsi degli interlocutori preoccupa quanti vorrebbero vedere il dialogo sempre più impiegato e
mai svenduto. Il dialogo raggiunge la posizione più ambita dell'uomo di fronte alla verità e la sua
massima rappresentatività con Platone, Aristote